Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 18 gennaio 2017, n. 1103

L’apprezzamento della sussistenza del requisito della gravità precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento attiene alla valutazione dei mezzi di prova, rimessa in via esclusiva al giudice del merito, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione.
Nella specie (verifica fiscale effettuata presso la ditta individuale esercente l’attività di ristorazione – maggiori ricavi venivano accertati con riferimento ai numeri dei coperti praticati in un anno sulla base del consumo di vino pari a 33 cl pro capite, come stabilito dalla nota metodologica redatta dall’Agenzia delle Entrate) non è in discussione la validità teorica dell’utilizzo del criterio del consumo di vino, o del numero dei tovaglioli, ma è ovvio che se l’esito del metodo adottato confligge con le possibilità teoriche (come evidenziate nella motivazione della sentenza di primo grado, fatta propria dalla sentenza oggi impugnata con puntuale risposta alle censure mosse) di consumo di vino e di servizio dell’esercizio commerciale, viene meno la attendibilità nel suo complesso della metodologia di accertamento, e ciò attiene alla prova a carico dell’Ufficio, in quanto solo a seguito della valutazione di sufficienza della medesima l’onere di prova contraria si trasferisce sul contribuente.

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 18 gennaio 2017, n. 1103

Relatore Claudio D’Isa

Svolgimento del processo

1. Con sentenza pronunciata il 16.02.2010 e depositata il 12 agosto 2011 la Commissione Tributaria Regionale di Ancona ha confermato la sentenza della locale Commissione Provinciale n. 179/05/2007 rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate dello stesso capoluogo.
All’esito di una verifica fiscale effettuata presso la ditta individuale “M. di B.C.”, esercente l’attività di ristorazione, elevava rilievi ai fini II.DD., IRAP ed IVA accertando un maggior reddito, ridotto, poi, del 30% e precisamente ad € 71.594 (anziché 102.128,00) e ai fini IVA l’imposta da recuperare veniva ridotta ad € 7.159,00 (anziché 10.278,00), all’esito delle osservazioni esposte dal contribuente in sede di contraddittorio sollecitato dall’Ufficio.
I maggiori ricavi venivano accertati con riferimento ai numeri dei coperti praticati in un anno sulla base del consumo di vino pari a 33 cl pro capite, come stabilito dalla nota metodologica redatta dall’Agenzia delle Entrate.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso del B.C., non condivideva, infatti, l’operato dell’Ufficio in relazione alla metodologia praticata per una serie di considerazioni quali: a) la quantità di consumo di vino per pasto appariva un dato aleatorio, perché variabile in relazione ai gusti ed alle abitudini di ciascun cliente; b) un ristorante tipico, come M. utilizzava una quantità di vino per la preparazione di alcune sostanze; c) il vino somministrato ai clienti poteva essere rifiutato dai clienti, per vari motivi.
Come già evidenziato la CTR rigettava l’appello dell’Ufficio.
2. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, con due motivi.
2.1 Il primo motivo ai sensi della disposizione di cui all’art. 360, 1° comma c.p.c. n. 3 per falsa applicazione dell’art. 39 comma 1 lett d) d.P.R. 600/73 ed artt. 2727 e 2729 cod. civ..
La censura alla sentenza impugnata viene mossa laddove essa ha affermato che “nelle presunzioni dell’ufficio mancano i requisiti di gravità, precisione e concordanza perché la mera ipotesi sul consumo medio dei vini non può avere il requisito della concordanza in quanto unico elemento portato all’attenzione dei Giudici, circa la gravità e precisione nel caso di specie manca il fatto noto su cui fondare la presunzione: invero il consumo medio di vino di cui alla nota metodologica non è affatto un dato statistico…”.
Si rappresenta che la pronuncia è in contrasto con il prevalente orientamento della Suprema Corte la quale ha precisato che l’accertamento induttivo, per quanto riguarda i ristoranti, può fondarsi sia sul numero dei tovaglioli portati in lavanderia – che sono indici di coperti e quindi di incassi – sia sul consumo di acque minerali o di altre bevande costituendo elemento fondamentale, se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni erogate (sentenze nn 18475/2009, 8643/2007, 9884/2002 e 17408/2010).
Il consumo del vino costituisce un fatto noto dal quale può logicamente desumersi il numero dei pasti effettivamente serviti, cioè il fatto ignoto.
2.2 Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, 1° comma n. 5 c.p.c. insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La contraddittorietà della motivazione la si rileva laddove la CTR, dopo aver affermato che l’Ufficio ha emesso l’atto impositivo essenzialmente sulla base di una sola circostanza, cioè il consumo di vino, a fronte di altro elemento induttivo prodotto dall’Agenzia, vale a dire il numero di tovaglioli lavati in un anno in lavanderia che conferma il dato quantitativo del consumo di vino, afferma che le affermazioni dell’Ufficio relative ai tovaglioli non sono prove che confermano quelle correlazioni tra più prodotti di fatto consumati nell’attività che rendono il riscontro meno approssimativo possibile. E’ evidente per la ricorrente la insufficienza o contraddittorietà di tale motivazione che apoditticamente esclude che il numero dei tovaglioli lavati (al pari del consumo del vino) possa costituire un indizio, grave, preciso e concordante.
3. La ditta M. di B.C. con controricorso premette che l’Agenzia in grado di appello aveva introdotto una nuova motivazione dell’accertamento ed ha tardivamente prodotto nuovi elementi di prova di cui era già in possesso sin dalle fasi della verifica iniziale (fatture della lavanderia per il servizio di lavaggio dei tovaglioli), introducendo, in tal modo un nuovo criterio di accertamento modificando tardivamente ed illegittimamente il criterio di verifica contenuto nell’avviso di accertamento.
3.1 Il controricorso depositato dalla contribuente non è tempestivo non essendo stati rispettati i termini decadenziali di cui all’art. 370 c.p.c..
4. All’odierna udienza, dopo la relazione del Consigliere designato, il Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso, i difensori delle parti si sono riportati ai propri scritti.

Motivi della decisione

5. Il ricorso va rigettato in ragione della infondatezza dei motivi posti a base di esso.
5. 1 E’ principio assodato che l’apprezzamento della sussistenza del requisito della gravità precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento attiene alla valutazione dei mezzi di prova, rimessa in via esclusiva al giudice del merito, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione (v. Cass. n. 1715 del 2007).
Nella specie, non è in discussione la validità teorica dell’utilizzo del criterio del consumo di vino, o del numero dei tovaglioli, ma è ovvio che se l’esito del metodo adottato confligge con le possibilità teoriche (come evidenziate nella motivazione della sentenza di primo grado, fatta propria dalla sentenza oggi impugnata con puntuale risposta alle censure mosse) di consumo di vino e di servizio dell’esercizio commerciale, viene meno la attendibilità nel suo complesso della metodologia di accertamento, e ciò attiene alla prova a carico dell’Ufficio, in quanto solo a seguito della valutazione di sufficienza della medesima l’onere di prova contraria si trasferisce sul contribuente.
Nel caso in questione, la Commissione, con valutazione di merito non censurata in sé dall’Ufficio sotto il profilo della correttezza e congruità, ha constatato che l’esito dell’accertamento, portava a presupporre un aumento notevole delle possibilità teoriche di somministrazione pasti, attraverso l’uso del vino da parte dell’esercizio considerato e che tale fatto da solo rendeva inattendibile il calcolo dell’Ufficio. Ha inoltre osservato che occorreva fare riferimento alla media ponderata e non aritmetica sulla base del rilievo, in sé non illogico, che la T.M. serve anche vino sfuso conservato in taniche, che tende a rovinarsi se non consumato nelle 36 ore successive all’apertura e, per questo motivo, la trattoria si era dotata nel 2005 di un impianto di refrigerazione all’azoto per conservare più a lungo il vino sfuso.
Inoltre, la CTR considera che: a) è documentato dalle fatture di acquisto che l’incidenza delle bottiglie da 0,375 rispetto agli acquisti totali è al di sotto del 6%, ne consegue che il vino che residua al tavolo dopo i pasti è di quantità considerevole; b) talvolta i clienti chiedono di poter acquistare i vini locali difficili da reperire fuori dai circuiti specializzati.
Il tutto fa logicamente ritenere che la quantità di vino esitata non corrisponda al numero dei clienti del ristorante in sede di legittimità.
Sono tutte queste valutazioni, non illogiche, per altro afferenti a dati oggettivi, con cui la C.T.R., correttamente, ha ritenuto l’accertamento impugnato non congruo.
6. In ragione della tardività del controricorso si reputa di compensare le spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Spese compensate

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