Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 15 dicembre 2014, n. 52082
Ritenuto in fatto
1. P.D., imputato dei reati di cui agli articoli 612 e 594 del codice penale, commessi nei confronti di Perugini Francesco, è stato condannato dal giudice di pace di Ancona per il reato di ingiuria ed assolto per quello di minaccia.
2. Contro la predetta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato per erronea applicazione di legge, nonché vizio di motivazione, in merito al riconoscimento della fattispecie delittuosa di cui all’articolo 594 cod. pen.; la motivazione sarebbe contraddittoria perché la condanna si fonda sulle dichiarazioni della persona offesa che sono state ritenute inattendibili per quanto riguarda il reato di cui all’articolo 612 cod. pen.. Lamenta, poi, che non sia stata ritenuta la scriminante della provocazione e contesta che il termine “scemo” abbia valenza ingiuriosa ai sensi della legge penale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso é infondato; per quanto riguarda la prima censura, è sufficiente precisare che la valutazione frazionata dell’attendibilità del teste persona offesa è stata giustificata con il fatto che sull’ingiuria – intesa come dato di fatto oggettivo – vi è stata l’ammissione dell’imputato, mentre per quanto riguarda le minacce non vi è stato alcun riscontro.
2. Quanto alla concessione della scriminante della provocazione, non può certo ritenersi tale il mancato raggiungimento di un accordo transattivo, di cui peraltro non si dice nemmeno a chi dei due contendenti sia addebitabile e per quale motivo (rendendo, pertanto, sul punto il ricorso aspecifico).
3. Infine, quanto alla natura ingiuriosa della parola “scemo”, occorre ricordare che Le frasi volgari e offensive sono idonee a integrare gli estremi del reato (di oltraggio) anche se siano divenute di uso corrente in particolari ambienti perché l’abitudine al linguaggio volgare e genericamente offensivo proprio di determinati ceti sociali non toglie alle dette frasi la loro obiettiva capacità di ledere il prestigio del pubblico ufficiale, con danno della pubblica amministrazione da esso rappresentata (nella fattispecie era stata ritenuta oltraggiosa la frase “vieni qui scemo, cretino”; cfr. Sez. 6, n. 6431 del 25/02/1989, CATALDI, Rv. 181175).
4. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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