Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 4 gennaio 2018, n. 68. La controversia che non riguarda solo l’ammontare dei compensi dovuti ma anche l’esistenza di un diritto a percepirli, non può essere trattata con il rito sommario

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CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve preliminarmente disattendersi l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per violazione dell’articolo 366, n. 3) codice di rito, atteso che esso contiene l’esposizione chiara ed esauriente dei fatti di causa, dalla quale risultano le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte, in modo sintetico ma esauriente, nonche’ lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni essenziali (Cass. 19767/2015) e tutti gli elementi necessari a desumere le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito (Cass. 14784/2015).
Vanno del pari disattese le eccezioni di inammissibilita’ del controricorso, per mancata allegazioni di difese idonee a contrastare i motivi di ricorso, trattandosi di valutazione che attiene al merito delle difese dei resistenti. Deve infine respingersi l’eccezione di tardivita’ del controricorso, genericamente sollevata nella memoria ex articolo 378 c.p.c., dal ricorrente, atteso che a fronte del perfezionamento della notifica del ricorso in data 2 gennaio 2014 il controricorso risulta consegnato per la notifica il 7 febbraio 2014, e quindi tempestivamente.
Il primo motivo (sub A) denuncia la violazione della L. n. 794 del 1942, articoli 29 e 30, dell’articolo 111 Cost., e la contraddittorieta’ della motivazione per avere la Corte ritenuto la propria competenza, nonostante la natura di “ordinanza” del provvedimento del Tribunale di Bari impugnato.
Il secondo motivo (sub B) denuncia violazione dell’articolo 345, 166, 167 e 183 c.p.c., deducendo che i signori (OMISSIS) e (OMISSIS) nel corso del giudizio di primo grado non avevano mai dedotto la violazione degli articoli 50 bis e 50 quater codice di rito, con conseguente violazione del divieto di ius novorum in appello.
I motivi che precedono, che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono inammissibili poiche’ non colgono la ratio della pronuncia impugnata.
Il giudice di appello, in conformita’ al consolidato indirizzo di questa Corte, ha infatti ritenuto che la speciale procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, regolata dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 28 e ss., (“ratione temporis” vigenti), non fosse applicabile nel caso di specie in quanto la controversia riguardava non soltanto la semplice determinazione della misura del corrispettivo spettante al professionista, bensi’ anche i presupposti stessi del diritto al compenso e la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa azionata.
Tale statuizione e’ conforma a diritto.
Il procedimento ordinario e’ il solo previsto e consentito per la definizione di tali questioni, sicche’, in questo caso, l’intero giudizio deve concludersi con un provvedimento che, seppur adottato in forma di ordinanza, ha valore di sentenza, impugnabile unicamente con l’appello (Cass. 1666/12; 21554/2014).
Da cio’ discende altresi’ la nullita’ del provvedimento impugnato, in quanto reso in forma monocratica piuttosto che in forma collegiale, come correttamente affermato dal Tribunale nell’impugnata sentenza.
Nessuna preclusione risulta peraltro essersi determinata in ordine al rilievo di tale nullita’, trattandosi di nullita’ assoluta e rilevabile d’ufficio, che non si sottrae, peraltro, al principio della conversione delle cause di nullita’ in motivi di impugnazione, onde soltanto la mancata denuncia di tale nullita’ in sede di gravame comporta l’impossibilita’ di un suo rilievo e la sua sanatoria (Cass. 17834/2013).
Il terzo motivo (sub C) denuncia anzitutto la violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, articolo 28, e dell’articolo 216 c.p.c., deducendosi la irritualita’ delle censure sollevate dalle controparti nel giudizio in camera di consiglio di cui alla L. n. 794 del 1942, articolo 28, aventi ad oggetto il versamento di acconti ed altre eccezioni il cui ambito esulerebbe dal presente giudizio.
Si denuncia inoltre, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5), l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sull’esame delle risultanze documentali, avuto riguardo agli assegni bancari prodotti in giudizio dalle controparti.
Entrambe le censure in cui si articola il motivo sono inammissibili.
Avuto riguardo alla prima censura essa non coglie la ratio della pronuncia impugnata, che, come gia’ evidenziato, ha affermato, in conformita’ al consolidato indirizzo di questa Corte, che in conseguenza dell’allargamento del thema decidendum derivante dalle contestazioni dei convenuti si sarebbe dovuto disporre il mutamento del rito, da quello speciale a quello ordinario di cognizione con competenza collegiale, come disposto nel giudizio di appello.

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