Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 3 gennaio 2018, n. 60. Non viola il diritto di difesa il provvedimento adottato nei confronti di un imputato (a piede libero e senza condanna definitiva) con il quale si dispone il suo accompagnamento sia in entrata sia in uscita dal tribunale

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Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’istituto della “rimessione” disciplinato dall’articolo 45 c.p.p. e ss., ha carattere eccezionale, perche’ implica una deroga al principio costituzionale dell’individuazione del giudice naturale precostituito per legge; di qui consegue che si impone la necessita’ di un’interpretazione restrittiva delle disposizioni che regolano l’istituto processuale, in esse comprese quelle che definiscono i presupposti per la “translatio iudicii”, da ritenersi imposta solo nel caso in cui sia accertata una grave situazione locale. Il concetto di “grave situazione locale” va inteso come fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge, connotata da tale abnormita’ e consistenza da ritenersi incidente come pericolo concreto per la non imparzialita’ del giudice (inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito) o come di pregiudizio alla liberta’ di determinazione delle persone che partecipano al processo medesimo.
Pertanto i “motivi di legittimo sospetto” possono configurarsi solo in presenza della suddetta grave situazione locale e come conseguenza di essa. (v. Cass. sez. 3 n. 23962 del 12.5.2015 in Ced Cass. rv 263952; e nello stesso senso Cass. sez. 2 ordinanza n. 55328 del 23.12.2016 in Ced Cass. rv. 268531; Cass. sez. 2 n. 2565 del 19.12.2014 in Ced Cass. rv. 262278).
Nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio, il “fattore esterno” al processo, non altrimenti eliminabile, idoneo a pregiudicare la libera determinazione delle persone che partecipano al processo (testimoni, imputato) e tale da determinare legittimo sospetto sulla serenita’ e l’imparzialita’ del giudice, e’ costituito, secondo l’esposizione dei fatti contenuta nel ricorso, dal decreto con il quale il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Torino ha vincolato il libero accesso del ricorrente al palazzo di giustizia.
Detto provvedimento troverebbe la sua causa ultima (secondo la prospettazione del ricorrente) nel fatto che il ricorrente avrebbe denunciato, presso la autorita’ giudiziaria milanese, due magistrati (Giudice delle indagini preliminari e Pubblico Ministero) del tribunale di Torino che si erano interessati di altra vicenda processuale che ha visto il coinvolgimento dell’imputato.
Si tratta pertanto di valutare se i due fatti (fra loro causalmente connessi) abbiano incidenza causale sulle decisioni del giudice nel procedimento in corso si’ queste ultime possano essere ritenuto frutto del verificarsi di una “grave situazione locale” perturbatrice della regolare giurisdizione.
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la proposizione da parte dell’imputato di un’azione volta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie nei confronti di piu’ magistrati appartenenti allo stesso ufficio, non costituisce, nemmeno a seguito della disciplina sulla responsabilita’ civile introdotta con L. 27 febbraio 2015, n. 18, una “grave situazione locale”, esterna alla dialettica processuale, sufficiente ad imporre il trasferimento della regiudicanda ex articolo 45 c.p.p. (In motivazione, la Corte ha anche escluso, incidentalmente, che l’esercizio di tale azione costituisca ragione idonea e sufficiente ad imporre la sostituzione del singolo magistrato) (Cass. sez. 6 n. 16924 del 18.3.2015 in Ced Cass. rv 26331). Il principio accennato vale, mutatis mutandis, anche nel caso in cui l’imputato abbia presentato denuncia penale nei confronti di magistrati del distretto, sicche’ si puo’ concludere che la esistenza di vertenze a contenuto giudiziario (civile o penale) tra il ricorrente e singoli magistrati del distretto non ha di per se’ sola efficacia a costituire il presupposto per l’accoglimento della istanza di rimessione.
Pertanto si deve escludere ogni valenza relativa alle cause remote che avrebbero determinato la situazione denunciata.
Bisogna allora verificare se i comportamenti e i provvedimenti endoprocessuali segnalati dal ricorrente, del P.M. e del giudice; possono costituire motivo di rimessione del processo in quanto sintomatici di una mancanza di imparzialita’ dell’ufficio giudicante nella sede di svolgimento del processo e siano collegati da un nesso di causalita’ ad una grave situazione locale, da intendersi come fenomeno esterno alla dialettica processuale.
(Cass. sez. 6 ordinanza n. 15741 del 28.3.2013 in Ced Cass. rv 255844).

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