Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 18 settembre 2017, n. 42566. Il divieto di utilizzazione a fini di valutazione del quadro indiziario delle notizie acquisite dalla polizia giudiziaria presso informatori

Il divieto di utilizzazione a fini di valutazione del quadro indiziario delle notizie acquisite dalla polizia giudiziaria presso informatori (articolo 267, comma 1-bis in relazione all’articolo 203 c.p.p., comma 1-bis) non opera quando la stessa polizia giudiziaria abbia indicato negli atti le generalita’ complete dell’informatore ovvero abbia precisato in una relazione di servizio il contenuto delle notizie da questi riferite, venendo meno in tal caso il carattere anonimo della fonte

Sentenza 18 settembre 2017, n. 42566
Data udienza 13 giugno 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. D’ARCANGELO Fabrizio – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa il 09/02/2017 dal Tribunale del riesame di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Pietro Silvestri;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Biritteri Luigi, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di Salerno il 09/02/2017 ha confermato l’ordinanza cautelare con cui e’ stata disposta la misura degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS), gravemente indiziato dei reati: 1) di porto e detenzione di arma comune da sparo (capo a); 2) di concorso in peculato, perche’, quale infermiere professionale in servizio presso il pronto soccorso dell’ospedale (OMISSIS), si appropriava, in concorso con la convivente, di confezioni di farmaci e di materiale sanitario (capi B- L- M- O- T- BB- CC); 3) di abuso d’ufficio (cosi’ riqualificata dal G.I.P. l’originaria contestazione cautelare di peculato d’uso), per essersi “adoperato” per consentire a terzi di effettuare prelievi ematici ovvero visite ed esami specialistici senza pagare il ticket, appropriandosi cosi’ momentaneamente delle dotazioni dell’ospedale (capi F-Z-I).
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo si deduce l’erronea applicazione della legge e l’inosservanza di norme processuali previste a pena di inutilizzabilita’.
Si sostiene che le intercettazioni telefoniche, i cui elementi di prova sono stati posti a fondamento di altri rilevanti atti di indagine e del titolo cautelare, sarebbero inutilizzabili, ai sensi degli articoli 267 – 203 – 271 cod. proc. pen., in quanto disposte solo sulla base di una notizia confidenziale assunta da soggetto poi non escusso a sommarie informazioni.
Si assume inoltre che dalla inutilizzabilita’ delle conversazioni intercettate sulla base della notizia confidenziale, deriverebbe la inutilizzabilita’ anche delle intercettazioni successive, disposte a seguito di autonomi decreti autorizzativi.
2.2. Con il secondo, il terzo e il quarto motivo si deducono, rispettivamente, l’omessa motivazione in ordine alla eccezione di inutilizzabilita’: a) delle intercettazioni disposte nel procedimento a carico di (OMISSIS) e, si assume, poi utilizzate nel presente procedimento; b) di una intercettazione eseguita dopo il termine di efficacia del decreto autorizzativo; c) di quelle autorizzate non per il reato di peculato.
Il corollario che si fa discendere anche in questo caso sarebbe quello per cui, non potendo essere utilizzate le intercettazioni in questione, sarebbero invalidi anche le perquisizioni, i sequestri e tutti gli atti derivati posti a fondamento del titolo cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso e’ infondato.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, dalla prospettazione difensiva e dal provvedimento impugnato si evince che all’esito di una perquisizione eseguita il 23/09/2015 presso la abitazione di tale (OMISSIS), furono trovati kg. 1,2 di marijuana, una pistola di marca Beretta ed alcune munizioni. Gli investigatori ipotizzarono che il (OMISSIS) potesse aver detenuto quanto rinvenuto per conto di (OMISSIS), soggetto pregiudicato di cui gli inquirenti conoscevano il rapporto di frequentazione con il (OMISSIS).
Tale intuizione fu avallata dopo una perquisizione effettuata nella immediatezza presso l’abitazione di uno dei figli del (OMISSIS), il quale informalmente confermo’ che il ricorrente frequentava assiduamente la casa del padre, di cui era molto amico.
Sulla base di tale elemento, riscontrato sul piano investigativo anche dalla circostanza che il 20/09/2015, cioe’ tre giorni prima della perquisizione e dell’arresto del (OMISSIS), il (OMISSIS) sarebbe stato controllato dalla Polizia di Stato insieme al (OMISSIS) nel mentre erano intenti, anche con la disponibilita’ di armi, ad esercitare illecitamente l’attivita’ di caccia, furono disposte intercettazioni telefoniche il cui esito e’ stato poi valorizzato per i successivi atti di perquisizione e sequestro, posti a fondamento del titolo cautelare nei riguardi dell’odierno ricorrente.
2.1. Assume l’indagato che dalle risultante investigative emergerebbe, contrariamente a quanto sostenuto dagli inquirenti, che il 20/09/2015 il (OMISSIS) non fosse in compagnia del (OMISSIS): le intercettazioni, si sostiene, sarebbero state quindi disposte solo sulla base della notizia ritenuta confidenziale, riferita agli investigatori dal figlio del (OMISSIS), poi non escusso a sommarie informazioni.
Ne deriverebbe che il contenuto di quelle intercettazioni sarebbe inutilizzabile ai sensi dell’articolo 267 c.p.p. e articolo 203 c.p.p., comma 1 bis, non potendo nella specie nemmeno essere richiamato l’orientamento nomofilattico secondo cui i risultati delle intercettazioni di conversazioni disposte sulla base di fonti confidenziali o anonime acquisite dalla polizia giudiziaria sono utilizzabili a condizione che queste ultime non siano gli unici elementi posti a supporto della valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di reato e che le operazioni siano state autorizzate anche sulla base di altri elementi emersi che le integrino (In tal senso, Sez. 6, n. 39766 del 15/04/2014, Pascali, Rv. 260456; Sez. 6, n. 42845 del 26/06/2013, Rv. 257295).
3. L’assunto difensivo e’ giuridicamente infondato.
La giurisprudenza di legittimita’ e’ orientata a delimitare rigorosamente la categoria delle fonti confidenziali e degli informatori la cui identita’ forma oggetto del “segreto di polizia”.
Sono considerati informatori di polizia, i “confidenti”, cioe’ coloro che, agendo, di regola, dietro compenso di denaro o in funzione di altri vantaggi, forniscono alla polizia giudiziaria, occasionalmente, ma con sistematicita’, notizie da loro apprese (Sez. 2, n. 46023 del 07/11/2007, Montagnese, Rv. 239265; Sez. 6, n. 36720 del 12/06/2001, Vardaro, non massimata).
Secondo la prevalente interpretazione, ai fini della configurabilita’ della veste soggettiva di informatore – confidente, sono necessari due requisiti.
Il primo e’ costituito dal carattere di segretezza, derivante dall’intento del dichiarante di rimanere nell’anonimato per ragioni di opportunita’ e di sicurezza personale (in tal senso, Sez. 6, n. 31739 del 22/05/2003, Corteggiano ed altri, Rv. 226201).
Il secondo e’ costituito dal rapporto fiduciario del confidente con le forze di polizia, cioe’ fra chi fornisce e chi riceve una determinata notizia.
Il confidente si identifica con chi ha un rapporto tendenzialmente stabile con la polizia giudiziaria, sinallagmatico, nel senso che, a fronte di informazioni ricevute, l’inquirente e’ in qualche modo tenuto al segreto sulla rivelazione della identita’ del delatore.
La Corte di cassazione ha in passato escluso di poter ricondurre alla figura del confidente le persone informate sui fatti che, avvicinati dagli organi di polizia giudiziaria, abbiano loro rilasciato dichiarazioni, rifiutandosi poi di sottoscriverle (Sez. 6, n. 36720 del 12/06/2001, Vardaro, non massimata).
In senso simmetrico, si e’ affermato che il divieto di utilizzazione a fini di valutazione del quadro indiziario delle notizie acquisite dalla polizia giudiziaria presso informatori (articolo 267, comma 1-bis in relazione all’articolo 203 c.p.p., comma 1-bis) non opera quando la stessa polizia giudiziaria abbia indicato negli atti le generalita’ complete dell’informatore ovvero abbia precisato in una relazione di servizio il contenuto delle notizie da questi riferite, venendo meno in tal caso il carattere anonimo della fonte (Sez. 4, n. 6844 del 15/12/2011, (dep. 2012), Damiano, Rv. 252730).
4. In applicazione di tali principi, deve escludersi che, nel caso di specie, la notizia appresa dagli inquirenti nel corso della perquisizione effettuata presso la abitazione di (OMISSIS), figlio di (OMISSIS), avesse natura confidenziale e fosse percio’ sottoposta alla disciplina prevista dagli articoli 267 e 203 cod. proc. pen.; non emerge in nessun modo che il dichiarante, peraltro espressamente indicato negli atti di indagine, avesse un rapporto fiduciario e tendenzialmente stabile con la polizia giudiziaria, ne’ che intendesse rimanere nell’anonimato per ragioni di opportunita’ e di sicurezza personale.
La notizia appresa nel corso di quella perquisizione non era quindi tecnicamente qualificabile come “confidenziale” e, quindi, ben poteva essere utilizzata, ai sensi dell’articolo 267 cod. proc. pen., ai fini della valutazione dei gravi indizi di reato necessari per disporre intercettazioni telefoniche, non operando nella specie il divieto probatorio previsto dall’articolo 203 cod. proc. pen..
Ne discende la ritualita’ delle intercettazioni disposte e degli atti da esse derivanti.
5. Parimenti infondati, ai limiti della inammissibilita’ per difetto di interesse, sono gli altri motivi di ricorso.
5.1. Dal provvedimento impugnato emerge che i reati contestati sarebbero provati, oltre che dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate, anche: a) dalla confessione resa da (OMISSIS) nel corso dell’interrogatorio di garanzia; b) dai sequestri dei medicinali trovati all’esito delle perquisizioni eseguite nell’armadio dell’ospedale presso il quale l’indagato presta servizio e nelle abitazioni nella disponibilita’ dello stesso (OMISSIS) o di persone a lui riconducibili; c) dai servizi di osservazione effettuati dalle forze dell’ordine e da alcune fotografie.
Secondo il difensore, il vizio procedurale relativo ad alcune intercettazioni renderebbe inutilizzabili anche gli elementi di prova derivanti dagli altri atti di indagine e sostanzialmente neutre le dichiarazioni confessorie dello stesso indagato.
6. Si tratta di un assunto non condivisibile.
6.1. Al di la’ delle specifiche questioni sulla inutilizzabilita’ del contenuto di alcune intercettazioni telefoniche, in giurisprudenza e’ del tutto consolidato il principio secondo cui alla categoria della inutilizzabilita’ non si applica il principio secondo cui la nullita’ di un atto rende invalidi gli atti consecutivi, che dipendono da quello dichiarato nullo (tra le tante, Sez. 6, n. 3027 del 20/12/2015 (dep. 2016), Ferminio, Rv. 266496).
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 332 del 27/09/2001, ha chiarito come siano fenomeni “tutt’altro che sovrapponibili” quelli della nullita’ e della inutilizzabilita’, cosi’ da non potersi “trasferire nella disciplina della inutilizzabilita’ un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al tema della nullita’”.
La inutilizzabilita’ della prova richiede infatti la illegittima acquisizione della specifica prova della cui validita’ si controverte; detta invalidita’ processuale rimane circoscritta alle prove assunte in violazione di divieti probatori e non incide sulle altre risultanze probatorie, ancorche’ collegate a quella inutilizzabili (in tal senso, Sez. 5, n. 12697 del 20/11/2014, (dep. 2015), Strazimiri, Rv. 263031).
Ne discende che l’eventuale vizio di inutilizzabilita’, genericamente lamentato dal difensore, non potrebbe estendere i suo effetti agli altri atti di indagine compiuti e, ovviamente, alle dichiarazioni confessorie rese dallo stesso indagato nel corso dell’interrogatorio di garanzia.
Ne’, al di la’ della questione della inutilizzabilita’ derivata, e’ stata anche solo prospettata dal difensore la decisivita’ probatoria autonoma del contenuto delle singole intercettazioni di cui si assume la inutilizzabilita’.
7. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta i ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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