Corte di Cassazione, sezione seconda penale, ordinanza 8 gennaio 2018, n. 196. In riferimento all’ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva confermato il decreto di sequestro preventivo di oltre 91.000 semi di cannabis, attrezzature per la coltivazione della canapa e depliants, oggetto di pubblicizzazione anche attraverso Facebook.

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D’altra parte – ha proseguito la Corte d’appello – poiche’ il meccanismo contrattuale prescelto dai contraenti era finalizzato da parte della promittente venditrice a beneficiare il fratello della disponibilita’ del riscatto che le competeva in via esclusiva quale affittuaria dell’immobile (e cio’ sia con la immediata immissione nel possesso dei beni del fratello e della cognata, con l’accollo dei ratei da parte dei promissari e con la previsione che il bene sarebbe stato formalmente trasferito non appena ve ne fosse stata la giuridica possibilita’), “non avrebbe avuto senso… beneficiare cosi’ chiaramente il fratello di un diritto a lui astrattamente non spettante per poi esporlo all’azione di revoca da parte dell’ente assegnante”, essendo evidente “intenzione delle parti di eludere proprio ogni interferenza dell’ente assegnatario”.
Trova pertanto applicazione il principio per cui la nullita’ della cessione di alloggio di edilizia economia e popolare da parte dell’assegnatario con patto di riscatto, se stipulata in violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1265 del 1956, articolo 26 non toglie che l’assegnatario medesimo possa validamente stipulare un preliminare di vendita, che pur se effettuato in pendenza del termine di assegnazione, anche eventualmente accompagnato dall’anticipata attribuzione del possesso dell’immobile, richiede ulteriore manifestazione della volonta’ negoziale dopo l’acquisto della proprieta’, al fine di produrre effetti traslativi, quando il giudice di merito, interpretando la volonta’ negoziale, abbia ritenuto la stessa, anche in relazione al principio di conservazione del negozio, diretta ad operare in tempo successivo (Cass., Sez. 1, 18 maggio 2007, n. 11664; Cass., Sez. 3, 27 gennaio 2010, n. 1701).
In questo contesto, va richiamato il principio secondo cui l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volonta’ dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonche’, ai sensi del testo novellato dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Cass., Sez. 3, 14 luglio 2016, n. 14355).
Nella specie il motivo, benche’ formalmente denunci la violazione degli articoli 1362 e ss. c.c. e censuri addirittura il travisamento delle clausole contrattuali ad opera della Corte d’appello, in realta’ finisce con l’investire il risultato interpretativo in se’, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, risolvendosi cosi’ in una critica alla ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduce nella richiesta di una diversa valutazione del testo contrattuale da questo argomentatamente esaminato (cfr. Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass., Sez. 3, 26 maggio 2016, n. 10891).
D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimita’, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. 3, 20 novembre 2009, n. 24539; Cass., Sez. I, 17 marzo 2014, n. 6125).
2. – Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1453, 1455, 1498, 1218 e 1182 cod. civ., in relazione all’articolo 360 c.c., comma 1, n. 3. I ricorrenti rappresentano che con il terzo motivo di appello i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano censurato il rigetto della subordinata domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, lamentando che il giudice di primo grado avesse ritenuto che i promissari acquirenti avevano provato di avere corrisposto l’intero prezzo pattuito tanto all’IACP che alla promittente venditrice, quando al contrario risultava documentalmente che avevano versato allo IACP solo una parte del prezzo pattuito nel preliminare, costringendo l’attrice – che non vi era tenuta – a versare, in loro vece, allo IACP Lire 12.469.404, ora Euro 6.439.91, per evitare la decadenza dall’assegnazione dell’appartamento, senza restituirglieli, e che non avessero versato alla promittente i pattuiti 20.000.000 di Lire, essendosi limitati ad accendere presso la Cassa di risparmio di Rieti un libretto al portatore con l’importo di Lire 19.656.933, senza mai consegnarlo alla venditrice. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte capitolina avrebbe travisato il motivo, avendo ritenuto che esso si appuntava su un errore di calcolo del giudice. La Corte d’appello, pur riconoscendo che la promittente ha provveduto a versare allo IACP di Rieti l’importo complessivo di Lire 12.469.404, tanto da riconoscere che tale importo “dovra’ aggiungersi agli Euro 10.095,28 gia’ oggetto di condanna di pagamento nella sentenza di prime cure, innalzando l’importo della controprestazione a Euro 16.535,19”, avrebbe dovuto considerare che il mancato versamento della somma di Lire 12.464.404 costituiva la prova dell’inadempienza dei promissari, e quindi un indubbio grave motivo di risoluzione del contratto, tenuto conto dell’entita’ della somma rispetto al valore dell’intero contratto. L’avere poi la Corte d’appello ritenuto che il pagamento dei canoni da parte della venditrice non appariva anomalo, e non costituiva un’inadempienza degli acquirenti, per il fatto che il contratto era congegnato in modo da non dare cognizione all’ente che i reali beneficiari fossero il fratello e la cognata dell’assegnataria, costituisce, ad avviso dei ricorrenti, un errore di interpretazione: sia della clausola contrattuale prevedente che “gli adempimenti… saranno a cura e spese degli acquirenti”, sia del comportamento dei promissari, avendo costoro ammesso di avere sempre provveduto puntualmente e precisamente al versamento dei ratei di riscatto. Infine, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che i promissari acquirenti avessero adempiuto la loro obbligazione di corrispondere i 20.000.000 di Lire pattuiti con la mera accensione del libretto di deposito al portatore.

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