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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 22 ottobre 2015, n. 42581

Ritenuto in fatto

Il difensore di G. M. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Firenze, nei confronti dei suo assistito, in data 28/12/2011; il M. risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia (ridotta in appello per effetto della concessione di attenuanti generiche) con riguardo a reati di violazione di domicilio aggravata e resistenza a pubblico ufficiale, in ipotesi commessi nella notte tra il 18 e il 19 dicembre 2011.
Secondo l’assunto accusatorio, l’imputato si introdusse in evidente stato di alterazione alcolica – scavalcando il cancello od il muro di recinzione – all’interno di un’area pertinente alla sede della G.E. T. S. s.r.l., cominciando a colpire arredi vari: il portiere in servizio notturno lo aveva invitato ad uscire, ma (prima che la porta automatica, aperta per consentire che il M. si allontanasse, si richiudesse nuovamente) il ricorrente era tornato nuovamente in quella stessa area, stavolta a bordo della propria auto, alla guida della quale aveva preso a compiere manovre di “sgommata” e “testa-coda”.
Sceso dalla vettura, il M. aveva minacciato il portiere, quindi aveva colpito con un pugno la vetrata della guardiola, provocandone la rottura, e si era aggrappato al monitor della videosorveglianza, parimenti danneggiandolo. Uscito una seconda volta, sempre utilizzando l’auto, il prevenuto era stato poi raggiunto da una “volante” della Polizia di Stato, dando qui in ulteriori escandescenze ed inveendo contro gli operanti con minacce varie, nonché scalciando, sgomitando e tentando di sferrare morsi.
Con l’odierno ricorso, la difesa censura la sentenza impugnata deducendo:
– inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 614, comma quarto, cod. pen.
Nell’interesse del ricorrente si ribadisce la doglianza, sviluppata già dinanzi alla Corte fiorentina, secondo cui nella fattispecie concreta non avrebbe dovuto essere ravvisata una violazione di domicilio aggravata da violenza sulle cose, bensì una violazione di domicilio semplice ed un ulteriore addebito di danneggiamento (reati, entrambi, non aggravati e dunque procedibili a querela, mai presentata dagli aventi diritto). Stando alla ricostruzione dei fatti emersa nell’istruttoria dibattimentale, in vero, il M. non aveva usato violenza per introdursi presso la sede dell’anzidetta società (lo fece una prima volta scavalcando cancello o recinzione, ed una seconda transitando con l’auto attraverso l’accesso rimasto aperto), né per trattenervisi: al contrario, egli danneggiò i beni ivi presenti al solo ed immanente fine di arrecare pregiudizio al patrimonio altrui, senza che la violenza de qua potesse intendersi strumentale alla condotta di violazione di domicilio. Solo ammettendo che il danneggiamento servì al M. per rendergli possibile l’ingresso o la permanenza in quel luogo, in definitiva, potrebbe intendersi configurabile l’aggravante descritta in rubrica: a tale proposito, la difesa richiama precedenti conformi della giurisprudenza di legittimità.
Deve conseguentemente confutarsi l’assunto della Corte di appello, secondo cui non vi sarebbe differenza (essendoci piuttosto sovrapposizione) «tra violazione di domicilio con danneggiamento e minacce al portiere e violazione di domicilio per commettere danneggiamento e minaccia»
– mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ancora in ordine alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 614, comma quarto, cod. pen.
Il difensore del M., sulla base della ricostruzione dei fatti sopra delineata, rappresenta che la Corte territoriale sarebbe incorsa «in un travisamento per invenzione delle risultanze probatorie» nella parte in cui, come si legge in sentenza, la rottura della centralina del motore dei cancello e dei relativi cavi elettrici, causata dalla condotta dell’imputato, avrebbe consentito l’accesso della sua auto all’interno dell’area pertinente alla sede della ditta, circostanza che non è dato comprendere da dove si possa ricavare. Al contrario, «il danneggiamento della centralina del cancello […] non permise al M. né di introdursi né di trattenersi (condotta, quella dell’essersi trattenuto, tra l’altro non contestata all’imputato nel capo d’imputazione) all’interno dei locali dell’azienda, ma, a tutto voler concedere, il blocco del cancello consentì al M. di uscire e scappare via».

Considerato in diritto

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Secondo l’interpretazione offerta dalla (anche risalente) giurisprudenza di questa Corte in tema di valutazione della strumentalità o meno di una condotta violenta posta in essere dal soggetto attivo di un reato ex art. 614 cod. pen., ai fini della realizzazione dell’evento tipico richiesto dalla norma incriminatrice anzidetta, «il delitto di danneggiamento può concorrere con quello di violazione di domicilio commesso con violenza sulle cose, se la violenza non costituisce il mezzo per conseguire l’evento del delitto di violazione di domicilio e sia, quindi, la conseguenza di un’azione dei tutto avulsa da quel fine; diversamente, rimane assorbito nel delitto più grave» (Cass., Sez. II, n. 1369 del 15/05/1973, Zumbo, Rv 125481; v. anche, nello stesso senso, Cass., Sez. VI, n. 11780 del 07/01/2010, Foti, Rv 246476, dove si ribadisce che «la condotta di colui che penetra nell’abitazione altrui dopo aver infranto il vetro della finestra di un balcone integra il delitto di violazione di domicilio aggravato dalla violenza sulle cose, nel quale rimane assorbito quello di danneggiamento»).
E’ altrettanto pacifico che, alla luce della pluralità delle condotte tipizzate dall’art. 614, secondo cui il reato si configura sia in caso di introduzione (comma 1) che di trattenimento (comma 2) nel luogo di privata dimora altrui, l’aggravante di cui all’ultimo capoverso «ricorre ogni qualvolta la violenza si manifesti in uno qualsiasi dei diversi momenti nei quali si estrinseca e si svolge la fase esecutiva del reato, e pertanto anche quando la violenza sulle cose o alle persone non sia usata inizialmente per l’illecita introduzione, ma successivamente per intrattenersi nel domicilio contro la volontà dell’avente diritto» (Cass., Sez. V, n. 8750 del 05/02/1988, Tuttopetto, Rv 179043). Principio, quest’ultimo, ribadito anche nelle pronunce degli ultimi anni, secondo cui «nel delitto di violazione di domicilio, l’aggravante della violenza sulle persone presuppone che la violenza si manifesti in uno qualsiasi dei diversi momenti nei quali si estrinseca la fase esecutiva dei reato e, pertanto, ricorre anche quando essa non sia usata inizialmente per l’illecita introduzione, ma successivamente per intrattenersi nel domicilio contro la volontà dell’avente diritto» (Cass., Sez. I, n. 11746 del 28/02/2012, Price, Rv 252260).
Coerentemente, ai fini della ravvisabilità del diverso delitto ex art. 609-bis cod. pen., si è affermato che «il reato di violenza sessuale resta procedibile a querela di parte nel caso in cui sia stato commesso violando il domicilio della vittima ed esercitando sulla stessa violenza, non per entrare o intrattenersi nell’abitazione, ma unicamente per commettere il fatto» (Cass., Sez. III, n. 35696 del 16/06/2010, L.R., Rv 248486: nella motivazione della pronuncia appena richiamata, è stato precisato che, in tal caso, la violazione di domicilio è aggravata a norma dell’art. 61, n. 2 cod. pen., e non già ai sensi dell’art. 614, ultimo comma).
Le pronunce sinora evocate risultano obiettivamente in linea anche con il precedente citato dal ricorrente (Cass., Sez. I, n. 27542 dei 27/05/2010, Galluccio, Rv 247709), dove sì chiarisce più diffusamente che «ai fini della configurabilità dell’aggravante prevista dall’ultimo comma dell’art. 614 cod. pen. (fatto commesso con violenza su persone o cose o da soggetto armato) non è sufficiente un rapporto occasionale tra gli atti di violenza e la violazione di domicilio, ma occorre un nesso teleologico tra le due azioni. Ne consegue che se la violenza è usata non per entrare o intrattenersi nell’altrui abitazione, ma per commettere un altro reato, la violazione è aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 2 stesso codice e il reato è procedibile a querela». In definitiva, è senz’altro scorretto il rilievo compiuto dalla Corte di appello di Firenze, circa la sostanziale sovrapponibilità di una condotta di violazione di domicilio, in occasione della quale il soggetto attivo si introduca o si trattenga in un luogo di privata dimora altrui mediante violenza sulle cose, rispetto a quella di chi ciò faccia al fine, una volta entratovi o rimastovi contro la volontà di chi abbia diritto ad escluderlo, di realizzare condotte di danneggiamento o violenza alle persone; nel contempo, non è possibile sostenere – come si legge invece nella sentenza impugnata – che la rottura dei cavi elettrici del cancello, bloccandolo in apertura, avrebbe «consentito l’accesso dei veicolo all’interno», atteso che l’auto dell’imputato, in quel momento, era già entrata nell’area di pertinenza della sede della G.E. T. S. s.r.l.
Tuttavia, nella fattispecie oggi sub judice appare evidente che il comportamento, per mezzo dei quale il M. ruppe la vetrata della guardiola e la centralina del cancello di ingresso, fu tenuto dall’imputato proprio al fine di garantirsi il risultato di rimanere all’interno di quell’area. In vero, come risulta dalla ricostruzione fatta propria in entrambe le sentenze di merito, l’imputato assunse un contestuale atteggiamento intemperante – con il ricorso a ripetute minacce – nei confronti del portiere, vale a dire di quello stesso addetto alla vigilanza che, immediatamente prima, lo aveva invitato ad andarsene, e che egli di certo si prefigurava avrebbe ribadito l’esortazione: ergo, quella condotta violenta (si ribadisce, contestuale a minacce che avevano giocoforza l’identico obiettivo) non poté che servire per inibire la verosimile resistenza che il M. sapeva gli sarebbe stata contrapposta.
Né può rilevare, in chiave difensiva, la circostanza che la rubrica contempli la sola condotta di essersi il ricorrente soltanto “introdotto” all’interno del cortile privato, piuttosto che ivi intrattenuto, risultando la difesa svolta anche in relazione a quest’ultima ipotesi: a tacer d’altro, nell’atto di appello venne rappresentato che «l’imputato entrò (senza commettere violenza) e si trattenne (senza commettere violenza) nello stabile per commettere gli “altri” e “diversi” reati di danneggiamento e di minaccia”. Infatti, tra le due condotte sopra indicate non vi è rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, bensì di continenza, segnatamente laddove, come nel caso in esame, alla prima condotta (istantanea) abbia fatto seguito l’altra (di durata) per una apprezzabile e immediatamente percepibile dimensione cronologica.
2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dei M. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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