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3.3 Deve ritenersi fondata anche la censura motivazionale racchiusa nei tre residui motivi come sopra riqualificati, poiche’, come ora si verra’ ad illustrare, quel che e’ stato accertato – a parte la sua giuridica insufficienza, appena constatata – viene esternato dalla corte territoriale mediante una motivazione affetta da un grado di illogicita’/contraddittorieta’ tale da non consentire il pervenimento al minimum costituzionale dell’apparato motivativo.
3.3.1 Al riguardo, sono noti gli interventi nomofilattici che hanno chiarito il significato della riforma, operata dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, del testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Se e’ vero che questo ora recita che la sentenza puo’ essere impugnata “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, e’ altrettanto vero che la lettera esige una interpretazione correttamente conforme all’inquadramento sistemico in cui la norma rimane inserita. Le Sezioni Unite hanno letto, per cosi’ dire, quel che dopo la novellazione e’ “rimasto tra le righe”, cioe’ la permanente necessita’ di un modulo motivativo reale, ovvero rispettoso del principio costituzionale di cui all’articolo 111 Cost., comma 6. Anche qualora sia stato formalmente esaminato ogni fatto decisivo controverso, cio’ non toglie che la motivazione debba avere esternato tale analisi con modalita’ rispettosa del c.d. minimum costituzionale, e non mediante un mero richiamo materiale.
La ben nota S.U. 7 aprile 2014 n. 8053 insegna infatti che il testo riformato si deve interpretare, “alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione”, rimanendo pertanto denunciabile “l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. Il sindacato del giudice di legittimita’, quindi, investe ancora, benche’ entro rigorosi limiti, il contenuto della motivazione relativa all’accertamento di fatto.
Sviluppa alla luce di una logica perfetta questo insegnamento – ben seguito frattanto dalle sezioni semplici successive -, un altro recente intervento nomofilattico, S.U. 3 novembre 2016 n. 22232, ulteriormente “scavando” nel concetto della motivazione apparente che la contestualizzazione sistemica ha condotto ad affiancare a quello dell’assenza materiale di motivazione: la motivazione apparente e’ tale quando non rende “percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento”; e nel caso di specie cio’ era avvenuto per la presenza di “considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al piu’, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione”. L’incomprensibilita’ oggettiva che il precedente arresto delle Sezioni Unite aveva indicato come realizzante l’apparenza motivazionale – come lo integra quell’elevato tasso di contraddittorieta’ che pure conduce alla incomprensibilita’ – e’ stata cosi’ identificata anche nella incompletezza delle argomentazioni, vale a dire nell’utilizzo di argomentazioni che potrebbero assumere un significato di esternazione del ragionamento soltanto se costituenti la base per necessarie argomentazioni successive, ovvero se sviluppate in queste.

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