In tema di responsabilità di reato degli enti societari il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo al Dlgs 231/2001 e la sanzione irrogata nel corso del fallimento legittima lo Stato al recupero dell’importo di natura economica attraverso l’insinuazione al passivo.

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2.1. Muovendo, quindi, nella disamina delle ulteriori doglianze e’ necessario delibare, secondo l’ordine logico delle questioni dedotte, il secondo motivo, con il quale la difesa di (OMISSIS) censura la violazione dell’articolo 6 CEDU, articolo 533 c.p.p., e articolo 603 c.p.p., comma 3. La Corte territoriale avrebbe riformato la sentenza assolutoria di primo grado in ordine al reato associativo affermando la penale responsabilita’ eminentemente sulla base di una diversa valutazione di attendibilita’ delle dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), senza procedere a nuova escussione degli stessi e, dunque, in violazione dell’orientamento giurisprudenziale, secondo cui il giudice di appello non puo’ pervenire a condanna in riforma della sentenza assolutoria di primo grado basandosi esclusivamente, o comunque in modo determinante, su una diversa valutazione delle fonti dichiarative delle quali non abbia proceduto anche d’ufficio a una rinnovata assunzione.
Il motivo e’ fondato.
2.1.1. Secondo l’opinione autorevolmente affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte, la previsione contenuta nell’articolo 6, par. 3, lettera D) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU – che pur non traducendosi in norma direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale, costituisce parametro interpretativo al quale il giudice nazionale e’ tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne – implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non puo’ riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilita’ penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’articolo 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, dep. 6/07/2016, Dasgupta, Rv. 267487).
A tal fine, inoltre, costituiscono prove decisive quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio, nonche’ quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti – da sole o insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, dep. 6/07/2016, Dasgupta, Rv. 267491).
Peraltro, la necessita’ per il giudice dell’appello di procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilita’ di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualita’ soggettiva del dichiarante e vale: a) per il testimone “puro”; b) per quello c.d. assistito; c) per il coimputato in procedimento connesso; d) per il coimputato nello stesso procedimento (fermo restando che, in questi ultimi due casi, l’eventuale rifiuto di sottoporsi all’esame non potra’ comportare conseguenze pregiudizievoli per l’imputato); e) per il soggetto “vulnerabile” (salva la valutazione del giudice sulla indefettibile necessita’ di sottoporre il soggetto debole, sia pure con le dovute cautele, ad un ulteriore stress); f) per l’imputato che abbia reso dichiarazioni “in causa propria”, dal cui rifiuto non potrebbe, tuttavia, conseguire alcuna preclusione all’accoglimento della impugnazione (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, dep. 6/07/2016, Dasgupta, Rv. 267488).
Consegue alle considerazioni che precedono, che deve ritenersi affetta da vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancato rispetto del canone di giudizio “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” di cui all’articolo 533 c.p.p., comma 1, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilita’ dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’articolo 603 c.p.p., comma 3. Pertanto, al di fuori dei casi di inammissibilita’ del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell’articolo 6, par. 3, lettera D), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, dep. 6/07/2016, Dasgupta, Rv. 267492).
2.1.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado, relativamente al reato associativo, affermando la penale responsabilita’ dell’imputato sulla base di una diversa valutazione di attendibilita’ delle dichiarazioni dei testi assistiti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), le quali sono state utilizzate quale elemento probatorio “decisivo”, nella accezione richiamata dalle Sezioni unite, quale elemento di riscontro al fine di attribuire ad (OMISSIS) sia l’ordine di costituzione delle cartiere utilizzate per intestare formalmente la manodopera, onde compensare i contributi previdenziali con il credito Iva, sia l’ordine di costituzione della societa’ (OMISSIS) – il cd. secondo livello dell’associazione – al fine di farne uno schermo tra la (OMISSIS) e le societa’ cartiere in relazione all’impiego della manodopera nei cantieri edili.
Infatti, la sentenza di primo grado, nel giungere alla pronuncia assolutoria, aveva ritenuto che la fattispecie associativa contestata al capo A) dovesse “cedere il passo a una piu’ verosimile (e di fatto dimostrata) situazione di compravendita di servizi (illeciti) da parte delle societa’ di terzo livello” (ovvero le cartiere) “verso una societa’ (la (OMISSIS) S.p.A. di (OMISSIS)) in progressivo e profondo affanno, destinata ad essere travolta dal meccanismo stesso che le societa’ cartiere avevano offerto come il sistema per la risoluzione delle problematiche di liquidita’” (v. p. 108 della sentenza di primo grado).
Centrale, nella ricostruzione accolta dal tribunale, era stata la circostanza che, come gia’ evidenziato, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sentiti in sede dibattimentale come testimoni “assistiti” ex articolo 197-bis c.p.p., avessero riferito, diversamente da quanto dagli stessi riportato in sede di interrogatorio reso quando si trovavano in custodia cautelare, circa “l’assenza di qualsivoglia ordine proveniente dall’alto e cioe’ da (OMISSIS), il quale aveva certo illustrato”, a costoro, “per sommi capi, il meccanismo dei subappalti ma non aveva certo imposto alcuna condotta”, circa assunzioni o dismissioni degli operai nonche’ circa quello di costituzione di societa’ cartiere, limitandosi, nel caso del teste (OMISSIS), a illustrare, nel corso di un abboccamento, come risparmiare sui dipendenti (v. p. 107 della sentenza del tribunale).
Viceversa, la sentenza di appello ha ritenuto che fosse stata dimostrata la sussistenza del reato associativo, realizzato allo scopo di far conseguire un vantaggio economico della societa’ (OMISSIS) amministrata da (OMISSIS). In particolare, secondo la Corte territoriale era stata raggiunta la prova del fatto che l’imputato avesse creato a tavolino” un meccanismo, costituito su tre livelli societari, attraverso il quale, da un lato, creare un ingente credito Iva a favore di (OMISSIS) mediante l’uso di false fatture di acquisto emesse dapprima dalle societa’ cartiere a beneficio della stessa (OMISSIS) e, quindi, con l’emissione di altre fatture, anch’esse per operazioni inesistenti, nella direzione opposta (da (OMISSIS) a beneficio delle societa’ cartiere); e, dall’altro lato, consentire l’utilizzazione dei crediti fittizi relativi all’Iva da portare in detrazione in compensazione delle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali per i lavoratori dipendenti, fittiziamente operanti a favore di (OMISSIS) ma assunti formalmente dalle stesse cartiere, al fine di abbattere il costo della manodopera. E in questo contesto la costituzione della societa’ (OMISSIS) era stata funzionale alla creazione di un diaframma tra (OMISSIS) e le cartiere, onde dissimulare l’esistenza dei rapporti illeciti tra di esse.
Centrale nel ragionamento probatorio compiuto dalla Corte territoriale e’ stato, ancora una volta, il contributo dichiarativo di alcuni coimputati, utilizzato per corroborare il contenuto di talune intercettazioni telefoniche; contributo che pero’ e’ stato valutato in maniera del tutto opposta rispetto al giudizio espresso dal tribunale.
In particolare, e’ stato sottolineato come la creazione della societa’ (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), per il tramite dei suoi conoscenti, (OMISSIS) e (OMISSIS), fosse proprio finalizzata ad abbattere il costo della manodopera; e tale giudizio e’ stato fondato sulle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano significativamente sottolineato come lo stesso (OMISSIS) li avesse aiutati nell’avviamento dell’impresa, offrendo garanzie per l’ottenimento del leasing volto ad acquistare il capannone e i relativi appoggi bancari. E nello stesso tempo sono state le dichiarazioni di (OMISSIS) a indurre la Corte territoriale a ritenere che (OMISSIS), perseguendo una strategia unitaria, avesse organizzato l’incontro presso gli uffici di (OMISSIS) tra lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS), da un lato, e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dall’altro lato.
Quanto poi al ruolo apicale di (OMISSIS), esso e’ stato fondato anche sulle dichiarazioni di (OMISSIS), secondo il quale le cartiere e la (OMISSIS) lavoravano per (OMISSIS), tanto e’ vero che i relativi importi venivano decisi proprio da (OMISSIS).
Tale operazione di ricostruzione fattuale e’ stata, nondimeno, compiuta senza procedere a nuova escussione degli stessi dichiaranti e, dunque, in violazione della richiamata cornice di principio, onde si rende necessario procedere, in relazione al delitto previsto al capo A) della rubrica, ad una nuova valutazione del materiale probatorio con riferimento alla posizione di (OMISSIS), sul punto annullando, con rinvio, la sentenza di secondo grado.
2.1.3. Le considerazioni che precedono impongono di addivenire ad analoga soluzione con riferimento al delitto previsto dall’articolo 10-quater del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, contestato al capo D). Anche in questo caso, infatti, l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato in relazione alla compensazione attuata dalle societa’ cartiere tra i crediti Iva e gli importi dovuti a titolo di ritenute previdenziali e’ stata fondata su una diversa valutazione, da parte dei giudici di merito, di prove dichiarative decisive.
Il tribunale, invero, aveva ritenuto che il credito di imposta delle societa’ cartiere fosse “preesistente all’affacciarsi di (OMISSIS) nel complessivo impianto delittuoso, come affermato in particolar modo da (OMISSIS)”, il quale aveva riferito “di essersi offerto egli stesso all’ (OMISSIS) come risolutore delle sue problematiche affermando di poterlo fare essendo a credito Iva” (v. p. 95 della sentenza del tribunale).
Come anticipato, la Corte di appello e’, invece, pervenuta ad affermare il ruolo determinante svolto da (OMISSIS) nell’intero sistema fraudolento, costruito proprio in funzione delle esigenze di (OMISSIS). Nondimeno, per giungere a tale approdo conclusivo i giudici di appello hanno dovuto, ancora una volta, attribuire un ruolo determinante alle dichiarazioni, come quelle di (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno ricondotto in capo ad (OMISSIS) l’iniziativa relativa alla creazione di (OMISSIS) Costruzioni S.r.l. quale schermo tra la (OMISSIS) e le societa’ cartiere.
Ne consegue che, anche con riferimento al capo D), si impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, onde consentire alla Corte di appello una nuova valutazione del materiale probatorio alla luce della piu’ sopra richiamata cornice di principio.
2.1.4. A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi con riferimento al quarto motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente censura la configurabilita’ del delitto previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, e contestato al capo C) dell’imputazione. Secondo la tesi difensiva, non essendo stata dimostrata l’effettiva emissione delle fatture in reverse charge da parte della (OMISSIS) S.p.A., ne’ l’effettiva utilizzazione delle stesse, da parte delle societa’ “cartiere”, al fine di evadere le imposte sui redditi, il delitto non avrebbe potuto essere integrato, tanto piu’ che la sentenza non avrebbe vagliato le giustificazioni addotte da (OMISSIS) in ordine al fatto che le fatture sarebbero state emesse unicamente per consentire la successiva emissione delle ricevute bancarie da scontare presso gli istituti di credito.
Osserva, nondimeno, il Collegio che la sentenza impugnata ha condivisibilmente richiamato i principi posti dalle Sezioni unite di questa Corte in relazione al carattere di reato di pericolo proprio del delitto in esame (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 19/01/2011, Giordano ed altri, Rv. 248869); circostanza che rende irrilevante, ai fini della integrazione della fattispecie, l’effettiva utilizzazione delle fatture false, peraltro indimostrabile proprio a cagione della condotta di occultamento della contabilita’, mai rinvenuta. Quanto alle ulteriori censure, i giudici di appello hanno, per un verso, evidenziato come la circostanza che le fatture fossero state emesse in regime di inversione contabile dovesse ritenersi non contestata, essendo stato calcolato l’importo della frode fiscale al netto dell’IVA; e, per altro verso, che la finalita’ di evasione fiscale potesse trarsi, secondo una massima di comune esperienza, dalla considerazione del complessivo meccanismo fraudolento realizzato, chiaramente orientato a consentire un risparmio di imposta, in se’ non incompatibile con l’ottenimento di nuove linee di credito.
A fronte di tali puntuali argomentazioni, la difesa del ricorrente si e’ limitata ad una pedissequa riproposizione delle medesime questioni gia’ esaustivamente affrontate dalla sentenza impugnata, incorrendo, conseguentemente, nel difetto di specificita’ dei motivi di impugnazione.
2.1.5. Il quinto motivo di doglianza, con il quale la difesa di (OMISSIS) ha denunciato la mancata esplicazione del criterio seguito ai fini dell’aumento per la continuazione disposto, una volta determinata la pena base per il piu’ grave delitto di cui al capo A), con riguardo ai delitti contestati ai capi B), C) e D), deve ritenersi assorbito a seguito dell’accoglimento del secondo e del terzo motivo di doglianza.
3. Venendo, quindi, all’esame delle doglianza articolate dalla difesa di (OMISSIS), occorre muovere dal primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente ha dedotto la violazione di legge ed il vizio della motivazione in relazione all’esistenza dell’associazione per delinquere e alla partecipazione di (OMISSIS) al sodalizio criminoso.
Osserva, in proposito, il Collegio che anche in questo caso debbono ribadirsi le considerazioni precedentemente svolte in merito alla mancata osservanza dell’onere, incombente sul giudice di appello, di procedere, in caso di totale riforma di una sentenza assolutoria, alla nuova audizione di coloro i quali, in primo grado, avevano reso dichiarazioni decisive e diversamente valutate da parte del giudice di prime cure. Dovendo procedersi, infatti, ad un nuovo giudizio in ordine all’esistenza stessa del sodalizio per quanto concerne la posizione di (OMISSIS), non puo’ che addivenirsi alla medesima soluzione anche per quanto riguarda (OMISSIS), presupponendo l’accertamento del loro ruolo personale la verifica, preliminare, dell’esistenza dell’associazione per delinquere.
3.2. Manifestamente infondato e’, invece, il secondo motivo di impugnazione, con il quale la difesa di (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-quater, contestato al capo D) della rubrica.
Sotto un primo profilo, in maniera niente affatto illogica la sentenza ha tratto argomento per sostenere la piena consapevolezza, da parte dell’imputato, dell’attivita’ illecita, dal fatto che (OMISSIS) avesse solidi e rapporti con i gestori di fatto delle cartiere (ovvero (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la cd. triade) e come, in presenza di palesi indici di anomalia delle societa’ del secondo e del terzo livello (connesse all’ingentissimo importo di fatture relative all’acquisto di beni non corrispondenti ad alcun pagamento, attesa (“indisponibilita’ finanziaria della societa’, appena costituita), egli certamente non potesse che avvedersi, alla luce della sua conclamata competenza professionale, della loro “operativita’ solo fittizia”; tanto piu’ ove si consideri che egli era il commercialista dell’intera galassia delle cartiere ruotanti intorno a (OMISSIS), come tale dotato di una conoscenza d’insieme delle loro dinamiche.
Quanto, poi, alla mancata risposta, da partentenza di secondo grado, in ordine ad alcune doglianze formulate nell’atto di appello, giova osservare, quanto alla mancata indicazione, al capo D) dell’imputazione, delle fatture relative alle operazioni inesistenti, ne’ delle societa’ che le avevano emesse, che in ogni caso l’indicazione cumulativa, riportata nella rubrica, dei debiti verso l’erario, degli importi versati e di quelli compensati, nonche’ delle societa’ cui questi erano riferibili in relazione alle singole annualita’, consentiva certamente di definire l’oggetto della contestazione e, correlativamente, di esercitare pienamente, da parte dell’imputato, i propri diritti di difesa.
Manifestamente infondata e’, poi, la doglianza con la quale il ricorrente opina che le operazioni contestate al capo C) non avrebbero potuto essere utilizzate in compensazione in quanto esenti da Iva. Anche in tal caso la sentenza impugnata ha esaustivamente spiegato (v. pag. 26), come l’assoggettamento delle fatture al regime cd. di reverse charge non comportasse, in termini assoluti, una sottrazione al regime impositivo dell’operazione fatturata, quanto una diversa allocazione degli oneri da adempiere, dal soggetto erogante la prestazione (attestata dalla fattura) alla societa’ destinataria della stessa; e come fosse proprio quest’ultima ad operare la relativa compensazione illecita.
3.3. Il terzo motivo, con il quale il ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilita’ di (OMISSIS) per il delitto di distruzione o occultamento delle scritture contabili, e’, del pari, manifestamente infondato.
L’impugnazione, infatti, lamenta che la Corte territoriale non abbia adeguatamente valorizzato alcuni elementi di fatto provati nel corso del dibattimento, che secondo la tesi difensiva dimostrerebbero l’assenza di dolo in capo all’odierno imputato: dal deposito della quietanza relativa alla consegna a (OMISSIS), da parte di (OMISSIS), dei documenti contabili, al fatto che la (OMISSIS) non fosse operativa a causa del recente trasferimento della sede e che la posta veniva ritirata non da (OMISSIS) ma dalle sue impiegate, su richiesta di quelle della (OMISSIS); fino al fatto che le intercettazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS) avrebbero dimostrato che (OMISSIS) fosse convinto dell’avvenuto allagamento dei locali in cui era custodita la documentazione contabile.
Osserva, tuttavia, il Collegio che la Corte territoriale ha fornito una giustificazione del proprio convincimento del tutto adeguata sul piano della stretta aderenza alle emergenze istruttorie e della lettura logica del dato probatorio, costituito dal contenuto delle intercettazioni delle conversazioni occorse tra alcuni dei sodali, evidenziando: la mancata dichiarazione da parte di (OMISSIS), in occasione del controllo effettuato il 6/10/2010 dalla Guardia di finanza, di avere ricevuto la documentazione contabile da (OMISSIS), circostanza successivamente dedotta una volta che i sodali avevano concordato, telefonicamente, tale versione; ed ancora la significativa mancanza di una tempestiva denuncia dell’allagamento dei locali, da cui sarebbe derivata la distruzione dei documenti contabili.
A fronte di tale ricostruzione, le censure svolte dalla difesa di (OMISSIS) con il presente motivo di impugnazione, nondimeno, sono chiaramente finalizzate ad offrire una versione alternativa a quella accolta dai giudici di appello; operazione pacificamente preclusa in sede di legittimita’, ove il controllo del giudice e’ circoscritto alla congruenza sul piano logico del tessuto argomentativo che regge la decisione.
3.4. Manifestamente infondato e’, ancora, il quarto motivo di doglianza, concernente l’episodio corruttivo contestato al capo K).
La Corte territoriale ha, infatti, puntualmente richiamato (v. pag. 37 e ss.) i plurimi elementi acquisiti in istruttoria che, secondo la interpretazione offerta, frutto di corretta ermeneutica sul piano logico, fondano la responsabilita’ di (OMISSIS) in relazione al predetto episodio.
In particolare i giudici di appello hanno osservato come sia stato proprio l’imputato ad adoperarsi fattivamente, peraltro conseguendo il relativo risultato, in vista della posticipazione dell’ispezione a carico della (OMISSIS) S.r.l. da parte di (OMISSIS), ispettore della Cassa edile, costituente il frutto dell’accordo corruttivo. Ed ancora come sia stato sempre (OMISSIS) a rappresentare a (OMISSIS) la necessita’ di incontrare l’ispettore; e come sia l’incontro che il pagamento del corrispettivo dell’accordo corruttivo siano avvenuti nello studio professionale dell’imputato. Inoltre, la Corte ha fornito una spiegazione, non manifestamente illogica, come tale riferibile ad un non censurabile apprezzamento di merito, in relazione al contenuto della intercettazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), con la quale il primo aveva detto “di non essersi fatto vedere da nessuno”, sottolineando come il riserbo tenuto fosse giustificato dalla eventuale presenza di terzi soggetti, oltre a (OMISSIS), al momento della dazione o, in alternativa, dalla necessita’ di non far conoscere al commercialista l’ammontare preciso del denaro, che i due avrebbero anche potuto volere non fosse portato a conoscenza dell’imputato (v. pag. 38 della sentenza di appello).
In presenza di un percorso ricostruttivo immune da censure di tipo logico, il ricorso si e’, dunque, limitato a proporre, ancora una volta, un diverso percorso di ricostruzione del fatto, peraltro attraverso una differente lettura del dato probatorio; operazione che, si ribadisce, e’ pacificamente preclusa in sede di legittimita’.
3.5. Dall’accoglimento del motivo di doglianza relativo al delitto contestato al capo A), al quale consegue l’annullamento con rinvio sul punto, deriva l’assorbimento del quinto motivo, concernente il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche; giudizio che dovra’ essere riformulato, in sede di giudizio di rinvio, nell’ambito del nuovo pronunciamento che dovra’ essere compiuto anche in relazione al predetto delitto.
3.6. Manifestamente infondato e’ il sesto motivo di doglianza proposto da (OMISSIS), con il quale egli lamenta, sotto un primo profilo, che la Corte territoriale non abbia risposto alla questione, posta in sede di appello, relativa alla necessita’ di scomputare alcune somme (quali quella relativa ai crediti oggetto di indebita compensazione di alcune societa’ che (OMISSIS) non aveva assistito professionalmente, nonche’ quella detratta dalla (OMISSIS) S.r.l., che non sarebbe mai stata cliente dell’imputato).
Osserva, tuttavia, il Collegio che la Corte territoriale ha fatto puntuale riferimento al principio di solidarieta’ tra i concorrenti al fine di spiegare le ragioni per le quali la confisca per equivalente sia stata correttamente disposta per l’intero ammontare del profitto illecito, senza che, pertanto, possa procedersi ad alcuna decurtazione (v. pag. 53).
Quanto, poi, alla legittimita’ dell’ablazione di un bene formalmente intestato alla moglie, i giudici bresciani hanno evidenziato, in maniera articolata, l’insieme degli elementi che, a loro giudizio, fondano l’asserita fittizieta’ della intestazione (v. pag. 54). Pertanto, anche sotto tale profilo deve ritenersi la palese infondatezza della dedotta censura motivazionale.
4. Venendo, infine, all’impugnazione proposta nell’interesse di (OMISSIS) S.p.A., il ricorrente ha eccepito, sotto un primo profilo, la nullita’ della richiesta di rinvio a giudizio e, a seguire, degli atti consequenziali: cio’ in quanto l’illecito amministrativo non sarebbe mai stato contestato formalmente al dott. (OMISSIS), liquidatore e legale rappresentante della (OMISSIS) S.p.A.. Costui, infatti, pur dopo il fallimento della societa’, conserverebbe la legittimazione processuale in relazione ai profili cautelari e sanzionatori, atteso che, pur dopo questo momento, la societa’ conserverebbe la sua soggettivita’; e per tale motivo la contestazione avrebbe dovuto essere portata a conoscenza dello stesso Dott. (OMISSIS) e non, come invece avvenuto, del curatore fallimentare della societa’ fallita. Ne’ avrebbe rilevanza il fatto che il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 43, comma 2 consideri valida la notifica e la conoscenza dell’incolpazione al legale rappresentante della societa’ ancorche’ imputato e quindi incompatibile, considerato che, nella specie, il legale rappresentante sarebbe stato il citato dott. (OMISSIS).
Nel merito, la difesa opina che, da un lato, in base al Decreto Legislativo n. 231 del 2001 non potrebbe configurarsi alcuna responsabilita’ amministrativa dell’ente nel caso di reato associativo finalizzato alla commissione di reati tributari e che, dall’altro lato, in ogni caso, l’illecito, quand’anche esistente, sarebbe ormai prescritto. Cio’ in quanto il sistema di contestazione del medesimo, cosi’ come il regime prescrizionale, sarebbero quelli del diritto civile e considerato che la contestazione del reato e’ stata compiuta fino al 2011, laddove i reati-scopo sarebbero stati pacificamente antecedenti, che quella dell’illecito amministrativo non sarebbe stata ritualmente svolta e che, in ogni caso, la conoscenza fattuale del procedimento da parte del ricorrente, sarebbe comunque successiva al decorso del termine prescrizionale.
4.1. Preliminare all’analisi delle questioni poste con i due motivi del ricorso introduttivo e con l’ulteriore deduzione in sede di motivi aggiunti, e’, invero, la questione della legittimazione alla proposizione dell’odierna impugnazione da parte del dott. (OMISSIS), liquidatore della (OMISSIS) S.p.A..
Sul punto, va premesso, in fatto, che la contestazione di cui al capo R) concerne l’illecito amministrativo ascritto alla predetta societa’ in relazione al delitto di associazione per delinquere commesso dal suo legale rappresentante, (OMISSIS), nell’interesse o comunque a vantaggio della societa’, senza avere previamente adottato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire delitti della specie di quello contestato al predetto capo; e che l’imputazione indica la commissione del medesimo illecito fino all’anno 2011.
Successivamente, in data 12/11/2012, il Tribunale di Brescia aveva dichiarato il fallimento della (OMISSIS) S.p.A., nominando come curatore il dott. (OMISSIS).

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