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11.A fronte di tale assunto non sono viceversa condivisibili le diverse conclusioni alle quali e’ pervenuta la sentenza impugnata che ha concentrato l’attenzione esclusivamente sulla prospettazione o rappresentazione della corruttibilita’ dell’organo inquirente fatta dal (OMISSIS) al (OMISSIS) – falsa, come si precisa nella sentenza impugnata -, pretermettendo completamente l’analisi della esistenza di una obiettiva e reale situazione fattuale nella quale la relazione era esistente, al pari di qualche capacita’ di condizionare o, comunque, per lo meno di orientare la condotta del pubblico ufficiale da parte dell’imputato. Tale relazione, che costituisce il sostrato dello sfruttamento della influenza che l’agente e’ in grado di esercitare per soddisfare le esigenze di un soggetto che e’ ben consapevole di dovere comprare i favori del pubblico ufficiale – e che per questa ragione viene punito nel vigente sistema sanzionatorio, anche se non nella fattispecie in esame ostandovi il principio di cui all’articolo 2 c.p., comma 2, – non va confusa con la prospettazione o rappresentazione della corruttibilita’ dell’organo inquirente fatta dal (OMISSIS) al (OMISSIS), aspetto, questo, che incide sulla sussunzione della condotta nella prima ovvero nella seconda delle fattispecie delineate nell’articolo 346 bis c.p..
12. Deve, pertanto, darsi continuita’ al principio gia’ affermato nella giurisprudenza di questa Corte alla stregua del quale il delitto di millantato credito si differenzia da quello di traffico di influenze, di cui all’articolo 346 bis c.p. in quanto presuppone che non esista il credito ne’ la relazione con il pubblico ufficiale e tanto meno l’influenza; mentre il traffico di influenze postula una situazione fattuale nella quale la relazione sia esistente, al pari di una qualche capacita’ di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale (Sez. 6, n. 37463 del 28/04/2017, Benvegna, Rv. 270607). Parimenti, in ragione dell’inquadramento sviluppato al punto 4 del considerato in diritto, va ribadito che le condotte di colui che, vantando un’influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilita’ come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, condotte finora qualificate come reato di millantato credito ai sensi dell’articolo 346 c.p., comma 2, devono, dopo l’entrata in vigore della L. n. 190 del 2012, in forza del rapporto di continuita’ tra norma generale e norma speciale, rifluire sotto la previsione dell’articolo 346 bis c.p., che punisce il fatto con pena piu’ mite (Sez. 6, n. 4113 del 14/12/2016, Rigano, Rv. 269735).
13. E’ superata dalle argomentazioni fin qui svolte e dalla conclusione alla quale la Corte e’ pervenuta, la valutazione del secondo e del terzo motivo di ricorso tenuto conto, altresi’, che in mancanza di modifica del trattamento sanzionatorio da parte del giudice di appello in corrispondenza della piu’ grave ritenuta qualificazione giuridica del fatto, non era neppure configurabile la violazione del principio del favor rei tenuto conto, altresi’, che l’imputato aveva avuto modo di svolgere tutte le proprie difese, anche con riguardo al delitto di millantato credito, oggetto dell’originaria imputazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio. Ne’ e’ ravvisabile una contraddizione tra il dispositivo della sentenza di appello, che contiene le statuizioni processualmente rilevanti rispetto al petitum rivolto al giudice dell’impugnazione (e che investe, come noto la conferma, riforma o annullamento della sentenza impugnata), il percorso logico argomentativo sviluppato e il potere, riconosciuto al giudice, di qualificare giuridicamente i fatti.
14.Sono infondate le censure che investono la mancata applicazione delle circostanze attenuanti di cui all’articolo 62 c.p., n. 4 e articolo 346 bis c.p. in presenza di un giudizio di fatto, non censurabile per manifesta illogicita’, espresso dai giudici del merito con riguardo alla insussistenza delle condizioni che legittimano un giudizio di speciale tenuita’ del danno patrimoniale cagionato al (OMISSIS), avuto riguardo all’entita’ della somma pattuita e, comunque, conseguita dal (OMISSIS) e ed alle modalita’ del fatto, che ha comportato una seria compromissione del prestigio e della credibilita’ della pubblica amministrazione, anche in ragione del ruolo ricoperto dall’imputato ed al coinvolgimento nell’illecito mercimonio del magistrato inquirente circostanze ostative alla invocata speciale tenuita’ del danno.
15.Manifestamente infondato e’ l’ultimo motivo di ricorso. La decisione sulla concedibilita’ del beneficio della sospensione condizionale della pena rientra, in vero, nelle attribuzioni in massima parte discrezionali e, pertanto, esclusive del giudice di merito, che deve indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere. In sede di legittimita’ e’ invece consentito esclusivamente valutare se il giudice, nell’uso del suo potere discrezionale, si sia attenuto a corretti criteri logico giuridici e abbia motivato adeguatamente il suo convincimento. Nel caso in esame la sentenza impugnata si e’ attenuta ai criteri indicati facendo riferimento, per motivare il diniego sulla richiesta formulata, ai plurimi precedenti penali del ricorrente (e non solo quello indicato in ricorso, per reati di falso)ma anche ad una precedente condanna, per il reato di truffa, oggetto di provvedimento di indulto, con la conseguenza che quella odierna e’ la terza condanna riportata dal (OMISSIS), valutazione che, essendo congruamente e logicamente motivata, si sottrae ad ogni censura in sede di legittimita’.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla definizione giuridica del fatto contestato che qualifica ai sensi dell’articolo 346 bis c.p. e articolo 61 c.p., n. 9 come traffico di influenze illecite aggravato. Rigetta nel resto il ricorso.

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