Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 19 dicembre 2017, n. 30388. L’accertamento del comportamento colposo del pedone investito da un veicolo non è sufficiente per l’affermazione della sua esclusiva responsabilità

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3. Il ricorso e’ fondato nei limiti di quanto si verra’ ad esporre.
3.1 Il primo motivo, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, denuncia violazione, falsa od errata applicazione degli articoli 101, 115 e 116 c.p.c., in sintesi – come si e’ sopra esposto per l’utilizzazione nel giudizio civile della perizia espletata in un giudizio penale in cui gli attuali ricorrenti non si erano costituiti parte civile e prodotta comunque tardivamente rispetto alla decadenza ex articolo 184 c.p.c., ratione temporis applicabile, come immediatamente eccepito.
Il motivo e’ infondato, in quanto, a tacer d’altro, dalla impugnata sentenza risulta che nell’atto d’appello gli stessi attuali ricorrenti – anziche’ reiterare, quali appellanti, l’eccezione di tardiva produzione e conseguente inutilizzabilita’ della perizia che ora adducono di aver sollevato durante l’istruttoria di primo grado – hanno persino argomentato fondandosi sulla perizia stessa (motivazione della sentenza, pagine 9-10: gli appellanti ritengono che le conclusioni cui e’ pervenuto il primo giudice “non solo non tengono conto che (OMISSIS) conducente dell’auto ai sensi dell’articolo 2054 c.c., comma 1, si presume responsabile dell’investimento del pedone, ma sono anzi errate perche’ dalla relazione di servizio dei Carabinieri intervenuti nonche’ dalla perizia redatta dall’ing. (OMISSIS) si evince la responsabilita’ dell’investitore”). Ad abundantiam, quindi, si rileva altresi’ che ancora dalla impugnata sentenza (motivazione, pagina 8) emerge che, precisate una prima volta le conclusioni all’udienza del 4 marzo 2015, fu poi disposta con ordinanza del 3 giugno 2016 “l’acquisizione di atti del processo penale (sentenza del G. U. P., perizia dell’ing. (OMISSIS) disposta dal G.I.P., relazione delle Forze dell’Ordine intervenute) che non erano piu’ disponibili nel presente grado, essendo stati prodotti da (OMISSIS) che aveva ritirato e non piu’ presentato il fascicolo di parte per essere rimasto contumace”, dopodiche’ erano nuovamente precisate le conclusioni all’udienza del 30 settembre 2015: e su cio’ i ricorrenti non avanzano alcuna censura.
Quanto poi al riferimento all’articolo 652, in combinato disposto con l’articolo 75 c.p.p., comma 2, e’ sufficiente ricordare che proprio da una delle norme invocate dai ricorrenti come non rispettate, e in particolare dall’articolo 116 c.p.c., si evince il principio generale del libero convincimento, che consente al giudicante, qualora non si tratti di fattispecie regolate da prove legali, di fondare la sua cognizione pure su prove sortite da altri processi, anche penali, cio’ non venendo inibito dalla autonomia tra le giurisdizioni che il legislatore ha scelto con il codice del rito penale attualmente vigente di adottare (v. p. es. Cass. sez. 3, 17 giugno 2013 n. 15112, laddove conferma che, nonostante l’autonomia suddetta, “il giudice civile puo’ legittimamente utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in cosa giudicata e fondare la decisione su elementi e circostanze gia’ acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, procedendo a tal fine a diretto esame del contenuto del materiale probatorio, ovvero ricavando tali elementi e circostanze dalla sentenza, o se necessario, dagli atti del relativo processo”; conforme Cass. sez. L, 12 gennaio 2016 n. 287; e cfr. sulla stessa linea Cass. sez. 2, 25 marzo 2005 n. 6478, Cass. sez. 3, 18 novembre 2014 n. 24475 e Cass. sez. 3, 29 gennaio 2016 n. 1665).
3.2 Riguardo agli ulteriori motivi, si deve dare atto che la conformazione del secondo, del terzo e del quinto, non priva di mende, li porta comunque ad una necessaria riqualificazione, poiche’ in realta’ quel che viene censurato nella sentenza impugnata attraverso le suddette doglianze non e’ tanto violazione della normativa sulle presunzioni e sulla prova indiziaria, ne’ l’omesso esame di singoli fatti decisivi e discussi dalla corte territoriale, bensi’, a ben guardare, la globale struttura motivazionale di cui si e’ avvalsa la suddetta corte, criticata nel senso della assoluta illogicita’ propria dell’apparato motivativo dal giudice d’appello laddove ricostruisce la dinamica del sinistro. Il che, almeno in parte, si correla, d’altronde – come si vedra’ infra – pure al quarto motivo che denuncia la mancata applicazione da parte del giudice d’appello della presunzione di cui all’articolo 2054 c.c., comma 1, nel ricostruire, appunto, tale dinamica.
3.2.1 Non si puo’, allora, non prendere le mosse proprio dal quarto motivo, che risulta fondato anzitutto laddove, in sintesi, evidenzia intendere che la corte territoriale ha tentato di “schivare” l’applicazione dell’articolo 2054 c.c., comma 1.
Si adduce, infatti (pagine 24 ss. del ricorso), che nell’atto di citazione la descrizione del fatto portava inevitabilmente a sussumerlo nell’articolo 2054 c.c., comma 1 e che i convenuti, costituitisi entrambi, non avevano contestato l’applicabilita’ della norma; dal canto suo il Tribunale inquadrava inequivocamente la vicenda nell’articolo 2054 c.c., comma 1. L’appellata compagnia assicuratrice, costituendosi nel secondo grado, non contestava questa qualificazione giuridica del fatto. La corte territoriale ha manifestato peraltro di “nutrire qualche dubbio”. Effettivamente, non era rientrata nel devolutum l’applicabilita’ dell’articolo 2054 c.c., comma 1, per ricostruire l’evento, e non giustificato, dunque, risulta il rilievo del giudice d’appello al riguardo (motivazione della sentenza impugnata, pagina 12: “a prescindere da ogni considerazione circa l’applicabilita’ della presunzione di colpa ex articolo 2054 c.c., comma 1, nella fattispecie, riguardante la circolazione dei veicoli in un’area privata”), essendosi sul punto creato il giudicato interno.

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