[….segue pagina antecedente]
La prevalente giurisprudenza di legittimita’, dopo un periodo iniziale nel quale sono coesistiti indirizzi contrastanti, che ripetevano le due principali tesi dottrinarie (A- per la tesi restrittiva: Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7400 del 08/08/1997; Sez. 3, Sentenza n. 18205 del 03/07/2008; id. Sez. L, Sentenza n. 23918 del 25/11/2010 che condiziona pero’ la inefficacia del giudicato alla “mancanza (nel provvedimento monitorio) di esplicita motivazione sulle questioni di diritto”; id. Sez. L, Sentenza n. 6543 del 20/03/2014; B- per la tesi della piena equiparazione: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 11549 del 16/11/1998; id. Sez. 1, Sentenza n. 15178 del 24/11/2000; id. Sez. U, Sentenza n. 4510 del 01/03/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 6628 del 24/03/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 18725 del 06/09/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18791 del 28/08/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 11360 del 11/05/2010), si e’ orientata – e cosi’ anche la maggior parte della dottrina – verso la tesi della piena efficacia di giudicato sostanziale del decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo per mancata opposizione proposta nel termine perentorio di legge.
Alla tendenza indicata hanno contribuito sia gli argomenti sviluppati a confutazione della tesi cd. restrittiva, sia l’evoluzione della teoria del giudicato implicito e della efficacia espansiva del giudicato in relazione a distinti diritti che trovano titolo in rapporti di durata o connotati da una esecuzione periodica delle prestazioni od ancora caratterizzati da taluni elementi costitutivi (che integrano presupposti legali o qualificazioni giuridiche invarianti che vengono a completare altre fattispecie) tendenzialmente permanenti, sia da ultimo la elaborazione della figura dell’ “abuso del diritto” con specifico riferimento all’abuso del (diritto di azione nel) processo.
Quanto al primo aspetto e’ stato determinante l’approfondimento inteso a ricollegare la efficacia di giudicato, intesa come stabilita’ dell’accertamento tra le parti degli effetti del rapporto giuridico, e funzionale pertanto a garantire la certezza del diritto, al presupposto della esistenza di un effettivo contraddittorio tra i soggetti, indicati nello stesso articolo 2909 c.c., nei cui confronti l’accertamento esplica il vincolo di incontestabilita’. E’ stato rilevato, al proposito, come la stessa peculiare struttura del procedimento d’ingiunzione, collocato tra i procedimenti sommari, impone di distinguere, proprio alla stregua del principio del contraddittorio, la “ratio legis” del differente trattamento riservato alla pronuncia di rigetto del ricorso monitorio, per difetto dei requisiti di ammissibilita’ o per “insufficiente giustificazione” probatoria (articolo 640 c.p.c.), che non impedisce la riproposizione della domanda in sede ordinaria o monitoria (articolo 640 c.p.c., comma 3), e alla pronuncia di accoglimento totale o parziale cui consegue la emissione del decreto ingiuntivo (articolo 641 c.p.c.) che, in caso di mancata opposizione, determina l’effetto preclusivo del giudicato: nel primo caso, infatti, la pronuncia di rigetto viene emessa “inaudita altera parte” e non puo’ esplicare effetti vincolanti tra le parti in quanto “la reiezione non e’ una pronunzia di accertamento negativo a favore del convenuto, non presente nel procedimento”; nel secondo caso, invece, dopo la notifica del decreto “l’intimato puo’ provocare il contraddittorio con la opposizione e ottenere la reiezione della domanda”, venendo a combinarsi l’attivita’ di valutazione delle prove rimessa al Giudice, con l’iniziativa del debitore posto comunque in grado di esercitare il proprio diritto di difesa in contraddittorio con il creditore istante, assumendo rilevanza ai fini della formazione del giudicato anche la scelta dell’intimato di non proporre opposizione, in quanto “per aversi cosa giudicata non e’ necessario il contraddittorio effettivo, bensi’ la provocazione a contraddire a una domanda giudiziale, che rappresenta la “condicio sine qua non” perche’ il provvedimento di merito acquisti efficacia di cosa giudicata” (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 4510 del 01/03/2006).
In relazione agli altri due aspetti, strettamente connessi, appare utile considerare come le questioni dagli stessi coinvolte non attengono specificamente alla struttura normativa del procedimento sommario, quanto piuttosto la problematica di carattere generale della individuazione dell’oggetto del giudizio, sul quale viene a formarsi il giudicato.
La teoria del giudicato implicito, esaminata dalle Sezioni Unite di questa Corte con le note sentenze Sez. U, Sentenza n. 24883 del 09/10/2008 e Sez. U, Sentenza n. 26019 del 30/10/2008, con specifico riferimento all’accertamento implicito della questione pregiudiziale di giurisdizione, ha ricevuto un determinate contributo dall’arresto di Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 e n. 26243 del 12/12/2014 che, riesaminando funditus la materia delle impugnative negoziali, ha tenuto ferma la nota distinzione delle questioni pregiudiziali che tali sono solo in senso logico (in quanto oggetto dello stesso accertamento che investe i fatti costitutivi della pretesa, dovendo quindi essere necessariamente decise “incidenter tantum”, e rimanendo coperte dal giudicato) e questioni pregiudiziali che invece tali sono in senso tecnico (in quanto attengono a fatti estranei alla fattispecie costituiva del diritto ma che ne costituiscono il presupposto giuridico, potendo costituire oggetto di autonomo giudizio, e che per essere decise con efficacia di giudicato abbisognano della espressa richiesta di parte ex articolo 34 c.p.c.), ha statuito che nelle azioni ex contractu la questione relativa alla validita’ del contratto e’ sempre e comunque rilevabile ex officio dal Giudice, in quanto tale accertamento si rende indefettibile -indipendentemente dalla espressa richiesta di uno specifico accertamento in tal senso formulata eventualmente dalle parti in corso di giudizio a seguito della rilevazione officiosa- essendo funzionale alla realizzazione del valore di giustizia sostanziale sotteso alla struttura del processo come delineata alla stregua dei principi costituzionali ex articoli 24 e 111 Cost., orientata “verso una decisione tendenzialmente volta al definitivo consolidamento della situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in giudizio. Una decisione tendenzialmente caratterizzata da stabilita’, certezza, affidabilita’ temporale, coniugate con valori di sistema della celerita’ e giustizia. Un sistema che eviti di trasformare il processo in un meccanismo potenzialmente destinato ad attivarsi all’infinito”. Con la conseguenza che – ad esclusione delle sole ipotesi in cui il Giudice pervenga al rigetto della domanda contrattuale in base alla “ragione piu’ liquida” omettendo quindi deliberatamente l’esame dei presupposti di validita’ del contratto, ovvero senza fornire in motivazione inequivoche indicazioni sulla validita’ del contratto – l’accoglimento della domanda ex contractu (ovviamente diversa dalla azione dichiarativa della nullita’ del contratto) implica, sempre e comunque, l’accertamento con efficacia di giudicato della “non nullita’ del contratto”.
Alla teoria del giudicato implicito sulle questioni pregiudiziali si accompagna – per quanto e’ di interesse nel presente giudizio – l’affermazione della “vis espansiva” del giudicato su questioni preliminari di merito, in relazione a cause non sovrapponibili quanto all’oggetto per diversita’ del “petitum”. Il principio di diritto statuito da Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006 – massimato dal CED di questa Corte – secondo cui “Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento cosi’ compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalita’ diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo”, e’ stato, infatti, declinato in relazione anche ai rapporti di durata, con riferimento alle obbligazioni scaturenti dagli stessi e concernenti un determinato periodo, venendo la Corte a distinguere – nella fattispecie normativa del diritto – i fatti che, in quanto dipendenti da fenomeni variabili nel tempo, richiedono per ogni diverso periodo un autonomo accertamento e sono quindi privi di efficacia preclusiva nei successivi giudizi (la intangibilita’ del loro accertamento si esaurisce nella singola pretesa oggetto del petitum di quel giudizio), e fatti, invece, che vengono ad assumere carattere tendenzialmente permanente (di regola inerenti a qualificazioni giuridiche della fattispecie che non subiscono mutamenti nel corso del rapporto), il cui accertamento pertanto assume rilevanza anche oltre il periodo di riferimento del singolo diritti oggetto di causa, espandendo la propria efficacia vincolante anche in altri giudizi aventi ad oggetto obbligazioni concernenti periodi diversi (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24433 del 30/10/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 13498 del 01/07/2015; id. Sez. L, Sentenza n. 15493 del 23/07/2015).
[…segue pagina successiva]
Leave a Reply