Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza interlocutoria 3 novembre 2017, n. 26237. Sul tema della individuazione del giudice territorialmente competente a decidere le cause di responsabilità civile ai sensi della legge 117/88 inerenti a magistrati in servizio presso la Corte di Cassazione

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in tema di competenza per territorio con riferimento alle ipotesi di responsabilità civile dei magistrati, invece, si rinvengono principi di segno contrario, sia in sede civile (Cass., sez. prima, 15 aprile 2005, n. 7922; Cass., sez. terza, 29 marzo 2005, n. 6551; Cass., sez. prima, 6 aprile 1996, n. 3243) che in sede penale (Cass., sez. sesta, 23 luglio 2009, n. 30760), avendo la Corte di legittimità sempre affermato che la disciplina dell’art. 11 cod. proc. pen. in materia di competenza per i procedimenti riguardanti magistrati non trova applicazione con riguardo ai magistrati della Corte di cassazione, trattandosi di ufficio giudiziario avente competenza nazionale;
in particolare, è stato affermato in sede civile che “l’art. 4, primo comma della legge 13 aprile 1988, n. 117, il quale demanda la cognizione dell’azione risarcitoria contro lo Stato, per responsabilità civile del magistrato, al tribunale della sede della Corte d’appello più vicina a quella nel cui distretto è compreso l’ufficio giudiziario di appartenenza del magistrato stesso non trova applicazione, quanto al criterio territoriale, ove venga dedotta la responsabilità dei componenti della Corte di Cassazione, con la conseguente operatività per la relativa domanda delle regole comuni, tenendosi conto che la Corte di Cassazione, per organizzazione e compiti funzionali, opera a livello nazionale e non è ufficio compreso in alcun distretto di Corte di appello (cfr. Cass. 6 aprile 1996, n. 3243); e tale conclusione – cui la giurisprudenza era pervenuta nel vigore del testo originario della l. n. 117/1988 – non muta a seguito delle modifiche introdotte con la legge 2 dicembre 1998, n. 420, ove si fa riferimento alla competenza del tribunale del capoluogo del distretto della corte d’appello da determinarsi a norma dell’articolo 11 del codice di procedura penale e dell’articolo 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, essendo evidente che con il richiamo al distretto la norma non intende alludere alla mera collocazione territoriale dell’ufficio, ma allo svolgimento delle funzioni giurisdizionali, nel senso che deve trattarsi di magistrato incardinato in uno degli uffici giudiziari componenti il distretto della Corte d’appello, ciò che appunto non può dirsi per i magistrati della Corte di Cassazione” (Cass., sez. prima, n. 7922/2005 cit.);
in sede penale si è affermato che “la speciale competenza stabilita dall’art. 11 c.p.p. per i procedimenti in cui un magistrato assuma la qualità di indagato, di imputato o di persona offesa o danneggiata dal reato, non può trovare applicazione in relazione ai processi riguardanti magistrati della Corte di Cassazione, la quale, avendo competenza nazionale, non appartiene ad alcun distretto di Corte di Appello. La norma in esame, infatti, nel prevedere una deroga alle ordinarie regole di competenza per l’ipotesi in cui in base ad esse la cognizione dei procedimenti riguardanti un magistrato apparterrebbe ad un ufficio giudiziario compreso nel distretto di Corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, non può che riferirsi ai giudici di merito e ai magistrati del P.M. addetti ad un Tribunale o ad una Corte di Appello” (Cass., sez. sesta, n. 30760/2009 cit.);
5. va peraltro rimarcato che l’art. 11 cod. proc. pen. prevede una deroga alle ordinarie regole di competenza quando un magistrato assuma qualità di parte, anche potenziale, in processi penali o civili e che l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità ha sempre considerato quella in parola una norma che fa eccezione alle regole generali in materia di competenza, come tale insuscettibile di essere interpretata in via analogica;

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