Cassazione10

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 18 marzo 2016, n. 5384

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27427-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 678/2009 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di VENEZIA, depositata il 21/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/05/2015 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIORDANO che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. L’ufficio delle imposte dirette di Rovigo notificava in data 17.9.1984 all’avv.to (OMISSIS), nella sua qualita’ di curatore fallimentare della Po Edil s.n.c., distinti avvisi di accertamento indirizzati ai soci di essa (OMISSIS) e (OMISSIS), con cui, a seguito della rettifica dei redditi di impresa conseguiti dalla societa’ nell’anno 1981, procedeva a rideterminare il reddito di partecipazione dei soci e a recuperare nei confronti del solo (OMISSIS) la deduzione ILOR operata ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 599 del 1973, articolo 7.

I detti atti impositivi erano impugnati nella sopradetta sua qualita’ dall’avv.to (OMISSIS) con separati ricorsi alla CT di 1 Grado di Rovigo, avanti alla quale, nell’udienza fissata per la loro discussione, compariva lo (OMISSIS), chiedendo che venisse dichiarata la nullita’ dell’atto a lui diretto perche’ notificato non a lui personalmente ma al curatore. Accolto per questo motivo il ricorso di entrambi i soci, la decisione di primo grado era appellata dall’ufficio con ricorso alla CT di 2 Grado, che respingeva il gravame in relazione alla posizione del (OMISSIS), mentre lo accoglieva per lo (OMISSIS), atteso che la comparizione di questi all’udienza di primo grado aveva sanato il denunciato vizio di notificazione ai sensi dell’articolo 156 c.p.c.. La decisione di 2 grado era impugnata in CTC tanto dall’ufficio, in relazione alla statuizione adottata nei confronti del (OMISSIS), quanto dallo (OMISSIS) ed entrambi i ricorsi erano definiti con la sentenza ora impugnata della sezione per il Veneto della CTC, che respingeva, confermando in parte qua la sentenza di secondo grado, quello dell’ufficio, ed accoglieva viceversa quello dello (OMISSIS).

A fondamento del pronunciato rigetto del gravame erariale i giudici veneti deducevano che “l’eccezione formulata dall’ufficio relativa alla nullita’ della sentenza di primo grado per un presunto vizio di extrapetizione, non valutata nel procedimento d’appello, non poteva essere accolta”, dal momento che il vizio di notificazione denunciato dallo (OMISSIS) integra un’ipotesi di inesistenza dell’atto impositivo, che poteva essere rilevata d’ufficio; asserivano viceversa quanto al decretato accoglimento del ricorso di parte, sul presupposto che la dichiarazione di fallimento non comporta una perdita in senso assoluto della capacita’ processuale del fallito, che “l’atto di accertamento doveva quindi essere notificato non solo al curatore fallimentare, ma anche ai soci di s.n.c.”, di modo che l’omessa notifica di esso “che ha precluso ai falliti di esercitare un’adeguata difesa configura un’ipotesi di inesistenza giuridica che non puo’ essere sanata, come sostenuto dall’impugnata decisione, ai sensi dell’articolo 156 c.p.c.”.

Avverso detta ultima decisione propone ora ricorso a questa Corte la soccombente Agenzia con un mezzo affidato a tre motivi.

Non hanno svolto attivita’ processuale le parti private.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia ricorrente si duole ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’errore di diritto che la CTR avrebbe commesso nell’applicazione degli articoli 43 e 147 L. Fall., poiche’, posto che il fallimento determina la perdita della legittimazione sostanziale e processuale della societa’ e dei suoi soci, in luogo dei quali subentra il nominato curatore, e’ percio’ “censurabile l’assunto dei giudici di secondo grado, secondo cui era necessario, ai fini della validita’ della notifica, notificare personalmente ai due soci gli avvisi di accertamento con cui si rettificavano i rispettivi redditi di partecipazione”, in ogni caso dovendo escludersi che l’omessa notifica desse luogo ad un’ipotesi di inesistenza, essendo invero “destinata esclusivamente a riverberarsi sulla possibilita’ di impugnare detto atto da parte del fallito anche fuori termine” nel solo caso di inerzia degli organi fallimentari.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso svolti, rispettivamente, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4 denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 112 c.p.c. ovvero, per lo stesso motivo, nullita’ della impugnata sentenza nella parte in cui essa ha erroneamente asserito che “in virtu’ dell’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento la stessa potesse essere rilevata anche d’ufficio dal giudice tributario”, posto che la doglianza non essendo stata proposta dal curatore fallimentare nei propri ricorsi non avrebbe potuto essere utilizzata a fondamento della decisione adottata.

3.1. Muovendo dalla disamina di detti ultimi motivi in ragione della loro priorita’ logica, entrambi si espongono ad una comune declaratoria di inammissibilita’ per difetto di autosufficienza.

3.2. E’ noto infatti, come questa Corte ha piu’ volte precisato che “anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte e’ anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilita’ del motivo in relazione ai termini in cui e’ stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilita’ diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione puo’ e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali” (8874/15; 6761/15; 12664/12). Ne discende che, come ancora si e’ aggiunto che se, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale indubbiamente e’ il vizio di ultra o extrapetizione, la Corte ha il potere – dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, “tuttavia, per il sorgere di tale potere – dovere e’ necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale” (8739/15; 8545/15; 1170/04). Nella specie il deducente, nella prospettazione di entrambi i motivi, ha disatteso la predetta regula iuris, essendosi limitato a formulare il rilievo senza tuttavia darsi previamente cura di assolvere compiutamente l’onere processuale imposto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, trascrivendo ovvero riproducendo le doglianze introduttive rappresentate dal curatore ricorrente in prime cure in modo tale da consentire a questa Corte di valutare la concludenza del rilievo prima di accertarne la veridicita’ mediante il diretto esame degli atti.

4.1. Venendo, percio’, all’esame del primo motivo di ricorso – con cui l’Agenzia ricorrente censura la declaratoria di illegittimita’ dell’atto impugnato in quanto esso, notificato al curatore, non sarebbe stato pure notificato alla parte – va detto che esso risulta fondato.

4.2. E’ vero, come ancora di recente statuito, che in caso di fallimento delle societa’ di persone e di estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili ai sensi dell’articolo 147 L. Fall., l’atto impositivo, se inerente a crediti i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione e’ intervenuta, debba essere notificato non solo al curatore, ma anche al contribuente, “il quale, restando esposto ai riflessi, anche di carattere sanzionatorio, conseguenti alla definitivita’ dell’atto impositivo, e’ eccezionalmente abilitato ad impugnarlo, nell’inerzia degli organi fallimentari, non potendo attribuirsi carattere assoluto alla perdita della capacita’ processuale conseguente alla dichiarazione di fallimento, che puo’ essere eccepita esclusivamente dal curatore, nell’interesse della massa dei creditori” (8871/15; 7874/15; 9434/14). Ma e’ di tutta evidenza, alla luce di questo insegnamento, che l’obbligo di notificazione nei confronti del fallito e’ strumentale a consentire al medesimo l’esercizio in via condizionata del diritto di difesa, azionabile infatti solo nell’inerzia degli organi della procedura e che in ogni caso, restando la posizione del socio fallito assorbita nel concorso concernente la societa’, l’inosservanza di detto obbligo non rende irrito l’atto impositivo e tanto meno consente che ne sia dichiarata la nullita’ o peggio l’inesistenza. Sicche’ e’ percio’ duplice l’errore di diritto commesso dal giudice a quo: una prima volta, decretando l’illegittimita’ dell’atto, malgrado esso fosse stato impugnato dal curatore fallimentare della societa’ anche in veste di curatore fallimentare del socio, di modo che, stante nella specie l’iniziativa degli organi della procedura, risultava soddisfatto l’interesse sostanziale del fallito a far valere il proprio diritto di difesa; una seconda volta, sanzionando nella specie l’omessa notificazione, improduttiva altrimenti di qualsivoglia effetto per la vista impugnativa proposta dal curatore, con una declaratoria di illegittimita’ che non ha ragione d’essere in considerazione del fatto che le sorti del socio fallito non sono disgiungibili da quelle del fallimento della societa’.

5. Va dunque accolto il primo motivo di ricorso – infondati dovendo dichiararsi il secondo ed il terzo – e la causa, cassata previamente l’impugnata sentenza, andra’ rimessa al giudice territorialmente competente per il doveroso esame di merito ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, che provvedera’ pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

6. Essendo stata emessa la sentenza impugnata dalla Sezione della Commissione Tributaria Centrale per il Veneto ai sensi della L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 351, la cui attivita’ e’ definitivamente cessata, a seguito della modificazione operata dal Decreto Legge n. 150 del 2013, articolo 9, comma 2, converto in L. n. 15 del 2014 dell’originario termine previsto dal Decreto Legge n. 40 del 2010, articolo 3, comma 2-bis, convertito in L. n. 73 del 2010, al 31.12.2014, il giudice territorialmente competente a espletare il giudizio di rinvio va individuato nella Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in ragione della previsione recata dalla L. n. 244 del 2003, articolo 1, comma 352, a tenore del quale “i processi pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale alla data di insediamento delle sezioni di cui al comma 351, ad eccezione di quelli per i quali e’ stato gia’ depositato il dispositivo, sono attribuiti alla sezione regionale nella cui circoscrizione aveva sede la commissione che ha emesso la decisione impugnata”.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa avanti al giudice territorialmente competente (Commissione Tributaria Regionale del Veneto) che provvedera’ pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

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