Nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624-bis c.p. rientrano esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.

Suprema Corte di Cassazione

sezione V penale

sentenza 17 maggio 2017, n. 24489

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 1 febbraio 2016, la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della decisione di primo grado, che aveva riconosciuto colpevole V.S. del delitto di cui agli artt. 624 e 625 n. 7 cod. pen., esclusa la menzionata aggravante, riqualificava il fatto ai sensi dell’art. 624-bis cod. pen. confermando la sentenza gravata.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato personalmente, affidandolo a due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 624-bis cod. pen., per l’erronea qualificazione del fatto operata dalla Corte territoriale. A giudizio del ricorrente non ci fu un’abusiva introduzione in un luogo equiparabile ad una privata dimora al fine specifico di impossessarsi dei beni altrui, come richiesto dalla norma penale sostanziale, ma, piuttosto, l’approfittamento di una situazione di legittimo acceso allo spogliatoio nel quale il telefono cellulare oggetto del furto era stato lasciato dal proprietario, a cagione della partecipazione di imputato e vittima del reato ad una partita di calcetto espletata nel centro sportivo di cui il detto spogliatoio costituiva una pertinenza. Osserva che la fattispecie di furto di cui all’art. 624-bis cod. pen. richiede un nesso finalistico tra l’ingresso nell’abitazione o in alto luogo di privata dimora e l’impossessamento e non solamente un collegamento occasionale, come appunto avvenuto nel caso di specie. Chiede, pertanto, che la sentenza impugnata, derubricato il delitto di cui all’art. 624 bis cod. pen. in quello di cui all’art. 624 cod. pen., sia annullata senza rinvio per difetto della prescritta condizione di procedibilità.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione alla identificazione del luogo in cui il fatto – di smarrimento e non di furto – si sarebbe verificato – nel salone di ingresso, secondo la sua prospettazione, piuttosto che nello spogliatoio – e alla volontà di commettere il furto, avendo la Corte territoriale valorizzato in maniera unilaterale le dichiarazioni della parte offesa senza tenere conto delle plurime indicazioni in senso contrario provenienti dall’imputato, che, ove opportunamente ponderate, avrebbero consentito ai giudici di merito una ricostruzione degli elementi censurati più logicamente coerente con la realtà effettuale.

Considerato in diritto

Il ricorso è solo in parte fondato.
1. Coglie nel segno il primo motivo di censura. Se è, infatti, condivisibile l’affermazione del giudice del gravame circa la riconducibilità alla nozione di luogo di privata dimora, cui fa riferimento la norma di cui all’art. 624 bis, comma 1, cod. pen., dello spogliatoio di un circolo sportivo (Sez. 5, n. 12180 del 10/11/2014 -dep. 23/03/2015, Dello Buono, Rv. 26281501), poiché tramite tale dizione il legislatore della novella n. 128 del 26 marzo 2001 ha inteso tutelare tutti i luoghi nei quali le persone si intrattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata (Sez. 5, n. 55040 del 20/10/2016 – dep. 28/12/2016, Rover, Rv. 268409; Sez. 5, n. 6210 del 24/11/2015 – dep. 15/02/2016, Tedde, Rv. 265875; Sez. 5, n. 428 del 30/06/2015 – dep. 08/01/2016, Feroleto, Rv. 265694), a tale rilievo, tuttavia, lo stesso giudice non si sarebbe dovuto arrestare, poiché avrebbe dovuto prendere in considerazione l’ulteriore requisito di fattispecie riguardante il nesso finalistico tra l’introduzione nel luogo di privata dimora e la commissione del reato di furto.
Come, infatti, si è perspicuamente osservato nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, n. 21293 del 01/04/2014 – dep. 26/05/2014, Licordari, Rv. 26022501; Sez. 5, n. 14868 del 15/12/2009 – dep. 16/04/2010, Franquillo e altro, Rv. 246886), l’art. 624 bis cod. pen., pur avendo ampliato l’area della punibilità in riferimento al luogo di commissione del reato, per nulla ha innovato rispetto al requisito del nesso finalistico fra l’ingresso nel luogo di privata dimora e l’impossessamento della cosa mobile: nesso già valorizzato nell’ermeneusi esercitatasi sulla norma previgente di cui all’art. 625 n. 1 cod. pen. (Sez. 2, n. 2347 del 21/12/2004 – dep. 26/01/2005, Albe e altro, Rv. 230695; Sez. 2, n. 8926 del 11/02/1988 – dep. 22/08/1988, Lo Faso, Rv. 179088).
Invero, la dizione “mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora”, propria del testo di cui all’art. 624 bis, comma 1, cod. pen., esprime una strumentalità dell’introduzione nell’edificio, quale mezzo al fine di commettere il reato, non diversa da quella precedentemente espressa con le parole “per commettere il fatto, si introduce o si intrattiene in un edificio…”. Ben diversamente, infatti, si è espresso il legislatore quando ha voluto prescindere dal nesso finalistico, correlando le aggravanti di cui all’art. 625 c.p., nn. 6 e 7 alla pura e semplice collocazione delle cose sottratte in determinati luoghi, uffici o stabilimenti.
A ciò occorre aggiungere, come sottolineato da perspicua dottrina, che il delitto di cui all’art. 624-bis cod. pen. ha natura di reato complesso, composto dall’unione di furto e violazione di domicilio e che, anzi, se prima della riforma del 2001 vi era qualche differenza terminologica tra la violazione di domicilio e l’aggravante del furto in abitazione, oggi tale nominalistico iatus è stato colmato: l’art. 614 cod. pen. punisce, infatti, chi “si introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora o nelle appartenenze di essi.. ovvero vi si trattiene” contro la volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero clandestinamente o con inganno. A tale lettura sembrano avere aderito del resto le Sezioni unite di questa Corte nella sentenza del 23 marzo 2017, D’Amico, allorché hanno affermato – come si legge nell’informazione provvisoria – che “rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624-bis cod. pen. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare”.
Tale interpretazione impone, dunque, di verificare ai fini della possibilità di ritenere o meno integrato il delitto di furto in abitazione di cui all’art. 624-bis cod. pen., se vi sia stata violazione di domicilio.
Dal testo della sentenza impugnata emerge, invero, che l’imputato non si introdusse nello spogliatoio allo scopo di commettere il furto, ma che, abusando, piuttosto, della situazione di legittimo accesso e trattenimento in esso, analogamente alla parte offesa, per riporvi gli effetti personali onde disputare una partita di calcetto nell’attiguo campo sportivo, s’impossessò del telefono cellulare sottraendolo dalle tasche della tuta della vittima. Da ciò deriva che il fatto siccome emergente dalla ricostruzione compiuta dalla Corte territoriale non può essere sussunto nello schema di incriminazione di cui all’art. 624-bis cod. pen., non essendo rinvenibile né il requisito dell’ingresso non consentito nel luogo di privata dimora né quello del nesso finalistico dell’ingresso rispetto al furto, ma piuttosto quello in quello di cui all’art. 624 cod. pen..
2. Inammissibile è, invece, il secondo motivo di impugnazione. Vale, infatti, ribadire che il giudice di legittimità non può conoscere del contenuto degli atti processuali per verificarne l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio, perché ciò, dopo due gradi di merito, è estraneo alla sua cognizione: sono pertanto irrilevanti, perché non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso parti di contenuto probatorio, tanto più se articolate, in concreto ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenerne un apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente, salvo che non emerga con tutta evidenza il travisamento della prova. Situazione che di certo non ricorre nel caso scrutinato, nel quale peraltro, trattandosi di pronunce di merito conformi, il ricorrente avrebbe dovuto indicare specificamente i dati probatori non esaminati dal primo giudice richiamati dalla Corte territoriale per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame e la loro decisività (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 – dep. 29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 25843801): onere al cui assolvimento la parte non ha adempiuto.
3. Dalle superiori considerazioni scaturisce l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce, che, previa verifica dell’esistenza della condizione di procedibilità del reato, dovrà procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio in relazione al delitto di cui all’art. 624 cod. pen..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Lecce per nuovo esame.

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