Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 13 dicembre 2017, n. 55481. Il reato di induzione a compiere o subire atti sessuali

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2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico complesso motivo e deducendo l’illegittimita’ della sentenza per vizio di violazione di legge e vizio di motivazione.
Argomenta, con riferimento al reato contestato al capo 2) che la Corte territoriale avrebbe affrontato, in maniera erronea e con motivazione sbrigativa, la questione della sostituzione fraudolenta di persona integrante il reato di violenza sessuale contestato; la sostituzione personale andrebbe intesa con rimando all’articolo 494 c.p. con una lettura restrittiva, in senso formale, avuto riguardo a qualita’ a cui la legge attribuisce effetti giuridici e, cioe’, riferita ad attivita’ professionali il cui esercizio e’ sottoposto a disciplina legale attraverso l’iscrizione ad apposito albo.
Inoltre, neppure sussisterebbe la circostanza aggravante speciale di cui all’articolo 609 ter c.p., comma 1, n. 2, risultando sul punto contraddittoria ed insufficiente la motivazione resa dalla Corte territoriale in ordine all’uso di sostanze alcoliche ed allo stato di ubriachezza della minore; inoltre, sarebbe stata omessa la valutazione della circostanza, emergente dalle risultanze probatorie, del previo accordo alla consumazione del rapporto sessuale, circostanza che smentirebbe la versione della coartazione della volonta’ della minore.
Infine, viene censurata la motivazione espressa in ordine al trattamento sanzionatorio con riferimento alla diminuzione di pena effettuata in applicazione della riconosciuta circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, in quanto, pur ritenendo sussistente tale circostanza attenuante basata sulla riparazione del danno integrale e volontaria, la Corte territoriale riteneva limitata l’entita’ dell’esborso effettuato rispetto alla oggettiva gravita’ dei fatti; inoltre, alcun rilievo veniva attribuito ai fini della dosimetria della pena alla condizione lavorativa dell’imputato, alla sua vita antecedente ed alle sue condizioni familiari; infine, alcuna motivazione veniva espressa circa il criterio di determinazione della ingente pena pecuniaria.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Le censure relative alla affermazione di responsabilita’ sono infondate.
1.1. La Corte territoriale, con argomentazioni congrue e logiche che si sottraggono al sindacato di legittimita’, ha ritenuto configurabile il reato di violenza sessuale per induzione contestato (articolo 609 bis c.p., comma 2, nn. 1 e 2) ritenendo comprovata una duplice attivita’ induttiva da parte dell’imputato: quella di indurre in inganno la persona offesa spacciandosi come fotografo professionista e quella di far ingerire alla minore dell’alcool in modo da renderla piu’ disinibita e cosi’ invogliarla a soddisfare i propri impulsi sessuali.
Quanto al primo profilo della condotta induttiva, va rammentato che secondo la consolidata e condivisibile giurisprudenza di questa Corte, l’ipotesi di violenza sessuale per induzione contemplata dall’articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 2 (che punisce chi induce taluno a compiere o a subire atti sessuali “traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”) e’ integrata non solo dallo scambio fisico fra persone ma anche dall’ipotesi in cui l’agente si sia attribuito un falso stato o false qualita’, interpretandosi il concetto di sostituzione di persona conformemente alla nozione fornita dall’articolo 494 c.p. (“sostituzione della propria all’altrui persona ovvero attribuzione a se’ o ad altri di un falso nome o di un falso stato ovvero di una falsa qualita’ cui la legge attribuisce effetti giuridici”).
In particolare, questa Corte ha ritenuto integrato il reato in questione anche dalla falsa attribuzione di uno status professionale: Sez. 3, n. 20578 del 06/05/2010, Rv. 247492 – in una fattispecie nella quale l’imputato aveva convinto la vittima a sottoporsi ad una visita ginecologica “tantrica” qualificandosi come medico ginecologo, qualifica di cui non era in possesso – ha affermato che il reato di induzione a compiere o subire atti sessuali con l’inganno per essersi il reo sostituito ad altra persona e’ integrato anche dalla falsa attribuzione di una qualifica professionale, rientrando quest’ultima nella nozione di sostituzione di persona di cui all’articolo 609 bis c.p.; in caso sovrapponibile a quello in esame, Sez 3, 15 gennaio 2001 n. 250, non mass, ha ritenuto integrato il reato in questione in una fattispecie nella quale la condotta induttiva mediante inganno era consistita nel presentarsi in qualita’ di fotografo con il pretesto di procurare alle persone offese occasioni di lavoro nel mondo dello spettacolo, cosi’ inducendole a compiere e subire atti sessuali.
Il ricorrente invoca una lettura restrittiva dell’articolo 494 c.p. in relazione alla nozione di “qualita’ a cui la legge attribuisce effetti giuridici”, che dovrebbe limitarsi alle sole attivita’ professionali il cui esercizio e’ sottoposto a disciplina legale attraverso l’iscrizione ad apposito albo.
Tale deduzione e’ destituita di fondamento.
Questa Corte Suprema ha gia’ chiarito, infatti, in relazione alla configurabilita’ del reato di cui all’articolo 494 c.p., che la professione va considerata in senso ampio come qualita’ personale cui la legge attribuisce effetti giuridici in quanto individua un soggetto nella collettivita’ sociale (Sez. 2, n. 674 del 25 settembre 1986, dep. 22 gennaio 1987, Rv 174910; Sez. 5, n. 3645 del 21 gennaio 1999, Rv 212950; Sez.2, n.30229 del 05/06/2014, Rv. 260034).

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