Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 19 dicembre 2017, n. 56432. In riferimento all’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali ex articolo 81 cpv. c.p., e L. 11 novembre 1983, n. 638, articolo 2

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La Corte territoriale avrebbe, poi, errato nel definire il perimetro della “forza maggiore”. Nell’ambito di tale nozione, cui tradizionalmente vengono ricondotte le situazioni, esterne alla capacita’ di dominio dell’agente, la cui cogenza sia tale da non consentire a quest’ultimo di resistervi e, dunque, da determinare l’evento, la Corte territoriale avrebbe, infatti, erroneamente ricompreso unicamente gli eventi “imponderabili e imprevedibili”. In realta’, secondo la difesa del ricorrente, la vis maior consisterebbe in una “monade causativa”, come tale incidente sulla sequenza causale, tale da impedire di ricondurre l’evento alla condotta dell’agente, idonea a riverberarsi, altresi’, sull’elemento soggettivo quale causa di esclusione del dolo e della colpa. E nel caso di specie, l’indisponibilita’ del denaro necessario ad adempiere le obbligazioni previdenziali avrebbe impedito di configurare, proprio per la sua natura cogente e invincibile, una condotta (omissiva) colpevolmente riferibile all’imputato.
3.2. Con il secondo motivo, la difesa di (OMISSIS) censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera B), l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 42 e 51 c.p., Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 2 e articolo 36 Cost.. Sotto un primo profilo, si deduce che sarebbe infondata l’affermazione secondo la quale il datore di lavoro debba provvedere prioritariamente all’accantonamento delle somme corrispondenti alle ritenute previdenziali. Cio’ sia in quanto, da un punto di vista logico-giuridico, l’obbligo di accantonare queste ultime, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, sorgerebbe soltanto una volta che il datore di lavoro abbia proceduto a corrispondere le retribuzioni; sia in quanto, da un punto di vista sistematico, non avrebbe alcun fondamento normativo l’affermazione, riportata nella sentenza impugnata, secondo cui, nel conflitto tra i due interessi, il datore di lavoro sarebbe sempre tenuto a privilegiare quello pubblicistico al pagamento delle ritenute previdenziali. In ogni caso, continua il ricorrente, dal momento che il dolo dovrebbe essere riscontrato nel momento in cui scade il termine per il versamento delle ritenute, dovrebbe concludersi per l’affermazione, al piu’, di un mero rimprovero di colpa, per non avere l’agente in precedenza accantonato le somme dovute, salvo il caso in cui la situazione di illiquidita’ sia preordinata, per avere l’agente volontariamente precostituito una situazione di impossibilita’ di provvedere al pagamento. Sotto altro profilo, l’utilizzo delle risorse di impresa per pagare le retribuzioni dei lavoratori troverebbe fondamento nel diritto costituzionale del dipendente a percepire la retribuzione per l’attivita’ svolta ai sensi dell’articolo 36 Cost., sicche’ la condotta di omesso versamento sarebbe giuridicamente scriminata dalla scelta del datore di lavoro di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera B), l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 40, 42 e 43 c.p., Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 2, Decreto Legislativo n. 8 del 2016, articolo 1 e ss.. Invero, la sentenza impugnata non avrebbe in alcun modo dimostrato l’esistenza del dolo, ovvero di una consapevole volonta’ di omissione di versamenti, attraverso la scelta deliberata di non accantonare le somme necessarie al pagamento dei debiti previdenziali una volta che l’adempimento fosse diventato penalmente rilevante. Infatti, l’imputato, ottemperando ad un onere di allegazione sullo stesso incombente, avrebbe rappresentato che il mancato pagamento nei termini fosse dovuto ad una insuperabile crisi di liquidita’ tale da rendere inesigibile l’adempimento, rispetto al quale la sentenza impugnata non avrebbe spiegato per quale motivo l’elemento soggettivo avrebbe dovuto essere ritenuto sussistente. Illogica, del resto, sarebbe l’affermazione secondo la quale il legale rappresentante della societa’ avrebbe potuto sollecitare il pagamento, da parte dei committenti, attraverso alternativi canali bancari, atteso che gli istituti di credito non aprirebbero nuovi canali a soggetti che siano stati segnalati a causa di criticita’ manifestate in ambito bancario.

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