Sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: articolo 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.; articolo 185 c.p.).

Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 13 aprile 2018, n. 9196

1) Sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: articolo 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.; articolo 185 c.p.).
2) La natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle sezioni unite della S.C. (Corte cost. 233/2003; Cass. ss.uu. 26972/2008) deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:
a) di unitarieta’ rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;
b) di onnicomprensivita’ intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in peuis della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.
3) Nel procedere all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 235/2014, punto 10.1 e ss.) e del recente intervento del legislatore sugli articoli 138 e 139 C.d.A. come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 17, – la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), ed il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale – deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioe’ tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di se’, della paura, della disperazione) quanto quello dinamico-relazione (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
4) Nella valutazione del danno alla salute, in particolare – ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore, interesse costituzionalmente protetto (Corte cost. 233/2003) – il giudice dovra’, pertanto, valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realta’ esterna, con tutto cio’ che, in altri termini, costituisce “altro da se”).
5) In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) puo’ essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plemmque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidita’ non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
6) Costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attivita’ dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’articolo 32 Cost.), mentre una differente ed autonoma valutazione andra’ compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’articolo 138 del C.d.A., lettera e).
7) In assenza di lesione della salute, ogni vulnus arrecato ad un altro valore/interesse costituzionalmente tutelato andra’ specularmente valutato e accertato, all’esito di compiuta istruttoria, e in assenza di qualsiasi automatismo (volta che, nelle singole fattispecie concrete, non e’ impredicabile, pur se non frequente, l’ipotesi dell’accertamento della sola sofferenza morale o della sola modificazione in pejus degli aspetti dinamico-relazionali della vita), il medesimo, duplice aspetto, tanto della sofferenza morale, quanto della privazione/diminuzione/modificazione delle attivita’ dinamico-relazioni precedentemente esplicate dal soggetto danneggiato (in tal senso, gia’ Cass. ss.uu. 6572/2006).
8) La liquidazione finalisticamente unitaria di tale danno (non diversamente da quella prevista per il danno patrimoniale) avra’ pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore (cui potrebbe assimilarsi, in una suggestiva simmetria legislativa, il danno emergente in guisa di vulnus “interno” arrecato al patrimonio del creditore), quanto sotto quello dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (danno idealmente omogeneo al cd. “lucro cessante” quale proiezione “esterna” del patrimonio del soggetto).

Ordinanza 13 aprile 2018, n. 9196
Data udienza 14 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 27026-2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) ( (OMISSIS)), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA, gia’ (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro-tempore Dott.ssa (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
UCI UFFICIO CENTRALE ITALIANO UFFICIO NAZIONALE ASSICURAZIONE VEICOLI MOTORE IN CIRCOLAZ. INTERNAZIONALE, in persona del Funzionario Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso la sentenza n. 6284/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione, con particolare riferimento al primo motivo di gravame.
RILEVATO
che:
1. Nel 1996, (OMISSIS) convenne in giudizio (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e quale esercente la potesta’ genitoriale su (OMISSIS) e (OMISSIS), questi ultimi tre in qualita’ di eredi del defunto (OMISSIS), la (OMISSIS) S.p.a., la (OMISSIS) S.p.a. rappresentata ex lege dall’ (OMISSIS) S.c. a r.l., la (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS), per essere risarcito dei danni patiti in occasione del sinistro stradale occorsogli mentre era trasportato sull’autovettura Opel Astra condotta dal proprietario della stessa, (OMISSIS).
Tale sinistro aveva coinvolto tre autovetture: una Fiat Uno di proprieta’ di (OMISSIS), condotta da (OMISSIS), su cui viaggiava (OMISSIS), assicurata con la compagnia (OMISSIS); una Volkswagen Passat, condotta dal proprietario (OMISSIS) ed assicurata con la (OMISSIS); l’Opel Astra di (OMISSIS), assicurata con la (OMISSIS), su cui viaggiavano, oltre al (OMISSIS) ed allo stesso (OMISSIS), (OMISSIS).
Nello stesso sinistro avevano perso la vita (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano riportato lesioni.
Si costituirono in giudizio: il Venutolo – e con lui la sua compagnia assicuratrice (OMISSIS) – contestando la propria responsabilita’ nella causazione dell’incidente; l’ (OMISSIS), quale rappresentante ex lege della (OMISSIS), la quale eccepi’ preliminarmente che l’attore – che dai verbali della Polizia stradale risultava essere conducente dell’Astra al momento dell’incidente – non poteva avanzare richiesta di danni nei suoi confronti in quanto la copertura assicurativa copriva unicamente i danni subiti dai trasportati, contestando poi nel merito la responsabilita’ del conducente della vettura assicurata; la (OMISSIS), che contesto’ la responsabilita’ della propria assicurata.
Rimase contumace (OMISSIS).
Nelle more, (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di esercente la potesta’ genitoriale dei figli minori, introdusse un ulteriore giudizio chiedendo il risarcimento dei danni subiti iure proprio e iure heraeditario per la morte del marito (OMISSIS) a seguito dell’incidente. Tale giudizio fu riunito a quello introdotto dal (OMISSIS).
Infine, nelle cause riunite intervennero (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), figli dei deceduti (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendo che fosse dichiarata la responsabilita’ degli altri due conducenti, o in subordine della propria madre, con conseguente condanna al risarcimento di tutti i danni da loro subiti a titolo di danno biologico, iure heraeditario e iure proprio, danno patrimoniale (stante il sostegno economico loro garantito dai genitori) e danno esistenziale.
Il Tribunale di Cassino, con sentenza n. 406/2005, dichiaro’ la responsabilita’ di (OMISSIS) e di (OMISSIS), per il 50% ciascuno, nella causazione del sinistro e, per l’effetto, condanno’:
– il (OMISSIS) e la (OMISSIS), gli eredi del (OMISSIS) e la (OMISSIS), rappresentata dall’ (OMISSIS), in solido tra loro, al risarcimento del danno biologico in favore dell’attore (OMISSIS), nonche’ al risarcimento del danno patrimoniale, esistenziale e morale in favore degli intervenuti (OMISSIS);
– il (OMISSIS) e la (OMISSIS), in solido tra loro, al risarcimento del danno biologico, morale e patrimoniale in favore della (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ esercente la potesta’ sui figli minori.
2. La decisione e’ stata parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 628 del 15 ottobre 2014, pronunciata nella contumacia della (OMISSIS) e del (OMISSIS).
Per quel che qui ancora rileva, la Corte di Appello, diversamente dal giudice di primo grado, ha ritenuto che nulla potesse essere riconosciuto agli eredi (OMISSIS) a titolo di danno esistenziale, in linea con il principio di diritto enunciato dalla Cassazione a Sezioni Unite (Cass. ss.uu. 26792/2008), ed in considerazione del fatto che il Tribunale, per la contemporanea perdita di entrambi i genitori, aveva condannato il (OMISSIS) e gli eredi (OMISSIS), nonche’ le rispettive compagnie assicuratrici, al pagamento della somma di Euro 160.000 a favore di ciascuno degli intervenuti a titolo di danno morale.
Inoltre, la Corte romana ha escluso la spettanza, in favore dei medesimi eredi (OMISSIS), del risarcimento del danno patrimoniale per lucro cessante, rilevando che gli intervenuti non avevano depositato documentazione idonea a dimostrare i redditi, le disponibilita’ economiche ed il tenore di vita dei genitori al momento dell’incidente e quale parte di tali risorse questi ultimi avrebbero impiegato per sostenere economicamente i figli, ad esempio nel pagamento delle rate dei mutui contratti per l’acquisto di immobili di proprieta’. In particolare, secondo la Corte, dai documenti prodotti non era dato evincere se le rate di mutuo scadute prima dell’incidente fossero state pagare con denaro messo a disposizione dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS).
3. Avverso tale decisione propongono ricorso in Cassazione, illustrato da memoria, sulla base di due motivi, i signori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
3.1. Resistono con controricorso l’ (OMISSIS) S.p.a. (gia’ (OMISSIS) S.p.a.) e l’ (OMISSIS) S.c. a r.l. Gli intimati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) S.p.a. non hanno svolto difese.
3.2. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
CONSIDERATO
che:
4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2059 c.c. e degli articoli 2, 29 e 30 Cost.”
La Corte di appello avrebbe illegittimamente escluso il risarcimento del danno c.d. esistenziale, senza specificare se si trattasse effettivamente di un’indebita duplicazione risarcitoria rispetto al danno morale.
La decisione del giudice di primo grado, al di la’ della terminologia utilizzata, sarebbe conforme ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimita’, avendo argomentato la necessita’ di adeguare la somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale in base alle tabelle del Tribunale di Roma con una ulteriore erogazione correlata alla particolare intensita’ dello stravolgimento esistenziale derivante dalla perdita dei genitori.
Tale disposizione, quindi, non si porrebbe in contrasto con il principio secondo cui il danno non patrimoniale si configura in un’unica categoria di danno risarcibile, risultando in essa integralmente assorbite le diverse voci del danno esistenziale, morale e dinamico-relazionale.
Il motivo e’ fondato.
Come questa Corte ha avuto piu’ volte modo di sottolineare (in particolare Cass. 21059/2016; Cass. 901/2018), deve escludersi che le Sezioni Unite del 2008 abbiamo negato la configurabilita’ e la rilevanza a fini risarcitori anche del c.d. danno parentale.
In tali pronunzie risulta infatti confermato che gli aspetti o voci di danno non patrimoniale non rientranti nell’ambito del danno biologico, in quanto non conseguenti a lesione psico-fisica, ben possono essere definiti come danno parentale, attenendo alla sfera relazionale della persona, autonomamente e specificamente configurabile allorquando la sofferenza e il dolore non rimangano piu’ allo stato intimo ma evolvano, seppure non in “degenerazioni patologiche” integranti il danno biologico, in pregiudizi concernenti aspetti relazionali della vita, ovvero lo sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di un congiunto, poiche’ il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (articoli 2, 29 e 30 Cost.). Il danno da perdita del rapporto parentale, infatti, viene definito come quel danno che va al di la’ del crudo dolore che la morte in se’ di una persona cara, tanto piu’ se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere piu’ godere della presenza e del rapporto con chi e’ venuto meno e percio’ nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettivita’, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianita’ dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter piu’ fare cio’ che per anni si e’ fatto, nonche’ nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti (cosi’ Cass. civ., sez. 3, 10 marzo – 9 maggio 2011, n. 10107).
Al di la’ di affermazioni di principio secondo cui il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex articolo 2059 c.c. precluderebbe la possibilita’ di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona, questa Corte attribuisce decisivo rilievo alla circostanza che, nel liquidare l’ammontare dovuto a titolo di danno non patrimoniale, il giudice abbia invero tenuto conto di tutte le peculiari modalita’ di atteggiarsi dello stesso nel singolo caso concreto (cfr. Cass., 23/9/2013, n. 21716).
In tal modo rimane sostanzialmente osservato il principio dell’integralita’ del ristoro, sotto il suindicato profilo della necessaria considerazione di tutti gli aspetti o voci in cui la categoria del danno non patrimoniale si scandisce nel singolo caso concreto, non essendovi in realta’ differenza tra la determinazione dell’ammontare a tale titolo complessivamente dovuto mediante la somma dei vari “addendi”, e l’imputazione di somme parziali o percentuali del complessivo determinato ammontare a ciascuno di tali aspetti o voci (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361).
In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva non gia’ il “nome” assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall’attore (“biologico”, “morale”, “esistenziale”), ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice.
Si ha, pertanto, duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia liquidato due volte, sebbene con l’uso di nomi diversi (v. Cass., 30/6/2011, n. 14402; Cass., 6/4/2011, n. 7844).
E’ quindi necessario verificare quali aspetti relazionali siano stati valutati dal giudice, e se sia stato in particolare gia’ assegnato rilievo anche al (radicale) cambiamento di vita, all’alterazione/cambiamento della personalita’ del soggetto, allo sconvolgimento dell’esistenza.
In presenza di una liquidazione del danno morale, cui si affianchi quella dell’autonoma voce di danno che contempli siffatta negativa incidenza sugli aspetti dinamico-relazionali del danneggiato, e’ correttamente da escludersi la possibilita’ che, in aggiunta a quanto a tale titolo gia’ determinato, venga attribuito un ulteriore ammontare a titolo (anche) di danno esistenziale (cfr. Cass., 15/4/2010, n. 9040; Cass., 16/9/2008, n. 23275).
Laddove siffatti aspetti relazionali non siano stati invece presi in considerazione, dal relativo ristoro non puo’ invero prescindersi (cfr. Cass., 20/4/2016, n. 7766).
Di recente (Cass. 901/2018, cit.) questa Corte, anche alla luce delle recenti innovazioni normative, e della sentenza n. 235 della Corte costituzionale, ha affermato i seguenti principi, cui il collegio intende dar seguito, ed ai quali si atterra’ il giudice del rinvio nel rideterminare la qualificazione e quantificazione del danno:
1) Sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: articolo 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.; articolo 185 c.p.).
2) La natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle sezioni unite della S.C. (Corte cost. 233/2003; Cass. ss.uu. 26972/2008) deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:
a) di unitarieta’ rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;
b) di onnicomprensivita’ intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in peuis della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.
3) Nel procedere all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 235/2014, punto 10.1 e ss.) e del recente intervento del legislatore sugli articoli 138 e 139 C.d.A. come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 17, – la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), ed il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale – deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioe’ tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di se’, della paura, della disperazione) quanto quello dinamico-relazione (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
4) Nella valutazione del danno alla salute, in particolare – ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore, interesse costituzionalmente protetto (Corte cost. 233/2003) – il giudice dovra’, pertanto, valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realta’ esterna, con tutto cio’ che, in altri termini, costituisce “altro da se”).
5) In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) puo’ essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plemmque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidita’ non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
6) Costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attivita’ dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’articolo 32 Cost.), mentre una differente ed autonoma valutazione andra’ compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’articolo 138 del C.d.A., lettera e).
7) In assenza di lesione della salute, ogni vulnus arrecato ad un altro valore/interesse costituzionalmente tutelato andra’ specularmente valutato e accertato, all’esito di compiuta istruttoria, e in assenza di qualsiasi automatismo (volta che, nelle singole fattispecie concrete, non e’ impredicabile, pur se non frequente, l’ipotesi dell’accertamento della sola sofferenza morale o della sola modificazione in pejus degli aspetti dinamico-relazionali della vita), il medesimo, duplice aspetto, tanto della sofferenza morale, quanto della privazione/diminuzione/modificazione delle attivita’ dinamico-relazioni precedentemente esplicate dal soggetto danneggiato (in tal senso, gia’ Cass. ss.uu. 6572/2006).
8) La liquidazione finalisticamente unitaria di tale danno (non diversamente da quella prevista per il danno patrimoniale) avra’ pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore (cui potrebbe assimilarsi, in una suggestiva simmetria legislativa, il danno emergente in guisa di vulnus “interno” arrecato al patrimonio del creditore), quanto sotto quello dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (danno idealmente omogeneo al cd. “lucro cessante” quale proiezione “esterna” del patrimonio del soggetto).
La corte di merito, nell’impugnata sentenza, ha disatteso i suindicati principi laddove, dopo aver correttamente affermato l’esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie per le medesime forme di danno, nel liquidare il danno morale non da’ conto di aver effettivamente preso in considerazione l’incidenza della perdita del rapporto parentale sugli aspetti dinamico-relazionali della vita dei ricorrenti.
4.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c. per violazione dei principi in tema di allegazione e valutazione della prova, nonche’ per travisamento delle risultanze e dei documenti processuali. L’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti. La nullita’ dell’impugnato provvedimento di revoca per difetto assoluto di motivazione”.
La sentenza si porrebbe in contrasto con il principio secondo cui la prova del danno patrimoniale da lucro cessante subito dai figli, anche maggiorenni, della vittima per effetto del venir meno delle provvidenze aggiuntive che il genitore avrebbe presumibilmente destinato loro, puo’ essere raggiunta in via presuntiva, quando, sulla base di dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione con le circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe effettivamente destinato una parte del proprio reddito alle necessita’ del figlio.
La Corte di Appello, infatti, avrebbe illegittimamente escluso il risarcimento senza valutare le circostanze del caso concreto.
Inoltre la Corte non avrebbe valutato le prove acquisite nel giudizio, dalle quali emergerebbe la prova dell’importante capienza reddituale dei coniugi (OMISSIS), della esiguita’ dei redditi familiari di ciascuno dei figli e degli impegni economici assunti da questi ultimi confidando nell’aiuto dei genitori, nonche’ delle condizioni personali di salute di questi. Sarebbero stati altresi’ allegati fatti da cui inequivocabilmente ritenere che i genitori, come in passato avevano gia’ fornito un contributo patrimoniale al momento dell’acquisto delle case di abitazione dei figli, avrebbero, in forza della propria capienza reddituale, continuato a sostenerli economicamente.
Il motivo e’ inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo i ricorrenti assolto l’onere di trascrivere, sia pur in parte qua, il contenuto dei documenti asseritamente trascurati dal giudice del merito.
5. In conclusione, la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma che, nell’attenersi ai suindicati principi di diritto, provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia la causa ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *