Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 15 marzo 2018, n. 6395. L’impedimento del godimento della parte dell’immobile necessaria per l’abitazione del conduttore e della sua famiglia non è di per sé causa di scioglimento del contratto, spettando all’iniziativa dello stesso conduttore manifestare un interesse contrario alla prosecuzione del rapporto.

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[…]

I motivi non sono fondati, in quanto la Corte territoriale, ad esito di un adeguato percorso motivazionale e sulla base di un accertamento in fatto, insindacabile nella presente sede processuale, e’ pervenuta alla conclusione che il conduttore non era riuscito a provare la sussistenza delle anomalie denunciate con riferimento allo scambiatore, che non manteneva la miscelazione dell’acqua. E, d’altra parte, come sopra rilevato, non sarebbe succinta, come invece espressamente richiesto dall’articolo 118 disp. att. c.p.c., l’esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione che comprendeva l’espressa disamina di tutti gli argomenti addotti da una parte a sostegno delle proprie domande o eccezioni.

6. Parzialmente fondato, infine, e’ il quinto motivo, nel quale il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1584, 1578, 1575 e 1576 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la Corte territoriale:

– ha erroneamente ritenuto che la riduzione del canone ed il risarcimento dei danni possono derivare (non dal cattivo funzionamento della caldaia, ma) da vizi e difetti, che investono la “struttura materiale”, dimenticando che il non funzionamento della caldaia si era protratto per 27 mesi e le riparazioni della caldaia erano a carico del proprietario locatore (rientrando nella previsione dell’articolo 1578 c.c.);

– ed ha erroneamente ignorato che egli, quale danno morale, aveva dedotto il pregiudizio collegato al fatto di aver abitato per oltre un anno un immobile privo di un funzionante impianto di produzione dell’acqua calda e di essere stato pertanto costretto per oltre un anno ad accendere i termosifoni ogni qual volta voleva beneficiare dell’acqua calda.

Il motivo in esame non e’ fondato nella parte in cui deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1584 c.c., in quanto detta norma, nel prevedere i diritti del conduttore in caso di riparazioni, si riferisce soltanto al caso in cui la necessita’ di riparazioni improcrastinabili della cosa locata impediscano temporaneamente ogni godimento dell’alloggio.

In particolare, l’articolo 1584, comma 2, nella giurisprudenza di legittimita’ viene interpretato nel senso che l’impedimento del godimento della parte dell’immobile necessaria per l’abitazione del conduttore e della sua famiglia non e’ di per se’ causa di scioglimento del contratto, spettando all’iniziativa dello stesso conduttore manifestare un interesse contrario alla prosecuzione del rapporto (Sez. 3, sent. n 12319 del 2005).

Nulla di tutto questo nel caso di specie nel quale: il conduttore non risulta aver allegato un interesse contrario alla prosecuzione del rapporto ed anzi risulta aver continuato ad usufruire dell’immobile fino alla scadenza contrattuale.

Al contrario, il motivo in esame e’ fondato nella parte in cui lamenta che, secondo la impugnata sentenza (p. 7), egli non aveva “allegato il danno morale e/o esistenziale derivatogli” dal cattivo funzionamento dello scambiatore dell’acqua.

In effetti, contrariamente a quanto rilevato dalla Corte territoriale, il conduttore (OMISSIS), gia’ in sede di ricorso al Tribunale di Lecce, aveva rilevato che: a) a causa del malfunzionamento dello scambiatore e del circolatore dell’acqua, lui ed i componenti della sua famiglia, ogniqualvolta intendevano utilizzare l’acqua calda per la doccia e/o il bagno, erano costretti ad accendere i termosifoni (anche d’estate), con conseguente limitazione della loro liberta’ e con perdita di tempo (richiedendo tale operazione almeno 20-30 minuti); b) il danno morale consisteva nel pregiudizio direttamente collegato al fatto di dover abitare, da oltre un anno, in un immobile, privo di un funzionante impianto di acqua calda (anche semplicemente per lavarsi i capelli).

Cio’ non dimeno anche detto motivo non puo’ essere accolto.

Invero, le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 26972 risalente all’11 novembre 2008, hanno si’ ammesso la risarcibilita’ del danno non patrimoniale anche nell’ambito della responsabilita’ contrattuale, ma sempre che l’inadempimento violi contemporaneamente i diritti e doveri derivanti dal contratto ed i valori costituzionali primari della persona umana. La risarcibilita’ del danno non patrimoniale nel caso di specie non e’ neppure astrattamente ammissibile, in quanto il ricorrente non ha evocato nessuno valore costituzionalmente protetto.

D’altronde, e’ jus receptum (Sez. 3, sent. nn. 10742/2002 Rv. 556107-01; 16136/2010 RV 614027-01) che il conduttore, nel caso in cui la cosa locata necessiti di una riparazione eccedente la normale manutenzione e detta riparazione presenti il carattere dell’urgenza, ha l’onere di avvisare il locatore (a carico del quale esclusivamente grava l’obbligo di provvedere a dette riparazioni), ma – nel caso in cui il locatore, pur avvisato, rimanga inerte – ha facolta’ di provvedere direttamente a dette riparazioni, salvo richiederne poi il rimborso ed il risarcimento danni (non essendo richiesta per tale tipo di intervento la preventiva autorizzazione e non risultando neppure di ostacolo l’eventuale divieto del locatore). Nel caso di specie il conduttore non risulta essersi avvalso di tale facolta’, che gli avrebbe consentito di continuare ad usufruire dell’immobile fino alla sostituzione della caldaia (fatta operare al proprietario) senza pregiudizio a suo carico.

5. Ne consegue che, corretta la motivazione nei termini di cui sopra ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 4, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, che si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

Al rigetto del ricorso consegue altresi’ la condanna del ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo, dovuto per legge e pure indicato in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, spese che liquida in Euro 2200, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.

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