SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 29 gennaio 2013, n. 4364
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 21/01/2011, il Tribunale di Messina ha confermato la decisione del Giudice di pace di Messina, il quale aveva affermato la responsabilità di P.A. in ordine al reato di cui all’art. 595 cod. pen., perché aveva offeso la reputazione di P.R.G., affiggendo in data 05/09/2007 nell’atrio del condominio “La Gardenia” un avviso di imminente distacco della fornitura idrica ad opera dell’AMAM, a seguito della presunta “persistenza del debito” di alcuni condomini espressamente indicati, tra i quali lo stesso G.
1.1. Il Tribunale, per un verso, ha sottolineato che era persino dubbia la fondatezza della totale richiesta del saldo nei confronti del G., il quale aveva preso in locazione l’appartamento, quando già era maturata una parte del debito; per altro verso, ha rilevato, richiamando la sentenza n. 716 del 2008 di questa Corte, che la condotta dell’amministratore non poteva ritenersi scriminata ai sensi dell’art. 51. cod. pen. dal momento che egli aveva affisso l’avviso sulla porta dell’ascensore del palazzo, in tal modo operando una comunicazione percepibile da chiunque avesse frequentato l’immobile e che andava perciò al di là dell’ambito di potenziale interesse della notizia.
Il Tribunale ha escluso che l’A. sarebbe stato costretto a tale comportamento, per la stringente necessità di informare i condomini del rischio di imminente distacco dell’erogazione idrica, nell’impossibilità di convocare l’assemblea o di inviare delle missive, dal momento che era emerso dall’istruttoria espletata in primo grado che non veniva convocata l’assemblea da almeno tre anni e che l’A. era a conoscenza da tempo di una situazione debitoria nei confronti dell’AMAM.
Quanto al profilo legato all’elemento psicologico, il Tribunale, dopo avere ricordato che nel reato di diffamazione il dolo dell’agente è generico, ha rilevato che, alla stregua dell’oggettivo significato delle espressioni adoperate e del silenzio serbato per lungo tempo dall’amministratore sulla richiesta del G. di addebitargli solo i consumi a lui effettivamente riconducibili, era evidente l’intento di sottoporre ad una “pubblica gogna” coloro che non avevano pagato le quote.
2. Nell’interesse dell’A. viene proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., violazione degli art. 595 e 51 cod. pen., dal momento che nel condominio non esisteva una sala riunioni e che comunque non era quella la sede più adatta per poter diffondere tra i condomini interessati una comunicazione urgente. In definitiva, l’amministratore, avendo appreso a seguito della comunicazione del 04/09/2007 ad opera dell’AMAM, che il fornitore del servizio idrico intendeva procedere entro quarantotto ore all’interruzione dello stesso, aveva perseguito non lo scopo di diffamare, ma quello dì scongiurare un evento altrimenti non evitabile.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., violazione dell’art. 42 cod. pen., per assenza di dolo, dal momento che l’amministratore non era animato dalla volontà di utilizzare frasi offensive, ma solo dalla necessità di informare tempestivamente i condomini dell’imminente interruzione del servizio idrico.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che, secondo quanto già affermato da questa Corte (Sez. 5, n. 35543 del 18/09/2007, Donato, Rv. 237728), integra il delitto di diffamazione il comunicato, redatto all’esito di un’assemblea condominiale, con il quale alcuni condomini siano indicati come morosi nel pagamento delle quote condominiali e vengano conseguentemente esclusi dalla fruizione di alcuni servizi, qualora esso sia affisso in un luogo accessibile – non già ai soli condomini dell’edificio per i quali può sussistere un interesse giuridicamente apprezzabile alla conoscenza di tali fatti – ma ad un numero indeterminato di altri soggetti.
Nella specie, il ricorso reitera le difese già disattese con puntuale motivazione dal giudice di merito, non contestando il fondamento obiettivo della conclusione raggiunta dalla sentenza impugnata, secondo cui l’amministratore era da tempo a conoscenza della situazione di morosità verso l’AMAM, con la conseguenza che ben avrebbe potuto assumere tempestive iniziative di recupero e di risoluzione del contenzioso con il G. L’esattezza del percorso argomentativi è confermata dal rilievo che, se davvero la prospettiva dell’amministratore fosse stata quella dell’informazione celere rispetto all’imminente interruzione del servizio, attraverso modalità comunicative potenzialmente percepibili da terzi estranei al condominio, egli avrebbe dovuto calibrare il contenuto dell’informazione a tale esigenza, evitando di menzionare anche l’identità dei condomini morosi.
2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Sez. 5, n. 7597 del 11/05/1999, Beri Riboli, Rv. 213631), in tema di delitti contro l’onore, non è richiesta la presenza di un animus iniurandi vel diffamando, ma appare sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Leave a Reply