Cassazione 4

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

sentenza 27 marzo 2015, n. 6200

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26519/2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

V. DI V. ERMENEGILDO & C. SNC;

– intimato –

Nonchè da:

V. DI V. ERMENEGILDO & C SNC, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DI SAN LORENZO IN LUCINA 26, presso lo studio dell’avvocato MARULLO DI CONDOJANNI FRANCESCO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 19/2011 della COMM.TRIB.REG. della Sicilia, SEZ. DIST. di MESSINA, depositata il 14/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/03/2014 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato MARULLO DI CONDOJANNI che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

1. In riferimento all’anno d’imposta 2007 la soc. V. di V. E. & Co. chiedeva il rimborso dei credito IVA di 210 mila Euro adducendo l’acquisto di beni ammortizzabili.

Il fisco negava il rimborso sia perchè il credito d’imposta derivava da spese per la ristrutturazione di un immobile alberghiero condotto in locazione ritenute non suscettibile di ammortamento, mancando il requisito della proprietà dell’immobile, sia perchè la società, all’epoca inattiva, non aveva mai attivato la preventiva procedura dell’interpello disapplicativo.

Il diniego, impugnato dalla società, era annullato in prime cure con decisione confermata in appello dalla sezione messinese della Commissione tributaria regionale della Sicilia, giusta sentenza del 14 marzo 2011.

2. Il giudice di secondo grado motivava la pronunzia ritenendo, sul primo punto controverso, che il decreto IVA (D.P.R. n. 633 del 1972), agli artt. 30 e 38 bis, non poneva alcuna distinzione tra spese inerenti a immobili appartenenti alla parte contribuente e spese inerenti ad immobile rilevato in locazione dalla parte contribuente;

aggiungeva che l’elemento discriminante non era la proprietà dell’immobile bensì l’inerenza delle spese di ristrutturazione come costo d’impresa diretto a produrre in futuro maggiori ricavi e maggiori redditi.

Sulla seconda questione controversa, rilevava che, avendo il fisco riscontrato in loco che il fabbricato adibito ad albergo era in fase di completa ristrutturazione, aveva quindi appurato la ragione per la quale negli ultimi tempi la società non aveva posto in essere operazioni attive, così rientrando nel perimetro delle fattispecie disapplicative della normativa antielusiva disegnato dalla Circolare n. 5 del 2007.

3. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione per vizi motivazionali e violazioni di norme di diritto. La società resiste con controricorso, ricorso incidentale (sulla compensazione delle spese) e memoria.

Motivi della decisione

4. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione per vizi motivazionali (motivo 1) e per violazioni dell’art. 30, comma 3 – lett. c), del decreto IVA (motivo 2) e della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1 e comma 4 bis (motivo 3).

Con i primi due motivi la ricorrente principale censura su piano della motivazione e della tesi giuridica la sentenza d’appello nella parte in cui trascura che ai fini (della detrazione d’imposta e quindi) del rimborso è necessario che la spesa sostenuta riguardi beni strumentali i quali, utilizzati nel ciclo produttivo direttamente dall’imprenditore, siano da questo posseduti a titolo di proprietà o di altro diritto reale e, in quanto tali, fiscalmente ammortizzabili. Per cui deve trattarsi di immobilizzazioni materiali (art. 102 TUIR) o immateriali (art. 103 TUIR), ammortizzabili ai fini delle imposte dirette, mentre le spese incrementative su beni di terzi rientrano nella diversa categoria degli oneri pluriennali quali semplici spese relative a più esercizi (art. 108, comma 3, TUIR).

Con l’ultimo motivo, la ricorrente ribadisce il proprio assunto secondo cui l’attivazione preventiva dell’interpello disapplicativo, disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8, fosse condizione indispensabile per essere esonerata dall’osservanza delle disposizioni relative alle società non operative, non bastando il semplice dato dell’impossibilità obiettiva di conseguire ricavi durante la ristrutturazione e la conseguente inagibilità dell’immobile alberghiero.

5. Riguardo ai primi due motivi, si osserva che, in virtù dell’art. 30 del decreto IVA, “il contribuente può chiedere in tutto o in parte il rimborso dell’eccedenza detraibile, se di importo superiore a lire cinque milioni, all’atto della presentazione della dichiarazione… limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili…”.

La Direttiva CE del Consiglio n. 112 del 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, stabilisce all’art. 183:

“Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite”.

Indi, prevede all’art. 187 che, “per quanto riguarda i beni d’investimento, la rettifica deve essere ripartita su cinque anni” e che, “per quanto riguarda i beni d’investimento immobiliari, la durata dei periodo che funge da base per il calcolo delle rettifiche può essere prolungata sino a vent’anni”.

Inoltre chiarisce all’art. 189 che “gli stati membri possono adottare le misure per definire il concetto di beni d’investimento” e all’articolo 190 che “gli Stati membri possono considerare beni d’investimento i servizi che hanno caratteristiche analoghe a quelle normalmente attribuite ai beni d’investimento”.

Infine, la Corte di giustizia rammenta che i principi di neutralità e proporzionalità impongono agli Stati membri di far ricorso a mezzi che portino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai principi stabiliti dal diritto dell’UE (sentenze C-112/78 del 20/02/1979, Buitoni; C-265/87 dell’11/07/1989, Schrader, C-133/93 del 05/10/1994, Crispoltoni).

6. Il fisco si rifa alla distinzione tra ammortamento dei beni materiali e immateriali (artt. 102 e 103 TUIR), da un lato, e deduzione delle “spese relative a più esercizi” (art. 108, comma 3, TUIR), ricavando la conclusione che solo quelle ammortizzabili ai sensi del TUIR consentono il rimborso dell’IVA assolta per l’acquisto dei relativi beni materiali e immateriali, diversamente dai costi con utilità pluriennale che, sempre secondo il TUIR, sono deducibili ma non ammortizzabili.

Si tratta di spese che, nel bilancio civilistico (art. 2424 c.c.), sono classificate tra le “altre immobilizzazioni” di cui al punto B.I.7. In particolare, l’OIC 24 sulle immobilizzazioni immateriali classifica tra le “altre immobilizzazioni immateriali” (p.73) tra l’altro “l’ammortamento dei costi per migliorie dei beni di terzi” (p.95), precisando che esso “si effettua nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione”. Ciò pare coerente con l’art. 9 della IV Direttiva sui conti annuali delle società (n. 660 del 1978) che al B consente alle legislazioni nazionali di prevedere le spese di ampliamento sotto le “immobilizzazioni immateriali”. Dunque, le migliorie dei beni di terzi non sono suscettibili di ammortamento fiscale secondo il TUIR, mentre sono assoggettate ad ammortamento di bilancio secondo il codice civile e la Direttiva sui conti annuali.

7. Sul piano dell’IVA si è detto in dottrina che la detassazione degli scambi situati nel ciclo produttivo e distributivo è attuata attraverso la detrazione e determina il rimborso dell’eventuale eccedenza detraibile.

La stessa Corte di giustizia non ha mancato di ricordare che l’obbligo del fisco nazionale di rimborsare l’eccedenza dell’IVA si riconnette al diritto del contribuente all’immediato diritto a detrazione (sentenza C-286/94 del 18/12/1997, Molenheide Bvba), secondo un sistema diretto ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche (sentenza C-110/98 del 21/03/2000, Gabalfrisa SL).

La Corte di Lussemburgo ha ripetutamele ribadito che, ai fini di stabilire se sia detraibile, o meno un’attività di acquisto o di ristrutturazione di un bene da adibire all’esercizio dell’impresa, deve aversi riguardo all’intenzione del soggetto passivo di imposta, confermata da elementi obiettivi, di utilizzare un bene o un servizio per fini aziendali; il che consente di determinare se, nel momento in cui procede all’operazione a monte, detto soggetto passivo agisca come tale, e debba dunque poter beneficiare del diritto a detrazione dell’IVA dovuta o assolta per i detti beni e servizi (sentenze C- 97/90 dell’11/07/1991, Lennartz, e C-400/98 del 08/06/00, Breitshol; conf. C-334/10 del 19/07/2012).

Ne consegue, per la Corte di giustizia, che il sistema comune garantisce, di regola, “la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purchè queste siano di per sè soggette all’IVA” (sentenza C-50/87 del 21/09/1988, Commissione c. Repubblica francese; conf. C-268/83 del 14/02/1985, Rompelman).

In tale prospettiva, si è detto nella dottrina italiana, “le modalità stabilite dai Paesi membri in funzione del rimborso, ovvero del riporto, dell’eccedenza…, non possono violare il principio fondamentale della neutralità, mediante restrizioni poste all’immediatezza ed all’integralità della deduzione, in modo da far gravare sul soggetto passivo una parte degli oneri (anche di natura finanziaria) dell’IVA, mentre gli stessi dovrebbero gravare esclusivamente sul patrimonio del consumatore finale, al termine dalla catena produttiva e distributiva dei beni e dei servizi” (analogamente nella dottrina francese, in considerazione dell’art. 2 della prima direttiva dell’11 aprile 1967, “tel que defini dans la premiere directive, le systeme communautaire de IVA repose sur le mecanisme centrai de la deduetion, cest lui qui confere a cette taxe les avantages de la neutralita”).

8. Sul piano del diritto interno, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare che l’affittuario di fondi rustici ha il diritto di portare in detrazione l’imposta assolta sulle spese di ristrutturazione dei fabbricati rurali costituenti beni destinati all’esercizio dell’attività agriturista, non rilevando che egli non ne sia proprietario, nè potendo il proprietario del fondo essere considerato come destinatario o consumatore finale dei lavori di ristrutturazione (Sez. 5, Sentenza n. 10079 del 30/04/2009), trattandosi di spese incrementative del valore dei beni che si trovano nella sua disponibilità e che vengono eseguite al fine di migliorare la redditività della sua impresa (conf. Sez. 5, Sentenza n. 3544 del 16/02/2010).

Ad analoghe conclusioni, questa Corte è recentemente giunta anche in tema di ristrutturazione d’immobile aziendale ottenuto in comodato, ritenendo esservi un interesse idoneo a giustificare il tutto sul piano economico-giuridico, prima ancora che fiscale, atteso che, in siffatta ipotesi, il comodatario ottiene il diritto di disporre dell’immobile al fine di utilizzarlo e adeguarlo per la propria attività economica per la durata del contratto (Sez. 5, Sentenza n. 1959 del 29/01/2014).

Ciò che rileva, in definitiva, è la strumentante dell’immobile, sul quale vengono eseguiti i lavori di ristrutturazione o miglioramento, all’attività dell’impresa, a prescindere dalla proprietà del bene da parte del soggetto che esegue i lavori, restando, quindi, irrilevante, di per sè, la disciplina civilistica in tema di locazione e gli stessi accordi contrattuali intercorsi tra le parti, ferma restando ovviamente la configurabilità di fattispecie fraudolente in ipotesi di fittizietà dei costi medesimi (Sez. 5, Sentenza n. 13327 del 17/06/2011; v. n. 8389 del 05/04/2013).

9. Pertanto, dovendo la Corte nazionale di ultima istanza attenersi all’articolo 249 del Trattato di Amsterdam e quindi interpretare, per quanto possibile, il diritto interno alla luce della lettera e dello scopo della Direttiva del Consiglio n. 112 del 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, non v’è ragione per escludere (la detrazione e di conseguenza) il rimborso dell’IVA assolta sul costo dei lavori di ristrutturazione del fabbricato condotto in locazione e dalla parte contribuente e costituente bene destinato all’esercizio dell’attività alberghiera della stessa parte contribuente. Si tratta, infatti, di eccedenza per un verso conforme ai dettami generali della predetta Direttiva del 2006 (artt. 163, 183, 187, 189 e 190), per un altro formatasi in relazione a costi per migliorie di beni di terzi eseguite al fine di migliorare la redditività dell’impresa e ammortizzabili nel bilancio civilistico quali “altre immobilizzazioni immateriali” (art. 2424 c.c., B.I.7; OIC 24, 23, 73, 95) alla stregua della normativa comunitaria sui conti annuali delle società (IV Direttiva, art. 9).

10. Passando all’esame dell’ultimo motivo la stessa amministrazione, nella Circolare n. 32 del 2010 invocata in controricorso, riesamina favorevolmente la posizione dei soggetti che, pur essendo obbligati alla presentazione dell’istanza di interpello in ragione di particolari situazioni per le quali si rende necessario un monitoraggio preventivo da parte dell’Agenzia, non abbiano ottemperato al relativo obbligo, disattendendo la condizione prevista per la disapplicazione di specifiche disposizioni normative.

In proposito rilevato che, nel rispetto dei principi costituzionali e comunitari, deve considerarsi superata l’indicazione, contenuta nella citata Circolare n. 7 del 2009, che con riferimento specifico alle istanze d’interpello disapplicativo della disciplina delle società non operative, aveva stabilito che “in assenza di presentazione dell’istanza, il ricorso al giudice tributario è inammissibile considerato che la disapplicazione non è ammessa in assenza della relativa istanza, che non può essere proposta per la prima volta in sede contenziosa”.

Infatti, anche quando l’interpello sia stato proposto, la risposta della P.A. ha la natura di parere, al quale il contribuente può non adeguarsi, il che non è in alcun modo lesivo della posizione del contribuente il quale può riservarsi d’impugnare a tempo debito, gli eventuali atti nei quali si dovesse farsi applicazione delle disposizioni antieiusive il cui esonero sia stato negato (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17010 del 05/10/2012; vedi Cons. Stato, decisione n. 414 del 26/01/2009). Il che comporta che la sede giudiziale sia quella propria nella quale il contribuente possa allegare e provare sempre la presenza di quelle oggettive situazioni che non hanno consentito di effettuare operazioni rilevanti ai fini dell’IVA e che consentono la disapplicazione delle relative disposizioni antieiusive.

11. La conclusione è coerente anche coi principi sanciti dalla Corte di giustizia secondo cui il diritto a detrazione rimane acquisito qualora, a causa di circostanze estranee alla sua volontà, il soggetto passivo non abbia mai fatto uso dei suddetti beni e servizi per realizzare operazioni imponibili (sentenza C-37/95 del 15/01/1998), atteso che osta ai principi in materia di armonizzazione delle imposte sulla cifra d1 affari la perdita del diritto alla detrazione o il differimento dell’esercizio di tale diritto fino all’inizio effettivo dello svolgimento abituale delle operazioni imponibili (sentenza C-110/98 del 21/03/2000); infatti, anche le attività preparatorie devono già essere considerate attività economiche (sentenza C-268/83 del 14/02/1985), al pari delle prime spese di investimento effettuate con la dichiarata intenzione dell’impresa di avviare un’attività soggetta all’IVA (sentenza C-110/94 del 29/02/1996).

A maggior ragione ciò vale in presenza delle peculiari situazioni ritenute rilevanti dal 4.5 della Circolare n. 5 del 2007 a favore della parte contribuente, quali le Immobilizzazioni in corso di realizzazione non suscettibili, al momento, di produrre un reddito, ancorchè minimo, e la temporanea inagibilità dell’immobile. Si tratta appunto delle condiziono addotte dalla contro ricorrente e positivamente riscontrate in loco dai funzionari dell’Agenzia che hanno rilevato come l’albergo fosse in fase di ristrutturazione, tanto che, proposto interpello disapplicativo per il successivo anno d’imposta 2008, esso è stato pacificamente accolto.

12. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la società contribuente si duole della compensazione delle spese di secondo grado denunciando la violazione dell’art. 92 c.p.c.

Il mezzo non è fondato.

Nella sentenza d’appello si legge: “Considerata la peculiarità della materia, si ritiene che esistano giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio”.

Invero, per quanto riguarda l’oggetto principale della vertenza, il rimborso dell’IVA assolta dalla società conduttrice sul costo dei lavori di ristrutturazione del fabbricato alberghiero condotto in locazione, gli indicatori giurisprudenziali sono andati formando in epoca prossima e successiva alla proposizione dell’appello. Da qui deriva “la peculiarità della materia” in termini di rilevante novità della relativa questione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 2572 del 22/02/2012).

13. Le spese processuali del presente giudizio di legittimità seguono la maggior soccombenza dell’Agenzia delle entrate e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Condanna l’Agenzia delle entrate alle spese del presente giudizio di legittimità liquidate, a favore dell’Agenzia delle entrate, in Euro 7000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per borsuali e agli oneri di legge.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2015

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