Le componenti del danno non patrimoniale, inteso come lesione di diritti costituzionalmente tutelati, risultano, da una parte, quella morale (e cioe’ la sofferenza interiore), dall’altra, quella dinamico-relazionale (consistente nella significativa e grave alterazione delle condizioni di vita quotidiane).

Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 23 marzo 2018, n. 7249.

Le componenti del danno non patrimoniale, inteso come lesione di diritti costituzionalmente tutelati, risultano, da una parte, quella morale (e cioe’ la sofferenza interiore), dall’altra, quella dinamico-relazionale (consistente nella significativa e grave alterazione delle condizioni di vita quotidiane). Esse, pertanto, debbono dar luogo ad una valutazione che tenga complessivamente conto di tutti gli aspetti del vulnus arrecato al danneggiato a seguito dell’illecita condotta tenuta dal danneggiante.
Per un verso, la autonomia, ontologica e normativa, della qualificazione del danno morale nell’ambito della lesione del diritto alla salute valutata sul piano dinamico-relazionale (piano che ad altro non corrisponde, nella fattispecie del danno biologico, se non alla componente esistenziale della sofferenza) in ragione della diversita’ del bene protetto; – per l’altro, la necessita’ di una valutazione unitaria del danno non patrimoniale sia nella sua componente “biologica” (“la lesione della salute medicalmente accertabile che esplica un’incidenza negativa sulle attivita’ quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato”; cosi’, testualmente, l’articolo 138 del codice delle assicurazioni, che disciplina, altrettanto testualmente, le sole conseguenze relazionali del danno, i.e. di cio’ che, per il danneggiato, risulta essere “altro da se”) sia in quella morale (la sofferenza interiore, intesa come relazione intimistica del soggetto con se stesso).

Ordinanza 23 marzo 2018, n. 7249
Data udienza 9 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 3091-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA (OMISSIS), in persona del suo Direttore Generale e Legale rappresentante pro tempore Dott. (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 425/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 01/08/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/01/2018 dal Consigliere Dott. IRENE AMBROSI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CORRADO MISTRI, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) convenne l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) dinanzi al Tribunale dell’omonima citta’ chiedendo accertarsene la responsabilita’ contrattuale ed extracontrattuale (conseguente alle cure inadeguate e negligenti prestategli dal personale sanitario della stessa azienda presso la quale era stato trasportato a seguito di un incidente motociclistico di cui era rimasto vittima il 25 luglio 2005 e a causa del quale aveva riportato multiple fratture ossee e lesioni organiche plurime) e la condanna al risarcimento dei danni subiti dall’attore secondo il seguente ordine: – danno non patrimoniale costituito dal biologico nella percentuale del 64/68% e stimato secondo le tabelle in Euro 311.776,51, invalidita’ temporanea assoluta di gg. 160 stimato in Euro 6.400,00 ed invalidita’ temporanea parziale di gg. 130 stimato in Euro 2.600,00; danno morale subiettivo pari a Euro 160.238,00 (e pari a meta’ del biologico); danno esistenziale stimato in Euro 80.119,00; – danno patrimoniale stimato in Euro 172.157,88 e quello futuro in Euro 100,000,00.
Si costitui’ la convenuta Azienda chiedendo il rigetto della domanda.
Ammessa ed esperita la Consulenza Tecnica d’Ufficio, Il Tribunale di Terni con sentenza 26 settembre 2011 n. 742 accolse parzialmente la domanda e condanno’ la convenuta a corrispondere in favore di (OMISSIS) la somma di Euro 45.000,00 oltre interessi e rivalutazione nonche’ la somma di Euro 4.621,08 per spese sanitarie, oltre rivalutazione, nonche’ le spese di lite.
Avverso tale decisione (OMISSIS) proponeva impugnazione principale e l’Azienda sanitaria incidentale.
La Corte d’appello di Perugia, con sentenza 22 maggio 2014 n. 425 nel respingere l’impugnazione sia principale sia incidentale, compenso’ le spese di lite.
Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha ritenuto:
– che le censure mosse dall’Azienda risultavano in parte infondate e in parte inammissibili per mancata formulazione di specifici motivi di censura;
– che le censure del (OMISSIS) riguardanti la responsabilita’ medica della Azienda appellata con riferimento alla moltiplicazione degli interventi chirurgici subiti, all’indebolimento della parete addominale e alla perdita del rene sinistro erano infondate giacche’ la sentenza impugnata – fondata sulla esperita CTU – era sul punto corretta e supportata da adeguata motivazione;
– che era altresi’ infondata l’eccezione circa il mancato riconoscimento della maggiore gravita’ dei postumi permanenti subiti a seguito della frattura alla scapola sinistra (in aggiunta a quelli riconosciuti per la lesione occorsa al nervo circonflesso); cio’ in quanto non corrispondeva al vero che il CTU aveva omesso di effettuare la valutazione della limitazione funzionale alla spalla sinistra;
– che, correttamente, il giudice di prime cure aveva escluso che (OMISSIS) avesse subito un danno patrimoniale da lesione della capacita’ lavorativa specifica, essendo invece ravvisabile, nella specie, soltanto un danno della “cenestesi” lavorativa;
– che infine – poiche’ “il danno non patrimoniale, alla quale va pacificamente ricondotto il danno esistenziale (danno conseguenza) e’ categoria giuridica unitaria” – la liquidazione del danno biologico operata dal giudice di prime cure (mediante il ricorso alle tabelle del Tribunale di Roma dell’anno 2011) aveva ricompreso anche il danno esistenziale dallo stesso patito sicche’ la richiesta di quest’ultimo volta ad ottenere il ristoro di tale danno doveva essere disattesa.
Propone ricorso per cassazione (OMISSIS) mediante due motivi. Risponde con controricorso l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS). Il ricorrente ha depositato memoria. Ha depositato le proprie conclusioni scritte il Pubblico Ministero ex articolo 380 bis c.p.c., comma 1.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo (“Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2059 c.c. con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”) il ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto infondato il motivo di appello proposto avverso la sentenza di prime cure che aveva escluso l’autonoma risarcibilita’ del danno esistenziale subito. In proposito la Corte territoriale ha testualmente motivato: “nella piu’ recente giurisprudenza (Cass. 08/8827 e 8828 e C. Cost. 03/233) il danno non patrimoniale, alla quale va pacificamente ricondotto il cd. danno esistenziale (danno conseguenza) e’ categoria giuridica unitaria come lo e’ il danno patrimoniale; sicche’ le cd. tabelle di liquidazione del danno biologico, come quelle del Tribunale di Roma dell’anno 2011, di cui ha fatto applicazione il primo Giudice, valgono oramai, nella loro piu’ ampia articolazione rispetto al passato (dette tabelle contengono i criteri per la liquidazione del danno biologico e “dell’ulteriore danno non patrimoniale” e non dunque come in passato, del solo danno morale) a liquidare il danno non patrimoniale cosi’ inteso oramai unitariamente. E dunque comprensivo del cd. danno esistenziale, che non potra’ essere liquidato ulteriormente in modo autonomo. Il primo giudice ha parlato di danno morale, ma utilizzando le dette Tabelle, ha di fatto liquidato tutto “l’ulteriore danno non patrimoniale” compreso dunque il cd. danno esistenziale ove effettivo (…)”.
L’aver ritenuto il danno esistenziale inglobato all’interno del danno biologico, ad avviso del ricorrente, non e’ condivisibile e si pone in contrasto coi principi di personalizzazione del danno e della integralita’ del ristoro. Il primo impone al giudice di utilizzare criteri idonei al fine di determinare un indennizzo equo, proporzionale ed adeguato rispetto all’effettivo danno subito dal soggetto cui e’ dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale; il secondo di considerare tutti gli aspetti (o voci) in cui la composita categoria del danno non patrimoniale si compendia: morale, biologico ed esistenziale; in particolare, vengono richiamati dalla parte ricorrente alcuni precedenti di questa Corte con riferimento a quegli aspetti o voci di danno non patrimoniale (morale e esistenziale), diversi dal biologico, in cui esso si compendia (Cass. Sez. 3, 23/01/2014 n. 1361; Cass. Sez. U, 24/03/2006 n. 6572). Pertanto, la Corte di merito – tanto motivato – erroneamente avrebbe ritenuto di non dover nemmeno verificare l’effettiva sussistenza di un danno esistenziale subito.
1.1. La censura e’ infondata.
Va rammentato che questa Corte ha piu’ volte affermato, anche di recente, che le componenti del danno non patrimoniale, inteso come lesione di diritti costituzionalmente tutelati, risultano, da una parte, quella morale (e cioe’ la sofferenza interiore), dall’altra, quella dinamico-relazionale (consistente nella significativa e grave alterazione delle condizioni di vita quotidiane). Esse, pertanto, debbono dar luogo ad una valutazione che tenga complessivamente conto di tutti gli aspetti del vulnus arrecato al danneggiato a seguito dell’illecita condotta tenuta dal danneggiante (Cass. Sez. 3, 20/11/2012 n. 20292; Cass. Sez. 6 – 3, 24/09/2014 n. 20111, Cass. Sez. 3, 09/06/2015 n. 11851; Cass. Sez. 3, 20/04/2016 n. 7766; Cass. Sez. 3 – 31/10/2017, n. 25817;).
A tale ricostruzione unitaria e composita del danno non patrimoniale cui si intende in questa sede dare seguito – ha mostrato, nella sostanza, sia pur con passaggi della motivazione non del tutto conformi e che vanno pertanto corretti, di aderire la Corte perusina.
Va pertanto ribadito: – per un verso, la autonomia, ontologica e normativa, della qualificazione del danno morale nell’ambito della lesione del diritto alla salute valutata sul piano dinamico-relazionale (piano che ad altro non corrisponde, nella fattispecie del danno biologico, se non alla componente esistenziale della sofferenza) in ragione della diversita’ del bene protetto; – per l’altro, la necessita’ di una valutazione unitaria del danno non patrimoniale sia nella sua componente “biologica” (“la lesione della salute medicalmente accertabile che esplica un’incidenza negativa sulle attivita’ quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato”; cosi’, testualmente, l’articolo 138 del codice delle assicurazioni, che disciplina, altrettanto testualmente, le sole conseguenze relazionali del danno, i.e. di cio’ che, per il danneggiato, risulta essere “altro da se”) sia in quella morale (la sofferenza interiore, intesa come relazione intimistica del soggetto con se stesso).
Alla luce di tali principi, la Corte territoriale ha correttamente confermato la liquidazione unitaria ed integrale del danno non patrimoniale effettuata dal giudice di prime cure il quale, nell’ambito di una quantificazione congiunta, aveva proceduto ad una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale (comprensiva di tutte le sue componenti, anche di quella dinamico-relazionale esistenziale).
la Corte perugina ha, in concreto – sia pur errando nella parte di motivazione in cui vi si legge un riferimento ai criteri tabellari di liquidazione del danno biologico e “dell’ulteriore danno non patrimoniale e non dunque come in passato del solo danno morale”, nella specie non rettamente inteso, alla luce della sua inequivoca definizione normativa in termini di danno relazionale (come sopra meglio citata) – ha confermato la corretta liquidazione unitaria ed integrale del danno non patrimoniale operata dal tribunale, tenendo conto di tutte le sue componenti.
2. Con il secondo motivo (“Violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 2043, 2697 e 2729 c.c. e articolo 115 c.p.c. con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”) il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto infondato il motivo di appello proposto avverso la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva escluso che (OMISSIS) avesse subito un danno patrimoniale da lesione della capacita’ lavorativa, avendo invece ravvisato soltanto un danno della cenestesi lavorativa. Al riguardo la Corte di appello ha ritenuto: “ai fini in questione appare non decisivo il dato quantitativo della misura dei postumi permanenti, e tantomeno della speciale disciplina relativa al trattamento degli infortuni da parte dell’INAIL, occorrendo avere riguardo alla qualita’ dei postumi ed alla loro possibile incidenza sullo svolgimento dell’attivita’ lavorativa del danneggiato. Sul punto, l’attore si limita ad un richiamo alle limitazioni funzionali, piu’ o meno gravi, della spalla comportanti dei postumi. Ma a questa sua deduzione la Corte ritiene di poter opporre la valutazione dei CTU fra i quali c’e’ un medico legale secondo la quale i detti postumi comportano “una condizione di maggior dispendio fisico (usura) delle proprie risorse”, e cioe’ appunto quel danno per cenestesi lavorativa che il primo giudice ha liquidato con un appesantimento del punto di danno biologico”. Ad avviso del ricorrente, non e’ condivisibile quanto motivato dalla Corte territoriale perche’ frutto di una erronea valutazione delle risultanze istruttorie; in particolare, non sarebbe stata attribuita la giusta rilevanza a due specifici fattori: alla gravita’ dei postumi permanenti del (OMISSIS) e alla natura del lavoro di elettricista da questi svolto che richiede l’espletamento di un certo sforzo fisico.
2.1. La censura e’ manifestamente infondata.
Questa Corte ha gia’ in svariate occasioni evidenziato che “in tema di risarcimento del danno alla persona, sussiste la risarcibilita’ del danno patrimoniale soltanto qualora sia riscontrabile la eliminazione o la riduzione della capacita’ del danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione della “cenestesi lavorativa”, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficolta’ incontrate nello svolgimento dell’attivita’ lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunita’ sul reddito della persona offesa (c. d. perdita di chance), risolvendosi in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo, va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute. A tal fine il giudice, ove abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidita’, ben puo’ liquidare la componente costituita dal pregiudizio della cenestesi lavorativa mediante un appesantimento del valore monetario di ciascun punto, restando invece non consentito il ricorso al parametro del reddito dal soggetto leso” (Sez. 3, 24/03/2004 n. 5840; piu’ di recente, Sez. 6 – 3, 09/10/2015 n. 20312).
La Corte di merito ha adeguatamente argomentato in conformita’ della richiamata giurisprudenza specificando di opporre alle deduzioni dell’allora appellante (OMISSIS), le valutazioni risultanti dalla esperita CTU le quali avevano posto in luce come i postumi comportassero solo “una condizione di maggiore dispendio fisico (usura) delle proprie risorse” e, pertanto, un danno per cenestesi lavorativa, cosi’ confermando la corretta liquidazione operata dal giudice di prime cure mediante un appesantimento del punto di danno biologico (cfr. pag. 16 della sentenza impugnata).
Non sussistono, quindi, le paventate violazioni o false applicazioni delle norme di diritto richiamate nella rubrica del motivo ed in proposito – come puntualmente rilevato dallo stesso Pubblico Ministero, parte ricorrente in concreto ed espressamente (pag. 19 del ricorso) pone censure afferenti alla asserita erronea valutazione delle risultanze istruttorie, cosi’ mirando ad una surrettizia rivisitazione del giudizio di merito.
3. In conclusione il ricorso va integralmente rigettato.
4. Sussistono i giusti motivi – ai sensi dell’articolo 92 c.p.c. nella formulazione risultante dalla sostituzione disposta dalla L. n. 263 del 2005, articolo 2, applicabile in ragione dell’epoca di introduzione del giudizio di primo grado – per l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimita’ avuto riguardo alla peculiarita’ delle questioni e alla complessiva vicenda processuale.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di legittimita’ tra le parti.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.

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