Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione unite

ordinanza 1 ottobre 2014, n. 20661

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f.
Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere
Dott. CURZIO Pietro – Consigliere
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 22220/2013 proposto da:
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) ONLUS, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), per deleghe a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2183/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 22/03/2013;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/09/2014 dal Consigliere Dott. ALBERTO GIUSTI;
uditi l’Avvocato dello Stato (OMISSIS) e l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M., in persona del Procuratore Generale aggiunto Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso, ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., affinche’ la Corte voglia esaminare anche d’ufficio la questione giuridica sollevata dalle parti rimettendo la stessa alla Corte Costituzionale, in subordine dichiararsi la cessata materia del contendere.

RITENUTO IN FATTO
1. – Il 20 settembre 2011 e’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (n. 75, 4 serie speciale) il bando per la selezione di 10.481 volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all’estero presentati dagli enti inseriti nell’albo nazionale.
L’articolo 3 del bando prevede tra i requisiti di ammissione la cittadinanza italiana. Esso recita: “Ad eccezione degli appartenenti ai corpi militari e alle forze di polizia, possono partecipare alla selezione i cittadini italiani, senza distinzione di sesso, che, alla data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo e non superato il ventottesimo anno di eta’, in possesso dei seguenti requisiti: – essere cittadini italiani -“.
La clausola del bando riproduce la previsione contenuta nel Decreto Legislativo 5 aprile 2002, n. 77, articolo 3, comma 1, (Disciplina del servizio civile nazionale a norma della Legge 6 marzo 2001, n. 64, articolo 2), il quale ammette “a svolgere il servizio civile, a loro domanda, senza distinzioni di sesso i cittadini italiani che, alla data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo anno di eta’ e non superato il ventottesimo”.
2. – Il signor (OMISSIS) e’ un cittadino (OMISSIS) di venticinque anni che da quindici anni vive in Italia: qui ha completato la scuola secondaria, di primo e di secondo grado, e attualmente frequenta l’universita’. Egli ha presentato la domanda di ammissione al servizio civile presso la (OMISSIS) ambrosiana rimanendo in attesa di risposta ma venendo a sapere dai responsabili dell’ente che non avrebbe potuto essere inserito nella graduatoria ai fini della selezione in quanto privo della cittadinanza italiana.
3. – In data 21 ottobre 2011 il signor (OMISSIS), l'(OMISSIS) e l'(OMISSIS) onlus hanno presentato dinanzi al Tribunale di Milano, sezione lavoro, un ricorso ai sensi del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 44, (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero), denunciando la natura discriminatoria della clausola n. 3 del predetto bando, nella parte in cui ammette alla selezione i soli cittadini italiani.
Si e’ costituita la Presidenza del Consiglio dei ministri, resistendo.
Con ordinanza depositata il 12 gennaio 2012, la sezione lavoro del Tribunale di Milano ha dichiarato il carattere discriminatorio dell’articolo 3 del bando, la’ dove richiede tra i requisiti e le condizioni di ammissione il possesso della cittadinanza italiana, e ha ordinato alla Presidenza del Consiglio dei ministri (a) di sospendere le procedure di selezione, (b) di modificare il bando nella parte in cui richiede il requisito della cittadinanza italiana, consentendo l’accesso anche agli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia, e (c) di fissare un nuovo termine per la presentazione delle domande.
4. – L’Amministrazione ha proposto appello deducendo:
– il difetto di giurisdizione con riferimento all’ordine, impartito dal giudice ordinario, di sospendere la procedura e di emettere un nuovo bando di selezione con riapertura dei termini per la presentazione delle domande da parte degli stranieri;
– l’illegittimita’ della decisione nel merito, in quanto l’esclusione degli stranieri e’ imposta dal Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, il quale espressamente prevede tra i requisiti di ammissione al servizio civile la cittadinanza italiana, sicche’ il Tribunale avrebbe potuto, al piu’, rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimita’ costituzionale della norma stessa;
– la manifesta infondatezza, in ogni caso, del dubbio di legittimita’ costituzionale, essendo il servizio civile una forma di adempimento volontario del dovere di difesa della Patria (Corte cost., sentenza n. 228 del 2004), riservato ai soli cittadini.
Il gravame e’ stato resistito dagli appellati.
5. – Dopo avere sospeso, ai sensi degli articolo 431 e 283 c.p.c., “l’ordine di sospensione delle procedure di selezione” e “ogni conseguente pronuncia ordinatoria derivante”, la sezione lavoro della Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata in cancelleria il 22 marzo 2013, ha respinto l’impugnazione della Presidenza del Consiglio dei ministri.
5.1. – La Corte di Milano ha in primo luogo osservato che, poiche’ rientra nella giurisdizione del giudice ordinario anche la cognizione del comportamento discriminatorio consistente nell’emanazione di un atto amministrativo, il giudice e’ abilitato a decidere la controversia valutando il provvedimento amministrativo denunciato, disattendendolo, tamquam non esset, e adottando i conseguenti provvedimenti idonei a rimuoverne gli effetti. Questa opzione interpretativa – hanno soggiunto i giudici del gravame – e’ stata confermata dal Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 28, (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi della Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 54), applicabile dal 6 ottobre 2011, il quale prevede che, con l’ordinanza che definisce il giudizio, il giudice puo’ adottare, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole.
Nel merito, la Corte d’appello sostiene che il servizio civile nazionale ha assunto una propria fisionomia a seguito della sospensione dell’obbligatorieta’ del servizio di leva. Il servizio civile risponde infatti ad una idea di difesa della Patria che ricomprende attivita’ aventi natura solidaristica, di cooperazione internazionale, di protezione del patrimonio storico, culturale, ambientale ed artistico, di promozione della cultura e della pace tra i popoli. Dalla lettura dell’articolo 52 Cost., alla luce dell’articolo 2 Cost., discende una interpretazione evolutiva della nozione di “difesa della Patria”, suscettibile di essere estesa al campo dei doveri di solidarieta’ economica e sociale, e di tradursi in una sorta di “collaborazione civica” promossa e organizzata dallo Stato al fine di concorrere al progresso materiale e spirituale della societa’, ai sensi dell’articolo 4, secondo comma, Cost..
La conclusione che ne trae la Corte territoriale e’ che non sussiste alcuna ragionevole correlazione “tra l’esclusione dei non cittadini stabilmente residenti nel territorio dello Stato e la finalita’ perseguita dal legislatore”. Secondo la Corte territoriale, l'”irragionevolezza” ed il “carattere discriminatorio” della scelta di escludere gli stranieri residenti nel nostro Paese dalla possibilita’ di accedere su base volontaria al servizio civile emergono dalla considerazione che l’adempimento dei doveri di solidarieta’ cui fa riferimento l’articolo 2 Cost. si riferisce a tutti i consociati: tutti coloro che in Italia hanno stabilito la propria permanente residenza sono “parti di una comunita’ di diritti e di doveri, piu’ ampia e comprensiva di quella fondata sul criterio della cittadinanza in senso stretto”.
6. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la Presidenza del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso, con atto notificato il 26 settembre 2013, sulla base di tre motivi.
Il signor (OMISSIS), l'(OMISSIS) e l'(OMISSIS) onlus hanno resistito con controricorso.
7. – Con il primo motivo (rubricato “illegittimita’ della sentenza per motivi attinenti alla giurisdizione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 1”) si deduce che il giudice ordinario avrebbe dovuto pronunciarsi esclusivamente in ordine alle questioni di interesse del ricorrente nei confronti del quale soltanto si e’ realizzata l’effettiva discriminazione. La sentenza della Corte d’appello, invece, confermando la sospensione delle procedure di selezione e l’ordine di modifica del bando e di riapertura dei termini, avrebbe di fatto esteso erga omnes gli effetti della pronuncia, incorrendo in uno straripamento del proprio ambito cognitorio, e non avrebbe considerato che la possibilita’ di conoscere e disattendere l’atto amministrativo asseritamente discriminatorio e’ riconosciuta entro i consueti limiti della disapplicazione incidentale.
Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, della Legge n. 64 del 2001, articolo 1, nonche’ dell’articolo 52 Cost., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la Presidenza del Consiglio dei ministri contesta l’assunto, su cui poggia la pronuncia impugnata, che il servizio civile costituirebbe una realta’ del tutto scollegata dalla difesa della Patria. Richiamata la sentenza n. 228 del 2004 della Corte costituzionale, la ricorrente ritiene che la stretta correlazione tra il servizio civile e quello militare, non venuta meno per il solo fatto che il servizio militare ha perso il carattere di obbligatorieta’, confermerebbe l’asservimento di entrambi al comune obiettivo della difesa della Patria, obiettivo rispetto al quale il primo si pone come alternativo al secondo. Ad avviso dell’Amministrazione, il perseguimento di finalita’ solidaristiche non sarebbe rilevante per condurre il servizio civile fuori dall’ambito di legittimazione dell’articolo 52 Cost. La difesa della Patria comprenderebbe infatti anche attivita’ di impegno sociale non armato: accanto alla difesa militare, che rappresenta una delle forme di difesa della Patria, puo’ ben collocarsi un’altra forma di difesa, per cosi’ dire “civile”. Cio’ che rileva ai fini della corretta individuazione del titolo di legittimazione costituzionale del servizio civile non sarebbe tanto la natura oggettivamente solidaristica degli obiettivi tutelati mediante il servizio civile, quanto piuttosto il fatto che detti obiettivi sono assunti come propri dallo Stato in quanto espressione di interessi unitari e nazionali rilevanti per la difesa della Patria. La ricorrente esclude che la connotazione non militare degli enti presso cui puo’ essere espletato il servizio civile rilevi al fine della identificazione della natura del servizio e sottolinea l’autonomia del servizio civile nazionale rispetto al servizio civile che puo’ essere istituito dalle Regioni. La Presidenza del Consiglio ritiene, inoltre, che la riserva di cittadinanza in relazione al servizio civile nazionale sia oggetto di una scelta politica non illegittima: la difesa della Patria presuppone, infatti, uno stretto rapporto di lealta’ tra i cittadini e le istituzioni repubblicane, che, al di fuori di condizioni particolari, non puo’ essere richiesta ad un cittadino straniero. La ricorrente chiede, pertanto, che sia affermato il principio secondo cui l’allargamento del servizio civile, ormai non piu’ obbligatorio, a finalita’ solidaristiche, non ha determinato la “traslazione” del parametro costituzionale dell’istituto dall’alveo dell’articolo 52 Cost., a quello dell’articolo 2 Cost., sicche’ sarebbe giustificata l’esclusione dei non cittadini dal servizio civile, prevista dal bando di selezione per cui e’ causa, in conformita’ del Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, norma questa in vigore ed efficace e non in contrasto con i parametri costituzionali.
Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’articolo 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, nonche’ della Legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la ricorrente censura che la sentenza impugnata – a prescindere dal parametro costituzionale riferibile alla materia in esame, erroneamente identificato nell’articolo 2 Cost. – abbia operato un travalicamento dei limiti propri della potesta’ giurisdizionale, avendo direttamente disapplicato una norma di legge, il Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, anziche’ rimettere la questione al vaglio della Corte costituzionale.
8. – La difesa dei controricorrenti ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, previa eventuale sottoposizione alla Corte costituzionale della questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, comma 1, nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza italiana al fine di accedere al servizio civile nazionale, per supposto contrasto con gli articoli 2, 3 e 76 Cost., quest’ultimo in relazione al criterio direttivo contenuto nell’articolo 2, comma 3, lettera a), della legge delega per l’istituzione del servizio civile.
9. – In prossimita’ dell’udienza pubblica, la difesa dei controricorrenti ha depositato una memoria illustrativa con la quale ha chiesto che in via principale sia dichiarata la sopravvenuta cessazione materia del contendere: (a) per avere il sig. (OMISSIS) acquisito medio tempore la cittadinanza italiana e raggiunto, comunque, l’eta’ massima per essere ammesso allo svolgimento del servizio civile nazionale; (b) per avere il bando da cui era originato il contenzioso esaurito i propri effetti secondo le regole invocate dalla Amministrazione ricorrente, essendo il dispositivo della sentenza della Corte d’appello intervenuto allorche’ tutti i giovani cittadini italiani selezionati avevano gia’ concluso il servizio (che, in base alla Legge n. 64 del 2001, articolo 5, comma 4, ha la durata di dodici mesi). La difesa dei contro ricorrenti ha depositato documenti comprovanti l’intervenuto mutamento dello stato di fatto.
All’udienza di discussione, l’Avvocatura erariale, concordando sull’intervenuto mutamento dello stato di fatto nei termini indicati dalla difesa dei controricorrenti, ha concluso, in via principale, per l’accoglimento del ricorso e, in via incidentale, per la rimessione della questione alla Corte costituzionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Occorre preliminarmente rilevare che il sopravvenuto acquisto da parte della persona fisica ricorrente nel giudizio di merito della cittadinanza italiana e l’integrale svolgimento degli effetti dell’impugnato bando del 2011 secondo le regole originarie (i giovani italiani selezionati hanno preso servizio nel febbraio 2012, ultimandolo nel febbraio 2013) hanno determinato la sopravvenuta perdita di ogni utilita’ concreta derivabile alle parti dall’accoglimento o dal rigetto del ricorso per cassazione.
La vicenda concreta che la clausola del bando oggetto di contestazione era destinata a regolare appare – come risulta dai documenti prodotti dai controricorrenti – del tutto esaurita con la prestazione del servizio civile da parte dei giovani volontari selezionati; ne’ vi e’ spazio per un accertamento dell’illegittimita’ del bando a fini risarcitori, non avendo i ricorrenti nel giudizio di merito avanzato domanda in tal senso.
In una situazione siffatta, ritiene il Collegio che siano venute meno le condizioni per pronunciare sul fondo del ricorso per cassazione, il quale appare destinato alla definizione con una pronuncia in rito di inammissibilita’ per sopravvenuto difetto di interesse (cfr. Sez. un., 18 maggio 2000, n. 368; Sez. un., 15 novembre 2002, n. 16160; Sez. un., 21 giugno 2007, n. 14385; Sez. un., 4 agosto 2010, n. 18047; Sez. I, 28 maggio 2012, n. 8448).
2. – E tuttavia, la particolare importanza del thema decidendum induce il Collegio, stante la ravvisata inammissibilita’ del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, a ritenere sussistenti le condizioni per una pronuncia d’ufficio ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., comma 3, con l’enunciazione – nell’esercizio della funzione nomofilattica assegnata a questa Corte dalla citata disposizione del codice di rito – del principio di diritto nell’interesse della legge sulla questione di diritto trattata nella causa di merito e che il ricorso divenuto inammissibile propone.
Sussistono, ad avviso del Collegio, entrambe le condizioni per l’esercizio del potere d’ufficio della Corte: (a) l’inammissibilita’ del ricorso; e (b) la connotazione di “particolare importanza” della questione.
2.1. – Quanto al presupposto che il ricorso proposto dalle parti sia dichiarato inammissibile, la giurisprudenza di questa Corte ha infatti chiarito che l’articolo 363 c.p.c., comma 3, trova applicazione non soltanto nell’ipotesi di inammissibilita’ determinata dalla non impugnabilita’ del provvedimento, ma in tutti i casi di ricorso inammissibile, quale che sia l’ipotesi di inammissibilita’ (Sez. un., 6 settembre 2010, n. 19051), e quindi anche quando l’inammissibilita’ derivi, come nella specie, dal difetto sopravvenuto di interesse all’impugnazione (Sez. 3, 10 maggio 2013, n. 11113).
2.2. – In ordine, poi, alla particolare importanza della questione se, alla luce del disposto del Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, comma 1, sia o meno giustificato riservare l’accesso al servizio civile nazionale ai soli cittadini italiani e se, di conseguenza, abbia o meno carattere discriminatorio il bando per la selezione dei volontari che escluda dalla possibilita’ di avanzare la domanda di partecipazione alla selezione i cittadini stranieri i quali abbiano un collegamento legittimo e regolare con il territorio italiano, essa sussiste in base alle seguenti considerazioni.
Innanzitutto, sulla questione si registra un contrasto tra i giudici di merito. Mentre il Tribunale di Brescia, con ordinanza in data 9 maggio 2012, ha escluso la natura discriminatoria dell’articolo 3 del bando in data 20 settembre 2011, ritenendo che “la differenziazione tra cives e stranieri operata dal legislatore nel regolamentare l’accesso al servizio civile nazionale” sia “ragionevole, perche’ coerente con l’ordinamento nel suo complesso e, in particolare, con i principi costituzionali”, nel giudizio di merito che ha occasionato il presente ricorso per cassazione il Tribunale di Milano, prima, e la Corte d’appello di Milano, poi, hanno dichiarato il carattere discriminatorio del bando.
Inoltre, la questione e’ nuova per la giurisprudenza di questa Corte, ossia per l’organo chiamato, per specifica funzione ordinamentale, ad assicurare l’esatta osservanza della legge, la sua uniforme interpretazione e l’unita’ del diritto oggettivo nazionale, e quindi a garantire certezza del diritto ed eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. L’esercizio di questa funzione e’ tanto piu’ rilevante quando, come nella specie, la mancanza di un principio di diritto suscettibile di porsi, per il suo valore di precedente, con capacita’ coerenziatrice e sistematica investe un settore nevralgico della vita sociale, nel quale sono coinvolti numerosi giovani, operatori ed enti e dove vengono in gioco i diritti fondamentali della persona umana e il suo modo di essere nell’ambito del rapporto con gli altri.
D’altra parte, la questione ha l’attitudine a ripresentarsi in casi futuri, nei nuovi bandi per il servizio civile nazionale che l’Amministrazione procedente intenda pubblicare, sempre in forza della Legge n. 64 del 2001, e del Decreto Legislativo n. 77 del 2002. Proprio l’esperienza successiva – ed in particolare la vicenda della correzione, da parte dell’Amministrazione, del bando del 4 ottobre 2013, con riapertura dei termini in favore degli stranieri titolari di permesso di soggiorno o di permesso per protezione sussidiaria soltanto a seguito della nuova ordinanza del Tribunale di Milano in data 19 novembre 2013 emessa in un ulteriore e diverso procedimento, ma “con riserva dell’esito del relativo giudizio”, – dimostra l’esigenza di una risposta chiarificatrice proveniente dalla Corte di cassazione: la quale, se non ha piu’, a causa della inammissibilita’ del ricorso, la possibilita’ di pronunciarsi sul fondo delle censure con effetti sul concreto diritto dedotto in giudizio (essendo ormai lo ius litigatoris superato dai fatti e dalle cose), ha tra le proprie attribuzioni quella di enunciare, nell’interesse della legge, un principio capace di proiettarsi sui nuovi casi e sulle future istanze di giustizia dei soggetti che versano nella stessa situazione originaria del sig. (OMISSIS), e di orientare cosi’ le determinazioni della stessa Amministrazione procedente.
3. – Ad avviso del Collegio, la questione della natura discriminatoria o meno dell’esclusione degli stranieri residenti nello Stato italiano dall’accesso al servizio civile nazionale non puo’ essere risolta attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata del Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, comma 1.
Il giudice comune ha il potere ed il dovere di uniformare il diritto di cui e’ chiamato a dare applicazione al contenuto precettivo di fonti prevalenti su quelle interpretate: rientra pertanto tra i suoi compiti ricercare gia’ sul piano della applicazione della legge soluzioni ermeneutiche suscettibili di far penetrare la Costituzione in profondita’ nell’ordinamento e di armonizzare cosi’ le sfere della legalita’ ordinaria e della legalita’ costituzionale. E’ infatti insegnamento costante della Corte costituzionale che “in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche’ e’ possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perche’ e’ impossibile darne interpretazioni costituzionali” (cosi’ la sentenza n. 356 del 1996; piu’ di recente, la sentenza n. 21 del 2013).
Ma l’interpretazione adeguatrice deve muoversi nel rispetto delle potenzialita’ obiettive del dato testuale. Essa non puo’ essere condotta oltre i limiti estremi segnati dall’univoco tenore della norma interpretata: tale circostanza segna il “confine”, “in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimita’ costituzionale” (Corte cost., sentenze n. 219 del 2008, n. 78 del 2012, n. 232 del 2013).
Nel caso in esame, il dettato normativo del Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, comma 1, e’, per l’appunto, univoco, e si muove in una direzione opposta a quella – inclusiva, aperta e non discriminatoria – ritenuta possibile dal giudice del merito con la sua esegesi.
Esso infatti, nel prevedere i requisiti di ammissione al servizio civile nazionale, stabilisce che possono accedere ad esso, a domanda, “i cittadini italiani”, e quindi si riferisce ai titolari dello status civitatis secondo l’apposita legge disciplinatrice (Legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante “Nuove norme sulla cittadinanza”), la quale definisce chi formalmente “appartiene” allo Stato italiano in base ad un insieme di norme sul possesso, sull’acquisto e sulla perdita dello status di cittadino.
In altri termini, il legislatore delegato ha fatto ricorso ad una nozione giuridico-formale di “cittadino italiano”: sicche’ lo stabilire se il soggetto rientri in quella categoria – e sia quindi legittimato a presentare domanda di svolgimento delle prestazioni di servizio civile – dipende dall’accertamento dei presupposti stabiliti dal diritto positivo per l’ottenimento di quella qualifica.
Il testo della disposizione del decreto legislativo non consente di ritenere che il legislatore delegato, adoperando la locuzione “cittadini italiani” in un contesto tecnico quale quello rivolto a fissare i requisiti di ammissione e di partecipazione al servizio civile nazionale, abbia inteso riferirsi ad una nozione, ampia e deformalizzata, di “cittadinanza di residenza”, capace di accogliere nel suo ambito tutti i soggetti, ivi inclusi gli stranieri, che appartengono in maniera stabile e regolare alla comunita’.
4. – Assodata l’impraticabilita’ di una reductio ad legitimitatem mediante l’interpretazione costituzionalmente conforme, il Collegio ritiene di dover sollevare, in riferimento agli articoli 2, 3 e 76 Cost., la questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, comma 1, nella parte in cui, prevedendo il requisito della cittadinanza italiana, esclude i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilita’ di essere ammessi a prestare il servizio civile nazionale.
Il dubbio di costituzionalita’ appare rilevante e non manifestamente infondato.
5. – Il dubbio di legittimita’ costituzionale si appalesa rilevante perche’ la norma denunciata e’ destinata a trovare applicazione in sede di legittimita’ ai fini della formulazione del principio di diritto che queste Sezioni unite ritengono di dover enunciare ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., comma 3, ossia ai fini della pronuncia di una regola di giudizio che, sebbene non influente nella concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili.
Tra il quesito di costituzionalita’ e la definizione di questo giudizio a quo con l’esercizio, da parte della Corte di cassazione, della funzione nomofilattica nell’interesse della legge, sussiste pertanto un rapporto di pregiudizialita’.
La questione di diritto di particolare importanza e’, infatti, se abbia natura discriminatoria, o se al contrario sia legittima, l’esclusione degli stranieri regolarmente soggiornati in Italia dall’ammissione al servizio civile nazionale.
Ove la questione di legittimita’ costituzionale venisse dichiarata non fondata dalla Corte costituzionale, in base al Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, comma 1, dovrebbe ritenersi legittima l’esclusione degli stranieri dal servizio civile, attesa la conformita’ dei bandi per la selezione di volontari contenenti una simile clausola alla citata norma del decreto delegato, non in contrasto, a sua volta, con i parametri costituzionali evocati la’ dove, appunto, preclude ai non-cittadini, ancorche’ regolarmente soggiornanti, l’accesso al servizio.
Se, invece, il dubbio di costituzionalita’ dovesse essere accolto e il Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, comma 1, fosse dichiarato, in parte qua, costituzionalmente illegittimo, ne discenderebbe l’enunciazione, ad opera di queste Sezioni unite, di un principio di diritto di segno opposto, nel senso della sussistenza della discriminazione derivante dalla riserva in favore dei cittadini prevista nei bandi, discriminazione discendente dalla accertata illegittimita’ costituzionale della norma del decreto legislativo che prevedeva il medesimo requisito, poi caduto per effetto dell’intervento della Corte costituzionale.
5.1. – E’ d’altra parte da escludere, ad avviso del Collegio, che la funzione nomofilattica esercitabile dalla Corte di cassazione con l’enunciazione d’ufficio del principio di diritto nell’interesse della legge sia da cogliere in una dimensione statica e debba esaurirsi sul piano della legalita’ ordinaria. Il primato della Costituzione rigida, assistito dal controllo di costituzionalita’ delle leggi affidato alla Corte costituzionale, implica che anche nell’esercizio della funzione giurisdizionale cui il giudice di legittimita’ puo’ essere chiamato a norma dell’articolo 363 c.p.c., comma 3, vi sia il potere-dovere di provocare l’incidente di costituzionalita’.
6. – In punto di non manifesta infondatezza del dubbio di legittimita’ costituzionale, il Collegio osserva che il servizio civile nazionale – con la definitiva emancipazione dal riferimento necessario, per il tramite dell’obiezione di coscienza, al servizio militare obbligatorio – si configura, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, come “l’oggetto di una scelta volontaria che costituisce adempimento del dovere di solidarieta’ (articolo 2 Cost.), nonche’ di quello di concorrere al progresso materiale e spirituale della societa’ (articolo 4 Cost., comma 2” (sentenza n. 228 del 2004).
Il dovere di difesa della Patria, letto nell’ambito ed in connessione con l’articolo 2 Cost., ha assunto nuove potenzialita’ semantiche: esso non si risolve in attivita’ finalizzate a contrastare o prevenire un’aggressione esterna al territorio dello Stato e dei suoi confini, ma si e’ esteso sino a ricomprendere forme spontanee di impegno sociale non armato volte alla salvaguardia e alla promozione dei valori comuni e fondanti il nostro ordinamento. Le virtualita’ dell’articolo 2 Cost., d’altra parte, trascendono “l’area degli obblighi normativamente imposti”, chiamando la persona ad agire non solo per imposizione di una autorita’, ma anche per libera e spontanea espressione della profonda socialita’ che caratterizza la persona stessa” (sentenza n. 228 del 2004, cit.).
Il servizio civile nazionale, “forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria” (sentenza n. 228 del 2004, cit.), si colloca a pieno in questo contesto.
Secondo le finalita’ il cui perseguimento e’ stato al servizio affidato dalla legge istitutiva (Legge 6 marzo 2001, n. 64, articolo 1), esso permette di partecipare in modo attivo alla costruzione di una democrazia sana e di nuove forme di cittadinanza; consente di colmare il divario creatosi tra i bisogni collettivi e le risposte pubbliche, in un’ottica di promozione e di tutela dei diritti, soprattutto dei soggetti piu’ vulnerabili e svantaggiati; costituisce un istituto di integrazione, di inclusione e di coesione sociale e di diffusione di una cultura, vissuta e sperimentata, di partecipazione alla vita delle comunita’, favorendo la costruzione di una piu’ matura coscienza civile delle giovani generazioni; rappresenta una forma di salvaguardia e di tutela del patrimonio comune, sia esso ambientale, paesaggistico o monumentale, con azioni volte a promuovere un senso di responsabilita’ e di rispetto nell’uso e nella valorizzazione dei beni comuni.
6.1. – Con riguardo alla condizione giuridica dello straniero, la Corte costituzionale ha anche di recente ribadito (sentenza n. 245 del 2011) che “la basilare differenza esistente tra il cittadino e lo straniero – consistente nella circostanza che, mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e generalmente temporaneo – puo’ giustificare un loro diverso trattamento nel godimento di certi diritti”, e che, tuttavia, “resta pur sempre fermo … che i diritti inviolabili, di cui all’articolo 2 Cost., spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunita’ politica, ma in quanto esseri umani, di talche’ la condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi”.
In questo contesto si colloca la sentenza n. 309 del 2013, con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 15, comma 1, lettera b), della legge della Provincia autonoma di Bolzano 19 novembre 2012, n. 19 (Disposizioni per la valorizzazione dei servizi volontari in provincia di Bolzano e modifiche delle leggi provinciali in materia di attivita’ di cooperazione allo sviluppo e personale), nella parte in cui escludeva i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilita’ di prestare servizio sociale volontario (che e’ svolto “da persone adulte a partire dall’eta’ di 29 anni, per una durata massima di 32 mesi, presso organizzazioni ed enti di diritto pubblico e privato”: articolo 3, comma 1, lettera b, della legge provinciale). La Corte ha censurato come irragionevole la scelta di “subordinare la possibilita’ di accedere al servizio sociale volontario al possesso della cittadinanza italiana o di altro Stato dell’Unione Europea, in quanto si tratta di prestazioni personali effettuate spontaneamente a favore di altri individui o della collettivita’”, sottolineando che anche agli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio italiano “deve essere riconosciuta … la possibilita’ di partecipare al servizio sociale volontario, quale espressione del principio solidaristico”.
6.2. – Tanto premesso, ad avviso del Collegio, il Decreto Legislativo n. 77 del 2002, articolo 3, comma 1, in parte qua, contrasta, in primo luogo, con gli articoli 2 e 3 Cost..
Infatti, poiche’ le attivita’ svolte nell’ambito dei progetti di servizio civile nazionale rappresentano diretta realizzazione del principio di solidarieta’, per il quale “la persona e’ chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un’autorita’, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialita’ che caratterizza la persona stessa” (Corte cost., sentenza n. 75 del 1992), l’esclusione dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilita’ di essere ammessi a prestare il servizio civile nazionale preclude allo straniero il pieno sviluppo della sua persona e l’integrazione nella comunita’ di accoglienza, impedendogli di concorrere a realizzare progetti di utilita’ sociale nell’ambito di un istituto giuridico a cio’ deputato con una sua dimensione pubblica, oggettiva ed organizzativa e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore degli altri e del bene comune come componente essenziale di vita e come forma di educazione ai valori della Repubblica.
Si tratta, secondo queste Sezioni unite, di una esclusione non proporzionata ne’ ragionevole: posto che, per un verso, l’attivita’ di impegno sociale che la persona e’ chiamata a svolgere nell’ambito del servizio civile nazionale, mentre “deve essere ricompresa tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente” (sentenza n. 309 del 2013, cit.), non implica in alcun modo, nemmeno in via occasionale, la partecipazione all’esercizio di pubblici poteri; e, per l’altro verso, agli “stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato” – per espressa previsione contenuta nel Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 2, comma 2, – e’ riconosciuto il godimento “dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano”.
A questo giudice rimettente la norma censurata appare in contrasto anche con l’articolo 76 Cost., per violazione del criterio direttivo della legge delega di cui alla Legge n. 64 del 2001, articolo 2, comma 3, lettera a). Infatti, mentre la Legge n. 64 del 2001, articolo 2, nel delegare il Governo ad emanare uno o piu’ decreti legislativi aventi ad oggetto, tra l’altro, l’individuazione dei soggetti ammessi a prestare volontariamente servizio civile, indicava tra i criteri direttivi – al comma 3, lettera a) – la “ammissione al servizio civile volontario di uomini e donne sulla base di requisiti oggettivi e non discriminatori”, l’articolo 3, comma 1, del decreto delegato, fissando il requisito della cittadinanza italiana nella disciplina per l’accesso al servizio civile nazionale, introduce un requisito di ammissione discriminatorio, che preclude al non-cittadino regolarmente soggiornante in Italia la possibilita’ di un pieno dispiegamento della liberta’ e dell’eguaglianza, da intendersi anche quale veicolo di apprendimento del senso etico dello stare insieme nella nostra comunita’ di accoglienza e di costruzione dei rapporti sociali e dei legami tra le persone in una prospettiva di solidarieta’, di pace e di apertura al confronto nell’ambito di una convivenza pluralistica. Appare significativo, al riguardo, che la citata legge delega n. 64 del 2001 conteneva il requisito della cittadinanza soltanto nel periodo transitorio, “fino alla data di efficacia dei decreti legislativi di cui all’articolo 2” (cosi’ l’articolo 4), prevedendosi che, in detto periodo, “sono soggetti all’obbligo di prestare servizio civile … i cittadini, abili al servizio militare di leva, che dichiarino la loro preferenza a prestare il servizio civile piuttosto che il servizio militare, purche’ non risultino necessari al soddisfacimento delle esigenze qualitative e quantitative delle Forze armate”: il che rafforza, a contrario, l’interpretazione che assegna all’articolo 2, comma 3, lettera a), della legge una portata che, a regime, non ammette distinzioni sulla base del criterio della nazionalita’.
6.2.1. – Ne’, ad avviso del Collegio, la scelta del legislatore delegato appare giustificata dalla previsione contenuta nell’articolo 52 Cost., comma 1, che configura la difesa della Patria, nel cui orizzonte si collocano le attivita’ del servizio civile nazionale, come “sacro dovere del cittadino”.
Infatti, la portata normativa della disposizione costituzionale e’ – come gia’ riconosciuto dalla Corte costituzionale (sentenza n. 172 del 1999) – “quella di stabilire in positivo, non gia’ di circoscrivere in negativo i limiti soggettivi del dovere costituzionale”. L’articolo 52 Cost., e’ una norma di garanzia, nel senso che garantisce che a nessun cittadino possa essere riservato il privilegio di una esenzione immotivata dall’obbligo di leva.
Per l’altro verso, poiche’ il servizio civile nazionale si propone come una realta’, caratterizzata da liberta’ e spontaneita’, in cui si esprime la vocazione sociale e solidaristica di chi vi accede, sembra escluso in radice il rischio del sorgere di situazioni di conflitto potenziale tra opposte lealta’: la partecipazione dello straniero regolarmente soggiornante in Italia ad una comunita’ di diritti, piu’ ampia e comprensiva di quella fondata sulla cittadinanza in senso stretto, postula che anch’egli, senza discriminazioni in ragione del criterio della nazionalita’, sia legittimato, su base volontaria, a restituire un impegno di servizio a favore di quella stessa comunita’, sperimentando le potenzialita’ inclusive che nascono dalla dimensione solidale e responsabile dell’azione a favore degli altri e a difesa dei valori inscritti nella Carta Repubblicana.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni unite:
visti l’articolo 134 Cost., e Legge 11 marzo 1953, n. 87, articolo 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 76 Cost., la questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo 5 aprile 2002, n. 77, articolo 3, comma 1, (Disciplina del Servizio civile nazionale a norma della Legge 6 marzo 2001, n. 64, articolo 2), nella parte in cui, prevedendo il requisito della cittadinanza italiana, esclude i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilita’ di essere ammessi a prestare il servizio civile nazionale;
dispone la sospensione del presente giudizio;
ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei ministri;
ordina, altresi’, che l’ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *