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1. Il Tribunale ha accolto la richiesta (subordinata) della difesa dell’appellante volta a ottenere la sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, ma ha ritenuto ancora sussistenti, seppure affievolite, le esigenze cautelari in relazione sia al rischio di reiterazione del reato, sia al rischio di inquinamento probatorio. Invece il ricorso in esame assume insussistenti le esigenze cautelari, per cui ne permane l’interesse anche dopo la posteriore modifica del provvedimento impugnato.
2. Il pericolo per l’acquisizione o la genuinita’ della prova, che l’articolo 274 c.p.p., lettera a) richiede per l’applicazione di una misura cautelare, deve essere concreto e attuale e va identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere, secondo la regola dell’id quod plerumque accidit, che l’indagato puo’ realmente influire sulla formazione della prova (nel procedimento a suo carico e non in procedimenti diversi seppure connessi), ostacolandone la ricerca o inquinandone le fonti. Per evitare che il requisito del concreto e attuale pericolo perda il suo significato e si trasformi in semplice clausola di stile, il giudice deve indicare, con riferimento all’indagato, le specifiche circostanze di fatto dalle quali esso e’ desunto e fornisca sul punto adeguata e logica motivazione (Sez. 6, n. 19048 del 04/03/2002, dep. 2003, Rv. 225215; Sez. 6, n. 1460 del 19/04/1995, Rv. 202984).
Nella caso in esame, l’ordinanza impugnata, mentre si limita a osservare (pag. 2) genericamente che il pericolo di inquinamento probatorio non viene meno con la chiusura delle indagini preliminari (dovendo nel dibattimento essere esaminati testimoni e indagati o imputati di reato connesso), considera (pag. 3) che risulta cristallizzato il quadro probatorio ritenuto idoneo a sostenere l’accusa in giudizio.
3. L’ordinanza impugnata (che sviluppa le sue argomentazioni sullo sfondo di quelle della ordinanza con cui il Tribunale di Roma il 4/01/2017 ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata a (OMISSIS) dal Giudice per le indagini preliminari di (OMISSIS) e in relazione alla quale questa Sezione ha rigettato precedente ricorso di (OMISSIS) con sentenza n. 13864 del 16/03/2017) ha ritenuto, “quanto al pericolo di recidiva”, che il “conferimento ad altro dirigente dell’incarico gia’ ricoperto da (OMISSIS) non vale ad escludere il ricollocamento dell’imputato in altra posizione apicale” all’interno del Comune di (OMISSIS) o presso altri enti pubblici (pag. 2).
Nei reati contro la pubblica amministrazione, la prognosi sulla pericolosita’ dell’incolpato non e’ di per se’ impedita dal fatto che l’indagato abbia dismesso la carica o esaurito l’ufficio nell’esercizio del quale aveva realizzato la condotta contestatagli.
Tuttavia, la validita’ di tale principio deve essere rapportata al caso concreto: il rischio di ulteriori condotte illecite del tipo di quella contestata deve essere reso possibile dal permanere di una posizione soggettiva dell’agente nella pubblica amministrazione e da specifiche circostanze fattuali che gli consentano di continuare a mantenere, pur nell’ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, condotte antigiuridiche che abbiano lo stesso rilievo e offendano la stessa categoria di beni e valori del reato commesso (Sez. 6, n. 18770 del 16/04/2014, Rv. 259685; Sez. 6, n. 19052 del 10/01/2013, Rv. 256223; Sez. 6, n. 6566 del 13/12/2011, dep. 2012, Rv. 252037).
In altri termini, la questione della efficacia delle dimissioni del ricorrente e dell’accertamento della loro portata non si esaurisce con la interpretazione dei dati normativi, ma richiede la ricostruzione dell’inquadramento del rapporto di lavoro del (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS), che implica accertamenti di fatto incompatibili con la natura e le funzioni proprie del giudizio di legittimita’.
Solo questa ricostruzione consente di stabilire se, nonostante le dimissioni, persista o meno un inserimento di (OMISSIS) nell’organigramma del Comune di (OMISSIS) (e, pertanto, se residuino concrete possibilita’ di strumentalizzazione da parte del ricorrente di tale posizione).
Invece, sia l’ordinanza impugnata, sia quella successivamente adottata dal Tribunale di Roma – mentre danno atto delle “dimissioni volontarie dal Comune di (OMISSIS) con effetto immediato e irrevocabili” presentate da (OMISSIS) con atto del (OMISSIS) – non chiariscono: a) quale e’, sulla base della documentazione acquisita, lo status giuridico di (OMISSIS) all’interno del Comune di (OMISSIS); b) o, per altro verso, se emergono concreti elementi per supporre che egli possa essere assunto presso altre pubblica amministrazione.
4. Pertanto, le deduzioni sviluppare nel ricorso risultano fondate e l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame sui punti suindicati sub a) e sub b) al fine di chiarire se permangono concrete condizioni di pericolo per la acquisizione e la genuinita’ della prova o di recidiva nel termini espressi nell’articolo 274 c.p.p..
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Roma-sezione per il riesame delle misure cautelari.
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