Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 28 novembre 2017, n. 28318. Il decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso

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Sulla questione dei limiti oggettivi del giudicato si innesta anche l’altro filone giurisprudenziale che investe la questione della “frazionabilita’ della pretesa” concernente il medesimo credito, ovvero concernente singoli crediti – della stessa o di diversa natura ma – tutti aventi titolo in un unico rapporto. Non occorre ripercorrere in questa sede il travagliato percorso della giurisprudenza di legittimita’ che, da un’originaria affermazione di ammissibilita’ statuita da Corte Cass. SU Sentenza 10/04/2000 n. 108, e’ poi pervenuta al “revirement” di Corte Cass. SU Sentenza 15/11/2007 n. 23726 che ha ridefinito il diritto di azione alla stregua del principio costituzionale del giusto processo (articolo 111 Cost.), nonche’ del principio di correttezza e buona fede – da leggersi in conformita’ al dovere di solidarieta’ di cui all’articolo 2 Cost. – che deve caratterizzare i rapporti tra le parti non solo al momento della costituzione e nel corso della fisiologica esecuzione del rapporto (articoli 1175 e 1375 c.c.), ma anche nella fase patologica dello stesso, qualificando come “abuso dello strumento processuale” il frazionamento delle domande giudiziali intese a frazionare il credito dovuto in forza di un unico rapporto obbligatorio (seguita da Corte Cass. SU Sentenza 22/12/2009 n. 26961 – che ha esteso il divieto di frazionamento anche al debitore dell’obbligazione restitutoria ex articolo 2033 c.c. e da Corte Cass. SU Sentenza 10/08/2012 n. 14374 – relativa a plurimi crediti per corrispettivi maturati in relazione ad un unico rapporto professionale svoltosi continuativamente per un lungo periodo di tempo-, oltre che da numerose decisioni delle Sezioni semplici), per approdare infine alla recente Corte Cass. SU Sentenza 16/02/2017 n. 4090 che, escludendo la rinvenibilita’ nell’ordinamento processuale di un divieto (assistito dalla sanzione della improponibilita’ della domanda) di procedere in separati giudizi all’accertamento di singoli crediti facenti capo ad un medesimo rapporto, ha tuttavia evidenziato come lo stesso ordinamento processuale preveda strumenti intesi a sollecitare la trattazione unitaria delle cause, onde evitare la “duplicazione di attivita’ istruttoria e decisoria, il rischio di giudicati contrastanti, la dispersione dinanzi a giudici diversi della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale” (con conseguenti ricadute negative sulla effettivita’ della tutela giurisdizionale, che trova attuazione nella durata ragionevole dei processi e nella stabilita’ dei rapporti e nella certezza del diritto), traendone la conseguenza che, la scelta del creditore di azionare, in separati giudizi, distinti diritti di credito che “oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque fondati sul medesimo fatto costitutivo”, puo’ giustificarsi soltanto nel caso in cui sussista “un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata”.
L’aspetto rilevante ai fini del presente giudizio, posto in luce dalle SS.UU. n. 4090/2017, e’ il passaggio implicito concernente l’ambito oggettivo di efficacia del giudicato del precedente giudizio relativo ad altro credito nascente dal medesimo rapporto e che trova chiara decifrazione nel caso concreto esaminato dalla sentenza che ha per l’appunto individuato, nell’ambito dell’unitario rapporto di lavoro, la differente sfera di accertamento riservato ai singoli diritti azionati nei separati processi (premio di fedelta’ e TFR), in quanto fondati su distinti presupposti e titoli costitutivi (rispettivamente di fonte pattizia e di fonte legale), che ne escludevano la inscrivibilita’ nel medesimo ambito oggettivo del giudicato, il che comporta “a contrario” che va riconosciuta la estensione della efficacia di giudicato le volte in cui il fatto costitutivo sia lo stesso ed abbia costituito oggetto di accertamento esplicito od implicito nel precedente giudizio, rimanendo circoscritto l’accertamento oggetto del successivo giudizio a quei soli elementi del diritto di credito (maturazione in relazione alla eventuale controprestazione-, scadenza del termine di esigibilita’, liquidazione del “quantum” – in relazione alla applicazione dei criteri di calcolo -) non coincidenti con i fatti costitutivi “invarianti” che integrano il medesimo presupposto logico-giuridico di entrambi i diritti azionati, in tal senso dovendo condividersi l’affermazione secondo cui la incontestabilita’ dell’accertamento contenuto nel decreto ingiuntivo non opposto non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del “petitum” (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6628 del 24/03/2006).
Orbene dall’excursus degli orientamenti giurisprudenziali emersi e dalle conclusioni in essi raggiunte, trae conferma il principio di diritto – cui il Collegio intende aderire – secondo cui l’autorita’ del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, e che trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda (cfr. ex plurimis: Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18725 del 06/09/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18791 del 28/08/2009, in motivazione).

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