Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 31 ottobre 2017, n. 25856. In tema di responsabilita’ ex articolo 2051 c.c.

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La sentenza impugnata risulta conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di responsabilita’ per i danni causati da beni in custodia e di distribuzione dei relativi oneri probatori (che il ricorso non offre motivi idonei a indurre a rivedere).
In base a tali principi: a) “in tema di responsabilita’ ex articolo 2051 c.c., e’ onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosita’, dimostrare, altresi’, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosita’, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonche’ di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito puo’ essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (nella specie, la S.C. ha ritenuto eziologicamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneita’ dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada)” (Cass., Sez. 6 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017, Rv. 644282 – 01); b) “ai sensi dell’articolo 2051 c. c., allorche’ venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosita’ della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, Rv. 640508 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 23584 del 17/10/2013, Rv. 628725 – 01); c) “in tema di responsabilita’ del custode, la ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento dí fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivato” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10014 del 20/04/2017, Rv. 643830 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 6753 del 06/04/2004, Rv. 571873 – 01).
Nella specie, la corte di merito ha ritenuto, in fatto e con valutazione fondata su adeguata motivazione, come tale non sindacabile nella presente sede, che la ricorrente era caduta scivolando sui residui di un sacchetto di immondizia lasciato aperto sulle scale condominiali, e che tale circostanza rappresentava un evento estraneo alla sfera di custodia dell’amministratore del condominio, eccezionale, imprevedibile e non evitabile, tale da poter configurare il caso fortuito, e quindi costituiva l’unica causa del danno, il che era sufficiente ad integrare la prova liberatoria richiesta dall’articolo 2051 c.c..
L’esclusione della sussistenza del nesso di causa tra la cosa in custodia e l’evento lesivo, escludono in radice, d’altra parte, la possibilita’ di affermare una responsabilita’ per colpa ai sensi dell’articolo 2043 c.c. da parte dello stesso amministratore del condominio.
I fatti storici rilevanti risultano tutti presi in considerazione dalla corte di merito, la quale ha prudentemente valutato le emergenze istruttorie.
In relazione ai suddetti accertamenti di fatto, in sostanza, la ricorrente chiede una diversa valutazione delle prove e un riesame del merito del giudizio, il che non e’ ammissibile in sede di legittimita’, considerato che al presente processo e’ applicabile (essendo la sentenza impugnata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012) il nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui non sono piu’ deducibili, come in passato, genericamente vizi di motivazione, ma esclusivamente l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti” (Sezioni Unite, 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054; conf.: Cass. 27 novembre 2014 n. 25216; 9 luglio 2015 n. 14324).
D’altra parte, la violazione dell’articolo 2697 c.c. non risulta neanche dedotta in conformita’ al paradigma indicato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione: “la violazione dell’articolo 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 c.p.c. e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio – fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c. -, mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove”: Cass. n. 11892 del 2016″).
Risultano infine del tutto inconferenti le ulteriori questioni poste nel ricorso, con riguardo all’applicabilita’ alla fattispecie delle norme in tema di condominio negli edifici e di responsabilita’ solidale dei condomini, dal momento che, da una parte, e’ stato escluso che l’evento lesivo sia derivato causalmente da beni di proprieta’ condominiale e quindi nella custodia dell’amministratore, e dall’altra parte l’eventuale responsabilita’ per colpa di un singolo condomino (peraltro non individuato), in relazione all’infortunio della ricorrente, non sarebbe in alcun modo idonea a determinare la responsabilita’ dell’ente di gestione convenuto e/o comunque degli altri condomini.
2. Il ricorso e’ rigettato.
Nulla e’ a dirsi in ordine alle spese del giudizio, non avendo l’intimato svolto attivita’ difensiva.
Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– nulla per spese.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
Motivazione semplificata.

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