Il Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, articolo 82 secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorita’ giudiziaria presso la quale il giudizio e’ in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorita’ giudiziaria adita – trova applicazione in ogni caso di esercizio dell’attivita’ forense fuori del circondario di assegnazione dell’avvocato, come derivante dall’iscrizione al relativo ordine professionale, e, quindi, anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d’appello e l’avvocato risulti essere iscritto all’ordine di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d’appello, ancorche’ appartenente allo stesso distretto di quest’ultima. Tuttavia, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli articoli 125 e 366 c.p.c., apportate dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, articolo 25 esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorita’ giudiziaria, innanzi alla quale e’ in corso il giudizio, ai sensi del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82 consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’articolo 125 c.p.c. per gli atti di parte e dall’articolo 366 c.p.c. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine. Pertanto, deve distinguersi tra comunicazione al Consiglio dell’Ordine e alla cancelleria della PEC, e indicazione della PEC negli atti processuali notificati alla controparte, la quale ultima non ha un onere di ricerca della PEC che non le sia stata resa nota nel modo di legge.
Ordinanza 14 settembre 2017, n. 21335
Data udienza 3 marzo 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22709-2014 proposto da:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), IN PERSONA DEL TRUSTEE DR (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 285/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 11/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/03/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.
RITENUTO IN FATTO
Gli odierni ricorrenti impugnano la sentenza n. 285/14 della Corte d’appello di Firenze, che aveva dichiarato inammissibile l’appello da loro proposto contro la sentenza emessa dal Tribunale di Prato il 20.3.2012, perche’ notificato decorsi 30 gg. dalla notifica di tale sentenza, effettuata presso la cancelleria di detto Tribunale.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e il (OMISSIS), in persona del trustee (OMISSIS).
Attivato il procedimento camerale ex articolo 380-bis c.p.c. e articolo 375 c.p.c., n. 5 e proposta dal consigliere relatore la reiezione del ricorso, la parte ricorrente ha depositato memoria lunedi’ 27.2.2017.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Preliminarmente si rileva la tardivita’ della memoria, siccome depositata decorso il termine di cinque gg., previsto dall’articolo 380-bis c.p.c. nuovo testo, prima della camera di consiglio. Infatti, l’articolo 155 c.p.c., comma 4 (diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada in un giorno festivo) e il successivo quinto comma del medesimo articolo (introdotto della L. 28 dicembre 2005, n. 263, articolo 2, comma 1, lettera f, e diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella giornata di sabato) operano anche con riguardo ai termini che si computano “a ritroso”, ovvero contraddistinti dall’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attivita’. Tale operativita’, peraltro, deve correlarsi alle caratteristiche proprie di siffatto tipo di termine, producendo il risultato di individuare il dies ad quem dello stesso nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di una abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo (Cass. n. 14767/14, pronunciata con riferimento all’analogo termine dell’articolo 378 c.p.c.; conforme, Cass. nn. 182/11 e 11163/08).
Nella specie, rispetto all’odierna camera di consiglio del 3.3.2017 il termine di cui all’articolo 380-bis c.p.c., comma 2 scadendo domenica 26.2.2017, e’ stato prorogato a ritroso a venerdi’ 24.2.2017.
2. – Due i motivi di ricorso. Il primo denuncia la violazione o falsa applicazione del Regio Decreto n. 37 del 1934, articoli 82 e articoli 125 e 366 c.p.c., come novellati dalla L. n. 183 del 2011, articolo 52. Il secondo l’omesso esame sulle medesime circostanze del fatto processuale sotteso.
Detti motivi, da esaminare congiuntamente per la loro sostanziale complementarieta’, deducono che in applicazione di Cass. S.U. n. 10143/12 la notificazione della sentenza a mezzo PEC, invece che presso la cancelleria del giudice di primo grado nel cui circondario il difensore della parte soccombente non abbia eletto domicilio, e’ possibile non solo se questi abbia indicato la propria PEC ai sensi dell’articolo 125 c.p.c., ma anche ove egli – come avvenuto nella specie abbia comunicato al proprio Ordine d’iscrizione e poi alla cancelleria la propria PEC, e la cancelleria stessa l’abbia poi utilizzata per le comunicazioni prescritte dal codice di rito (nella specie, per la comunicazione del deposito della sentenza di primo grado).
3. – Tali motivi sono infondati.
Com’e’ noto, il Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, articolo 82 secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorita’ giudiziaria presso la quale il giudizio e’ in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorita’ giudiziaria adita – trova applicazione in ogni caso di esercizio dell’attivita’ forense fuori del circondario di assegnazione dell’avvocato, come derivante dall’iscrizione al relativo ordine professionale, e, quindi, anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d’appello e l’avvocato risulti essere iscritto all’ordine di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d’appello, ancorche’ appartenente allo stesso distretto di quest’ultima. Tuttavia, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli articoli 125 e 366 c.p.c., apportate dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, articolo 25 esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorita’ giudiziaria, innanzi alla quale e’ in corso il giudizio, ai sensi del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82 consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’articolo 125 c.p.c. per gli atti di parte e dall’articolo 366 c.p.c. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine (Cass. S.U. n. 10143/12).
Pertanto, proprio con riguardo al precedente invocato da parte ricorrente, deve distinguersi tra comunicazione al Consiglio dell’Ordine e alla cancelleria della PEC, e indicazione della PEC negli atti processuali notificati alla controparte, la quale ultima non ha un onere di ricerca della PEC che non le sia stata resa nota nel modo di legge.
4. – Infine, e’ inammissibile, perche’ costituito da una pura e semplice petizione di principio, il dubbio di costituzionalita’ dell’articolo 82 Regio Decreto cit. manifestato in relazione all’articolo 24 Cost.
5. – Il ricorso va dunque respinto.
6. – Seguono a carico dei ricorrenti, in solido tra loro, le spese, liquidate come in dispositivo e in relazione al valore dichiarato di 5.000.000,00 di Euro, nonche’ il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese, che liquida in Euro 30.000,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrente, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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