Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 4 gennaio 2018, n. 68. La controversia che non riguarda solo l’ammontare dei compensi dovuti ma anche l’esistenza di un diritto a percepirli, non può essere trattata con il rito sommario

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Da cio’, come gia’ evidenziato, la conseguenza che qualora il giudice avesse provveduto nel merito di una controversia L. n. 794 del 1942, ex articolo 28, estesa anche all’an, il provvedimento, benche’ adottato in firma di ordinanza, aveva comunque valore di sentenza, sicche’ era impugnabile solo con l’appello e non anche con il ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111 Cost., poiche’ si trattava di questioni di merito, la cui cognizione non poteva essere sottratta al doppio grado di giurisdizione (Cass. 1666/2012; 21554/2014).
Il sesto motivo (F) denuncia violazione di norme di diritto e contraddittorieta’ della motivazione, per la mancata applicazione dello scaglione massimo della tariffa professionale forense previsto dal DM Giustizia 9.4.2004.
Pure tale motivo e’ inammissibile per difetto di decisivita’, atteso che, come gia’ evidenziato, la Corte territoriale ha affermato l’applicabilita’ del Decreto Ministeriale n. 140 del 2012.
Il settimo motivo (G) denuncia la violazione degli articoli 221 e 214 c.p.c., deducendo che i documenti (gli assegni bancari) sui quali si fondava l’eccezione di estinzione sollevata dalle controparti erano privi di efficacia, atteso che, a fronte del disconoscimento e querela di falso proposti dal ricorrente, le controparti non avevano provveduto a presentare istanza di verificazione, con conseguente inutilizzabilita’ della relativa documentazione.
Pure tale motivo e’ inammissibile in quanto non attiene alla ratio della sentenza impugnata.
Il ricorrente deduce infatti l’infondatezza, nel merito, dell’eccezione di estinzione sollevata dalle controparti, in quanto fondata su documenti inutilizzabili, ma non investe il presupposto del mutamento del rito, costituito dall’ampliamento del thema decidendum, anche in relazione all’an della prestazione professionale, in conseguenza dell’eccezione di estinzione dei resistenti, da valutarsi, ai fini del mutamento suddetto, indipendentemente dalla sua fondatezza.
Pure l’ottavo motivo (H), con il quale si denuncia la violazione dell’articolo 5 allegato al Decreto Ministeriale Giustizia 9 aprile 2004, e’ inammissibile poiche’ non coglie la ratio della pronuncia impugnata, che ha affermato l’applicabilita’ del Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, incompatibile con la disposizione invocata sia con riferimento alla voce “discussione orale” che alla “maggiorazione del 20% sugli onorari”, non piu’ previste sulla base dei parametri liquidativi previsti dal Decreto Ministeriale n. 140 del 2012.
Con il nono motivo (I) si denuncia la violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articoli 2, 3, 4, 5 e 6, delle disposizioni del Decreto Ministeriale 22 giugno 1982, e dell’articolo 429 c.p.c., lamentando il mancato riconoscimento di interessi moratori e rivalutazione monetaria sul proprio compenso.
Pure tale motivo e’ inammissibile, in quanto fondato sul richiamo ad una normativa diversa da quella che il giudice di merito, con statuizione che non e’ stata impugnata, ha ritenuto applicabile al caso di specie.
In ogni caso, anche con riferimento alla normativa anteriore, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, se e’ vero che, in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione comune alle tre tariffe forensi (civile, penale e stragiudiziale) contenuta nel Decreto Ministeriale 14 febbraio 1992, n. 238, prevede che gli interessi di mora decorrano dal terzo mese successivo all’invio della parcella, quando tuttavia insorge controversia tra l’avvocato ed il cliente circa il compenso per prestazioni professionali, il debitore non puo’ essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che avviene con l’ordinanza che conclude il procedimento L. 13 giugno 1942, n. 794, ex articolo 28, (che e’ di particolare, sollecita definizione), sicche’ e’ da quella data – e nei limiti di quanto liquidato dal giudice – e non da una data anteriore, che va riportata la decorrenza degli interessi (Cass. 2413/2011).
Il decimo (L) e dodicesimo motivo (N) denunciano la violazione, rispettivamente, dell’articolo 91 c.p.c., e degli articoli 24 e 92 c.p.c., lamentando l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
I motivi che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono infondati.

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