Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 4 gennaio 2018, n. 68. La controversia che non riguarda solo l’ammontare dei compensi dovuti ma anche l’esistenza di un diritto a percepirli, non può essere trattata con il rito sommario

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Del pari inammissibile, per carenza di decisivita’, la seconda censura, in quanto neppure essa coglie la ratio della sentenza impugnata.
La Corte territoriale, infatti, ha fondato la propria pronuncia non gia’ sulle risultanze degli assegni, stante l’impossibilita’ di acquisire gli originali in a causa del periodo trascorso, ma sul giuramento suppletorio, in cui l’odierno ricorrente aveva negato di aver percepito compensi e di aver incassato gli assegni.
Sotto altro profilo, la censura e’ inammissibile in quanto lamenta una insufficiente o contraddittoria motivazione, per non avere la Corte territoriale valutato in modo adeguato le risultanze istruttorie, vizio non piu’ censurabile alla luce del nuovo disposto del n.5) comma 1 dell’articolo 360 codice di rito, (Cass. Ss. Uu. n.8053/2014), applicabile ratione temporis.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, la contraddittorieta’ della motivazione su un punto decisivo della controversia e l’omessa o carente motivazione in ordine alle risultanze documentali ex articolo 360 c.p.c., n. 5).
Il ricorrente deduce che nel caso di specie la domanda di pagamento degli onorari era fondata su una parcella su cui erano riportate le voci mai analiticamente contestate dal cliente, onde il giudice non avrebbe potuto discostarsene: secondo la prospettazione del ricorrente, essendo decorso il termine di tre mesi dall’invio della propria parcella ai propri clienti le relative risultanze erano divenute incontestabili e davano diritto al riconoscimento della rivalutazione monetaria.
Pure tale motivo e’ inammissibile per diversi profili.
Innanzitutto la censura non attinge la ratio della pronuncia, che ha affermato l’applicabilita’ del Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, al caso di specie.
Tale statuizione della sentenza impugnata che, si ripete, non viene specificamente censurata nel motivo, supera la questione relativa alla contestazione delle singole voci della parcella che peraltro, in violazione del canone di autosufficienza, non viene riportata nel corpo del ricorso, ed al riconoscimento della rivalutazione monetaria.
La disciplina del Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, ed i parametri di liquidazione ivi previsti, sono infatti incompatibili con il criterio della mancata contestazione delle voci indicate nella parcella, invocato dal ricorrente.
Si osserva, in ogni caso, avuto riguardo alla chiesta rivalutazione monetaria, che, anche con riferimento alle tariffe forensi pregresse al Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, questa Corte ha piu’ volte evidenziato che, pur a fronte della mancata contestazione della parcella nei tre mesi successivi, la successiva controversia con cui si contesti la pretesa del legale, comporta l’inapplicabilita’ della disposizione e la riconduzione del caso alla fattispecie di cui all’articolo 1224 c.c., con la conseguenza che la corresponsione degli interessi moratori consegue solo all’accertamento del credito mediante provvedimento giurisdizionale, onde solo dalla data di questo (e non da quello di invio della parcella) decorrono gli interessi (Cass. 2431/2011).
Va infine affermata l’inammissibilita’ della censura di omessa o contradittoria motivazione, non piu’ censurabile, alla luce del nuovo disposto dell’articolo 360 codice di rito, comma 1, n. 5), (Cass. Ss. Uu. n.8053/2014), applicabile ratione temporis.
Il quinto motivo (sub E) denuncia violazione del principio costituzionale del giusto processo e l’inammissibilita’ ed infondatezza della domanda di trasformazione del rito speciale in procedimento ordinario L. n. 794 del 1942, ex articoli 28 e 28, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3).
Pure tale motivo e’ infondato.
Come gia’ evidenziato, la statuizione della Corte territoriale, che ha attribuito valore di sentenza alla pronuncia del primo giudice ed ha ritenuto, in virtu’ dell’ampliamento del thema decidendum, avente ad oggetto l’estinzione del credito professionale del professionista, la trasformazione del rito speciale in rito ordinario, e’ conforme al consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui nei casi in cui il thema decidendum avesse esorbitato dalla mera determinazione della misura dei compensi la controversia non poteva piu’ essere trattata nelle forme della procedura sommaria: la necessita’ delle verifiche, infatti, faceva venir meno le ragioni che giustificavano la deroga al principio del doppio grado di giudizio ed il procedimento doveva svolgersi secondo il rito ordinario (Cass. 13640/2010).

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