Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 16 marzo 2017, n. 12756

Ai fini della configurabilità del reato di minaccia, è sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire essendo irrilevante, invece, l’indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente. La frase “il mio scopo nella vita è farti piangere” fa scattare il reato di minaccia anche se non è seguito da nessuna condotta diretta a intimorire. Anche l’indeterminatezza male prospettato è sufficiente a limitare la libertà psichica della vittima

Suprema Corte di Cassazione

sezione V penale

sentenza 16 marzo 2017, n. 12756

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. DE MARZO Giusepp – rel. Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 16/10/2015 del TRIBUNALE di GENOVA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria depositata;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/10/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dott. DE MARZO GIUSEPPE;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MAZZOTTA GABRIELE, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

Udito il difensore della parte civile, Avv.to (OMISSIS), che ha concluso per l’inammissibilita’ o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16/10/2015 il Tribunale di Genova ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni, in favore della parte civile (OMISSIS), avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 612 c.p..

2. Nell’interesse dell’imputato e’ stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi.

2.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando che Tribunale neppure aveva considerato le dichiarazioni dell’imputato, il quale aveva negato l’addebito e, in particolare, di avere pronunciato le minacce – peraltro neppure oggettivamente rilevabili nell’espressione contestata -, ponendo a fondamento della decisione le affermazioni della persona offesa, la quale aveva riferito vagamente in ordine all’episodio, senza indicare il contesto nel quale si sarebbe verificato. Aggiunge il ricorrente che la sentenza impugnata non aveva preso in esame il significato delle fotografie e il tenore dei messaggi acquisiti, dai quali emergeva il clima sereno e aveva trascurato di valutare il clima di esasperata e persistente conflittualita’, che aveva condotto alla archiviazione di altro procedimento scaturito da una delle querele proposte dall’imputato nei confronti della (OMISSIS).

2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge in relazione al mancato rilievo della particolare tenuita’ del fatto, ai sensi del Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34.

3. E’ stata depositata memoria nell’interesse della parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va preliminarmente rilevato che la comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza per la trattazione del ricorso in esame e’ stata effettuata nei confronti di uno soltanto dei due difensori del ricorrente. Tuttavia, il vizio procedurale de quo deve ritenersi sanato, a seguito della mancata comparizione in udienza dei difensori stessi.

A questa conclusione – di recente ribadita, sia pure con riferimento all’udienza camerale, da Sez. 2, n. 21631 del 04/02/2015, Esposito, Rv. 26377801 -, si addiviene rilevando, innanzitutto, che l’omissione della comunicazione anzidetta, in ossequio ad una consolidata giurisprudenza di legittimita’, non da’ luogo ad una nullita’ assoluta, ai sensi dell’articolo 179 c.p.p., ma ad una nullita’ di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’articolo 180 c.p.p. (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe’, Rv. 249651).

Da tale osservazione discende che alla nullita’ in discorso e’ applicabile la sanatoria prevista dall’articolo 184 c.p.p., comma 1, dovendosi cogliere nella mancata comparizione del difensore regolarmente avvisato e del difensore al quale l’avviso non e’ stato comunicato una rinuncia per facta concludentia (la cui configurabilita’ emerge dal raffronto dell’articolo 184 c.p.p. con la diversa formulazione l’articolo 183 c.p.p., lettera a)) della parte da questi ultimi rappresentata a comparire all’udienza camerale.

2. Il primo motivo e’ inammissibile.

Con riferimento all’accertamento dei fatti, si osserva che le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu’ penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214).

In ogni caso, la verifica attraverso indici esterni delle dichiarazioni della persona offesa non si deve tradurre nell’individuazione di prove dotate di autonoma efficacia dimostrativa, dal momento che cio’ comporterebbe la vanificazione della rilevanza probatoria delle prime.

In tale contesto, le argomentazioni sviluppate dalla sentenza impugnata e dalla decisione di primo grado (e’ appena il caso di rilevare che, essendosi in presenza di una doppia pronuncia conforme in punto di penale responsabilita’ dell’imputato, le motivazioni delle due sentenze di merito vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico complesso argomentativo: cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011, Battaglia, Rv. 251550), non sono incrinate, nella loro logicita’, dalle considerazioni che, in altra vicenda, connotata dalla presenza anche di dichiarazioni ulteriori rispetto a quelle del (OMISSIS) e della (OMISSIS), hanno condotto alla archiviazione del procedimento scaturito da una querela del primo.

Peraltro, anche la generica critica rispetto all’efficacia intimidatoria della frase pronunciata (“il mio scopo nella vita e’ farti piangere”): a) da un lato, non considera, in punto di diritto, che elemento essenziale del reato in esame e’ la limitazione della liberta’ psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante, invece, l’indeterminatezza del male minacciato, purche’ questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente (Sez. 5, n. 45502 del 22/04/2014, Scognamillo, Rv. 26167801); b) dall’altro, in punto di fatto, trascura di considerare che soprattutto la sentenza di primo grado ha dato ben conto del contesto tutt’altro che sereno nel quale vivevano la fine del loro rapporto il (OMISSIS) e la (OMISSIS), come, peraltro, a dispetto dei documenti invocati, finisce per riconoscere lo stesso ricorrente, quando richiama il contenuto del sopra menzionato provvedimento di archiviazione.

3. Il secondo motivo e’ infondato, dal momento che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, comma 3, dopo l’esercizio dell’azione penale, la particolare tenuita’ del fatto puo’ essere dichiarata solo quando, oltre all’imputato, anche la persona offesa non si oppone.

Tuttavia, come chiarito da Sez. U. n. 43264 del 16/07/2015, tale volonta’ di opposizione e’ da ritenersi sussistente nel momento in cui la persona offesa, come nel caso di specie, una volta costituitasi parte civile, formuli richieste risarcitorie (v., in particolare, il par. 9 della motivazione).

4. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimita’, che, in relazione all’attivita’ svolta, vengono liquidate in Euro 1.500,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 1.500,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

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