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A sostegno di questa conclusione, si richiama, in primo luogo, l’espressa indicazione della Delib. n. 274 del 2007, nella quale, secondo quanto riportato testualmente in sentenza, si legge: “Il Consiglio, considerato che occorre procedere al pagamento dei compensi per il miglioramento dell’offerta formativa del personale docente e non docente per l’a.a. 2005/2006 giusta contrattazione decentrata a livello d’istituto in data 18/7/2007 in osservanza ai CCNL del 16/02/2005 e CCNL del 22/06/2005 comparto AFAM (…) delibera (…)”.
Si osserva, inoltre, che l’applicabilita’ del contratto collettivo decentrato di istituto del 18 luglio 2007 ai fini della determinazione dei compensi da corrispondere per l’anno 2005/2006 e’ puntualmente prevista dal “suo” articolo 1, comma 2, ed e’ in linea con quanto stabilito sia nel contratto collettivo nazionale del 16 febbraio 2005, sia nel contratto collettivo nazionale integrativo del 22 giugno 2005. Invero, l’articolo 1, comma 2, del contratto collettivo decentrato di istituto del 18 luglio 2007, secondo quanto riportato testualmente in sentenza, dispone: “Il presente accordo decorre dalla data di sottoscrizione e conserva validita’ fino alla stipula di un nuovo contratto integrativo d’istituto, fatta salva la possibilita’ di modifiche e integrazioni a seguito di innovazioni legislative e/o contrattuali e comunque, nello specifico nel presente per l’A.A. 2005/2006”. Il contratto collettivo nazionale del 16 febbraio 2005, poi, all’articolo 6, rimette alla contrattazione decentrata per la determinazione dei criteri relativi alle modalita’ di utilizzazione del personale in progetti “stipulati dalla singola istituzione accademica” ed all’utilizzazione del fondo d’istituto per il pagamento di compensi aggiuntivi per il personale docente e non docente. Il contratto collettivo nazionale integrativo del 22 giugno 2005, ancora, all’articolo 3, precisa che gli effetti giuridici ed economici da esso previsti “hanno validita’ per l’anno accademico 2004/2005”, e, all’articolo 4, comma 10, rimanda alla contrattazione integrativa d’istituto per definire criteri e modalita’ concernenti “l’erogazione di compensi aggiuntivi a qualunque titolo a favore del personale docente e tecnico ed amministrativo”.
La sentenza impugnata, quindi, conclude che la corresponsione di compensi oltre i limiti previsti dal contratto collettivo integrativo di istituto del 18 luglio 2007 ha determinato la violazione dell’articolo 24 del Regolamento Amministrazione, Contabilita’ e Finanza del Conservatorio, e, piu’ in generale, l’erogazione di somme non dovute ad alcun titolo.
3.1.2. Per quanto attiene al profilo dell’elemento soggettivo, la sentenza impugnata evidenzia specificamente sia gli elementi da cui desume la consapevolezza del ricorrente in ordine alla natura indebita delle erogazioni alle sei assistenti amministrative, sia i dati da cui emerge l’attivita’ svolta dal medesimo per indurre in errore gli altri componenti degli organi amministrativi del Conservatorio.
Secondo la Corte d’appello, il dolo di (OMISSIS) e’ desumibile: 1) dal contrasto tra il richiamo espressamente compiuto dalla Delib. n. 274 del 2007 al contratto decentrato d’istituto ed i criteri seguiti per la quantificazione dei compensi, come risultanti dalla tabella allegata alla medesima Delib. n. 274 del 2007, pur essendo la delibera e la tabella entrambe predisposte dal ricorrente; 2) dalla richiesta di parere inoltrata dall’imputato al Collegio dei revisori dei conti il 18 luglio 2007, ossia il giorno della conclusione del contratto collettivo decentrato di istituto, al fine di procedere alla corretta ripartizione delle risorse tra personale docente e non docente, e nella quale si richiamava esplicitamente “la contrattazione a livello di istituto del 18/07/2007”, condotta evidentemente dimostrativa della consapevolezza della cogenza di questo accordo gia’ in quella data; 3) dall’ammissione di non aver tenuto conto dei nuovi parametri determinati dall’accordo decentrato solo perche’ la certificazione da lui compiuta in ordine alle attivita’ svolte era precedente alla data di stipulazione dell’accordo; 4) dalla discrasia tra gli incarichi conferiti formalmente da (OMISSIS) con lettera del 23 giugno 2006 e gli incarichi indicati nella nota del 18 aprile 2007, posta a base della delibera di erogazione dei compensi n. 274 del 15 ottobre 2007, ulteriormente indicativa di un atteggiamento di “favore” per unita’ di personale “con le quali (l’odierno ricorrente) aveva un rapporto di stretta collaborazione e dalle quali era considerato, anche quando non rivestiva la carica di Direttore amministrativo, il loro punto di riferimento”. Per chiarire quest’ultimo aspetto, e’ utile segnalare che la sentenza impugnata, in premessa, ha dato atto dell’esistenza di un “travagliato periodo” tra il 2004 ed il 2006, nel corso del quale (OMISSIS) dapprima era stato nominato direttore ad interim del Conservatorio in attesa della nomina del titolare, poi sostituito dal dottor (OMISSIS), nominato titolare, quindi affiancato a questo per “inadeguatezza” del medesimo, ed aveva sempre goduto di un rapporto molto stretto con le sei assistenti amministrative, che si erano relazionate prevalentemente con lui, facendo avvertire al dottor (OMISSIS) “una situazione di isolamento e di disagio”.
Il giudice di secondo grado, poi, rileva che (OMISSIS), nell’esercizio delle sue funzioni di direttore amministrativo del Conservatorio, indusse in errore sia il presidente del consiglio di amministrazione, sia i revisori dei conti.
Si precisa che l’induzione in errore del presidente del consiglio di amministrazione fu realizzata da (OMISSIS) assicurando che si trattava di chiudere situazioni pregresse e tacendo in ordine ai criteri di computo dei compensi effettivamente utilizzati. Si aggiunge che l’induzione in errore risulta dimostrata prendendo in considerazione congiuntamente: a) le dichiarazioni del presidente del consiglio di amministrazione, il quale ha riferito di essere consapevole che dopo la stipula dell’accordo decentrato di istituto, a luglio 2007, era necessario uniformarsi allo stesso; b) l’espresso richiamo, effettuato nella Delib. n. 274 del 15 ottobre 2007, al contratto integrativo di istituto del 18 luglio 2007; c) i criteri di computo dei compensi utilizzati nella tabella di liquidazione allegata alla medesima Delib. n. 274 del 2007, diversi da quelli previsti nel contratto integrativo d’istituto appena indicato.
Si rappresenta, inoltre, che l’induzione in errore dei revisori dei conti e’ avvenuta con la richiesta di parere del 18 luglio 2007, per il modo in cui questa e’ stata articolata ed in considerazione del tipo di sindacato esercitato dall’organo di controllo. Si segnala, in particolare, che, la richiesta di parere in questione faceva riferimento, con “formule generiche”, alla pluralita’ di fonti contrattuali disciplinanti i compensi per le prestazioni aggiuntive, e lasciava intendere, attraverso il richiamo alla contrattazione d’istituto, che il calcolo degli importi da liquidare alle sei assistenti amministrative era operato in applicazione dei parametri dell’accordo decentrato sottoscritto quello tesso giorno. Si osserva, poi, che l’organo di controllo non doveva rifare i conteggi sulle ore o attivita’ aggiuntive svolte e non aveva la possibilita’ di sindacare la fonte contrattuale applicata ai diversi istituti, ma doveva piu’ limitatamente verificare la compatibilita’ finanziaria dei vari impegni di spesa e la congruita’ delle varie poste iscritte in bilancio.
3.2. La ricostruzione operata dalla Corte d’appello risulta corretta.
In particolare, le valutazioni concernenti la sussistenza del dolo del ricorrente, sulle quali si appuntano specificamente le critiche formulate nel ricorso, non risultano inficiate dai vizi logici denunciati.
Il ricorrente contesta la conclusione raggiunta dai giudici di merito in ordine alla esistenza del dolo sia perche’ le prestazioni da remunerare e le relative certificazioni erano entrambe precedenti alla stipulazione del contratto collettivo decentrato del 18 luglio 2007, sia perche’ questo conteneva una clausola in forza della quale: “Il presente accordo decorre dalla data di sottoscrizione”, sia perche’ i parametri di calcolo di cui al contratto integrativo nazionale del 22 giugno 2005, posti a base della liquidazione effettuata con la Delib. n. 274 del 2007, erano suscettibili di immediata applicazione.
Deve osservarsi che la sentenza impugnata ha illustrato analiticamente sia le ragioni della vigenza e l’applicabilita’ del contratto collettivo decentrato del 18 luglio 2007 alle prestazioni per le quali occorreva liquidare i compensi, sia gli elementi fattuali da cui desumere la consapevolezza, nel ricorrente, di tale quadro di disciplina.
Del tutto ragionevole e’ l’interpretazione offerta della disciplina delle fonti collettive in ordine ai criteri di calcolo per la liquidazione dei compensi dovuti per le prestazioni effettuati dalle sei assistenti amministrative nell’anno accademico 2005/2006. Puo’ aggiungersi, anzi, che proprio la clausola indicata dal ricorrente, per come riportato nella sentenza impugnata, prevedeva l’applicabilita’ del contratto collettivo decentrato del 18 luglio 2007 in relazione all’anno accademico 2005/2006; precisamente, l’articolo 1, comma 2, del contratto citato, disponeva: “Il presente accordo decorre dalla data di sottoscrizione e conserva validita’ fino alla stipula di un nuovo contratto integrativo d’istituto, fatta salva la possibilita’ di modifiche e integrazioni a seguito di innovazioni legislative e/o contrattuali e comunque, nello specifico nel presente per l’A.A. 2005/2006”.
Per quanto attiene specificamente al dolo del ricorrente, e’ immune vizi il procedimento logico di inferenza relativo alla consapevolezza della applicabilita’ della disciplina di cui al contratto collettivo decentrato del 18 luglio 2007 articolato muovendo, in particolare, dalle premesse concernenti sia il richiamo espressamente compiuto dalla Delib. n. 274 del 2007, predisposta da (OMISSIS), al contratto decentrato d’istituto, sia la richiesta di parere formulata, lo stesso giorno in cui quest’ultimo fu stipulato, al Collegio dei revisori dei conti, specie se si considera che l’imputato, in detta istanza, richiamava esplicitamente “la contrattazione a livello di istituto del 18/07/2007”. Non inconferente e’ anche la valorizzazione del rapporto di “vicinanza” tra il ricorrente e le persone avvantaggiate dall’indebita elargizione, manifestatoti nell’ambito di un “travagliato” contesto lavorativo.
4. Le censure esposte nel secondo motivo contestano la qualificazione giuridica ritenuta dalla Corte d’appello.
Si deduce, in sintesi, che i comportamenti decettivi posti in essere da (OMISSIS), proprio perche’ ritenuti necessari dalla sentenza impugnata per realizzare l’ingiustificato arricchimento delle sei assistenti amministrative, avrebbero dovuto far sussumere il fatto nella fattispecie della truffa aggravata dall’abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione, invece che in quella del peculato mediante induzione, in linea con un diffuso orientamento giurisprudenziale.
4.1. Per chiarezza, ai fini della distinzione tra le due fattispecie, e’ utile premettere alcuni principi ormai consolidati nella piu’ recente giurisprudenza di legittimita’ in tema di peculato.
Innanzitutto, secondo le piu’ recenti pronunce: a) il presupposto della condotta del peculato, e cioe’ il possesso o la disponibilita’ di denaro o di altra cosa mobile, puo’ consistere anche nella disponibilita’ giuridica, ossia nel potere di adottare atti dispositivi del bene; b) la condotta di appropriazione puo’ avvenire anche mediante atti e provvedimenti amministrativi; c) la condotta di appropriazione puo’ consistere anche nella destinazione a terzi senza alcuna causa, e quindi per fini meramente privati ed extraistituzionali, del denaro o della cosa mobile.
Numerosissime, in particolare, sono le decisioni nelle quali, muovendo dal presupposto secondo cui, in tema di peculato, la nozione di possesso di denaro deve intendersi come comprensiva non solo della detenzione materiale, ma anche della disponibilita’ giuridica, si e’ ritenuta integrata la fattispecie del delitto previsto dall’articolo 314 c.p. in relazione alla condotta del pubblico agente che eroga denaro pubblico attraverso l’adozione di atti amministrativi di sua competenza (cfr., in particolare: Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, dep. 2013, Bartolotta, Rv. 255529; Sez. 6, n. 41093 del 18/09/2013, Anselmino, Rv. 256681; Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257385; Sez. 6, n. 49283 del 04/11/2015, Labate, Rv. 265704; Sez. 6, n. 50758 del 15/12/2015, Bolzan, Rv. 265931; Sez. 6, n. 3913 del 11/12/2015, dep. 2016, Carucci, Rv. 267168; Sez. 6, n. 16399 del 22/03/2016, n. 16399, non mass.; Sez. 6, n. 20666 del 08/04/2016, De Sena, Rv. 268030).
Secondo plurimi arresti giurisprudenziali, inoltre, puo’ sussistere la fattispecie di peculato anche quando la disponibilita’ giuridica del denaro (o della diversa cosa mobile) sia frazionata tra piu’ organi, perche’ piu’ soggetti debbano concorrere per l’adozione di un atto dispositivo, come tipicamente previsto per le procedure di spesa (cfr., tra le tante: Sez. 5, n. 15951 del 16/01/2015, Bandettini, Rv. 263263; Sez. 6, n. 5494 del 22/10/2013, dep. 2014, Grifo, Rv. 259070; Sez. 6, n. 39039 del 15/04/2013, Malvaso, Rv. 257096; Sez. 6, n. 5502 del 11/01/1996, Zini, Rv. 204987).
Diverse pronunce, ancora, ritengono configurabile il delitto di cui all’articolo 314 c.p. anche nel caso sia stata predisposta documentazione fittizia, se tale artificio non sia necessario all’acquisizione della disponibilita’ del denaro pubblico (cosi’: Sez. 6, n. 49283 del 2015, Labate, cit.; Sez. 6, n. 3913 del 2016, Carucci, cit.; Sez. 6, n. 20666 del 2016, De Sena, cit.; Sez. 6, n. 24518 del 07/02/2017, Augliera, non mass.; Sez. 2, n. 943 del 11/10/2017, dep. 2018, Forte, non mass.).
4.2. Cio’ posto, in linea generale, secondo la giurisprudenza di legittimita’, l’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 9 va individuato con riferimento alle modalita’ del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone gia’ il possesso o comunque la disponibilita’ per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (cosi’, tra le tante, Sez. 6, n. 15795 del 06/02/2014, Campanile, Rv. 260154, nonche’ Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo, Rv. 256595).
Occorre pero’ esaminare se, e in quale misura, ai fini della configurabilita’ dell’una o dell’altra fattispecie, rilevi la disposizione di cui all’articolo 48 c.p., in forza della quale “se l’errore sul fatto che costituisce il reato e’ determinato dall’altrui inganno (…) del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo”.
4.2.1. Secondo un diffuso orientamento della giurisprudenza di legittimita’, e’ configurabile il delitto di peculato, anche in applicazione dell’articolo 48 c.p., quando l’atto finale del procedimento di spesa e’ emesso da pubblici ufficiali indotti in errore dai pubblici agenti che si sono occupati di istruire la fase istruttoria (cosi’ Sez. 6, n. 39039 del 15/04/2013, Malvaso, Rv. 257096, nonche’,
in precedenza, cfr.: Sez. 6, n. 2064 del 13/01/1984, Forino, rv. 162992; Sez. 6, n. 139 del 08/11/1971, dep. 1972, Bianco, Rv. 119841; Sez. 6 n. 186 del 28/01/1970, Chiarantaretto, Rv. 114961).
Questo orientamento trova conferma in divere pronunce, alcune recenti, altre risalenti, che, pur non richiamando esplicitamente la disposizione di cui all’articolo 48 c.p., hanno ravvisato la configurabilita’ del delitto di peculato in relazione a procedure di spesa in cui il pubblico agente al quale era riferibile il provvedimento finale era in buona fede e le condotte fraudolente erano poste in essere dai funzionari istruttori della pratica. In particolare, tra le piu’ recenti, si puo’ indicare Sez. 6, n. 5494 del 22/10/2013, dep. 2014, Grifo, Rv. 259070, ha richiamato puntualmente Sez. 6, n. 39039 del 2013, Malvaso, cit., precisando che quest’ultima era relativa a “fattispecie del tutto analoga a quella in esame”. Tra le altre, e’ possibile citare Sez. 6, n. 37030 del 10/06/2003, Maronato, Rv. 227007, concernente il gestore di fatto della contabilita’ di un Ordine professionale, il quale aveva agito “inducendo in errore” il presidente ed il tesoriere dell’ente pubblico, che, in “buona fede” avevano proceduto alla sottoscrizione di mandati di pagamento, nonche’ Sez. 6, n. 1637 del 08/07/1969, Dainotto, Rv. 112687, relativa al funzionario di istituto pubblico di beneficienza che si era appropriato di somme di denaro appartenenti all’ente inducendo con inganno il presidente del consiglio dell’ordine a sottoscrivere mandati di pagamento di sedicenti dame di beneficienza.
Inoltre, la configurabilita’ del peculato ex articolo 48 c.p. e’ stata ritenuta anche nei confronti di soggetto privo di qualifica pubblicistica che, traendo in inganno il pubblico agente, si appropri per tramite di questi di una cosa dal medesimo posseduta per ragioni di ufficio (cfr. Sez. 6, n. 4411 del 01/03/1996, Menia Bagatin, Rv. 204775).
A fondamento della configurabilita’ della fattispecie di peculato, le piu’ recenti decisioni, in particolare, valorizzano la circostanza che i funzionari i quali avevano istruito le procedure di spesa, pur non essendo i firmatari dell’atto finale, avevano la disponibilita’ giuridica del denaro (cosi’ Sez. 6, n. 39039 del 2013, Malvaso, cit., e Sez. 6, n. 5494 del 2014, Grifo, cit.).
4.2.2. Altro indirizzo interpretativo della giurisprudenza, pur senza evocare espressamente l’applicabilita’ o l’inapplicabilita’ della disposizione di cui all’articolo 48 c.p. in relazione alla fattispecie di peculato, si pone dichiaratamente in contrasto con la soluzione accolta dalle pronunce sopra citate (cfr., specificamente, Sez. 6, n. 31243 del 04/04/2014, Currao, rv. 260505).
Secondo questo indirizzo, l’articolo 314 c.p. “sanziona l’abuso del possesso, e colpisce in particolare il “tradimento” di fiducia del soggetto al quale l’ordinamento ha conferito la possibilita’ di disporre in autonomia della cosa affidatagli”; di conseguenza, se occorre acquisire atti dispositivi mediante “un’attivita’ decettiva fondata sulla frode”, emerge “per un verso come non vi sia stato pieno affidamento dell’amministrazione nei confronti dell’interessato, e per altro verso come manchi l’abuso del possesso da parte del funzionario infedele (sussistendo invece l’abuso della funzione)”. In questa ipotesi, pertanto, ad avviso di questo orientamento, il reato configurabile e’ quello di truffa aggravata a norma dell’articolo 61 c.p., n. 9.
4.2.3. In dottrina, il tema dell’applicabilita’ dell’articolo 48 c.p. alla fattispecie di peculato ha dato luogo ad opinioni diverse.
Secondo un diffuso indirizzo, la disposizione appena citata, sebbene in linea generale deve ritenersi consentire l’applicazione della disciplina del reato cd. proprio nei confronti dell’estraneo anche quando il soggetto dotato della qualifica soggettiva necessaria agisce senza colpevolezza, non opererebbe quando a costituire l’offesa all’interesse tutelato concorre un particolare disvalore di condotta, per la cui realizzazione e’ necessaria la dolosa partecipazione di un soggetto qualificato. Muovendo da questa premessa, alcuni Studiosi sostengono che in tutti i reati contro la pubblica amministrazione e’ necessaria la dolosa partecipazione del soggetto qualificato. Altri Autori, pero’, pur condividendo la premessa indicata, ritengono non integralmente condivisibile tale conclusione, e, con specifico riferimento al peculato, rilevano che la soluzione dipende dall’individuazione dell’interesse tutelato: sviluppando questa prospettiva, vi e’ chi afferma che la risposta sara’ positiva o negativa a seconda che si ritenga che nel delitto previsto dall’articolo 314 c.p. l’interesse protetto sia soltanto il patrimonio della pubblica amministrazione o anche il dovere di lealta’ del pubblico ufficiale, e chi, ancor piu’ nettamente, esclude l’esistenza di ostacoli alla combinazione tra le disposizioni di cui agli articoli 48 e 314 c.p. se detto interesse debba individuarsi nel patrimonio, “o anche nel patrimonio”, della pubblica amministrazione.
Altra opinione, invece, reputa che l’articolo 48 c.p. avrebbe una specifica funzione incriminatrice e consentirebbe di affermare comunque la responsabilita’ del decipiens quando la mancanza di dolo in capo all’autore materiale della condotta illecita derivi dall’inganno.
4.2.4. Il Collegio ritiene che debba ritenersi configurabile il delitto di peculato, anche a norma dell’articolo 48 c.p., quando il denaro o l’altra cosa mobile e’ nella disponibilita’ giuridica concorrente di piu’ pubblici ufficiali, ed uno di essi se ne appropria inducendo in errore gli altri, pure se questi ultimi siano i soggetti competenti ad emettere l’atto finale del procedimento.
La premessa di questa affermazione di principio e’ costituita dal rilievo che, nelle cd. “procedure complesse”, come appunto le ordinarie procedure di spesa pubblica, la disponibilita’ giuridica del bene – che costituisce, in alternativa al possesso, il presupposto della condotta rilevante a norma dell’articolo 314 c.p. e’ frazionata dall’ordinamento giuridico tra piu’ organi, e, quindi, tra piu’ persone fisiche. Questo frazionamento non puo’ ritenersi escludere la configurabilita’ del delitto di peculato, poiche’ l’articolo 314 c.p. indica come presupposto della condotta illecita “il possesso o comunque la disponibilita’” del bene, ma non anche l’esclusivita’ di tale possesso o di tale disponibilita’. Puo’ aggiungersi, d’altro canto, che, se si escludesse l’ammissibilita’ di una disponibilita’ giuridica concorrente tra piu’ persone, in quanto preposte ai diversi organi competenti a provvedere in modo coordinato tra di loro in ordine al denaro (o ad altra cosa mobile), si dovrebbe arrivare alla conclusione che, nei casi di “procedure complesse”, nessun organo, e, quindi, nessun soggetto ha la disponibilita’ giuridica del bene (cfr., per questa osservazione, anche Sez. 5, n. 15951 del 16/01/2015, Bandettini, Rv. 263263).
Cio’ posto, il pubblico agente che “co-detiene” la disponibilita’ giuridica della cosa mobile, anche quando induce in errore gli altri pubblici ufficiali con concorrenza competente sulla stessa, al fine di appropriarsene, abusa comunque della propria gia’ esistente disponibilita’ in ordine al bene.
Precisamente, quando il decipiens, in ragione dell’ufficio o servizio pubblico di cui e’ incaricato, e’ anche titolare della disponibilita’ giuridica sulla cosa mobile, la combinazione tra la previsione di cui all’articolo 48 c.p. e quella di cui all’articolo 314 c.p. consente di ritenere il delitto di peculato a carico di chi, simultane
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