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Deve, al riguardo, rammentarsi corde proprio la citata L. n. 13 del 1989 prevede espressamente, all’articolo 3, comma1 della stessa, che “le opere di cui all’articolo 2 possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i corrili e le chiostrine interni ai fabbricati o comunque di uso comune a piu’ fabbricati”. La medesima norma sancisce, poi espressamente, al comma 2, che “e’ fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 c.c. nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare ed i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprieta’ comune”.
Proprio alla stregua di dette norme dal tenore chiarissimo e non suscettibili, per il loro carattere derogatorio, di alcuna interpretazione estensiva, questa Corte ha sempre escluso la possibilita’ di deroga anche quando vi era lesione delle distanze di legge nei confronti di una proprieta’ privata individuale (Cass. n.ri 14096/2012 e 13358/2016).
Per di piu’ (e decisivamente) va evidenziato che l’impugnata sentenza, sotto tale profilo della questione, ha accertato che nella concreta ipotesi non esisteva un intervallo fra l’opera ed un bene di natura condominiale e che la passerella andava ad incidere sulla proprieta’ privata (della (OMISSIS)). Il motivo, quindi, risulta infondato e va rigettato.
5.- Con il quinto motivo del ricorso si censura il vizio di violazione degli articoli 1102 e 907 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
La Corte avrebbe tralasciato – secondo la prospettazione del ricorso – la valutazione del contemperamento della fruibilita’ dell’opera anche da parte di altri proprietari di unita’ immobiliari.
La censura e’ infondata in quanto la Corte ha deciso con propria valutazione (ancorche’ sfavorevole ai ricorrenti) pur considerando il contemperamento di interessi e fruibilita’. Il motivo deve, dunque, essere respinto.
6.- Con il sesto motivo del ricorso si deduce il vizio di carenza motivazionale in relazione alla invocata verifica della “rispondenza delle distanze della realizzando opera a quelle previste dall’articolo 907 c.c.”.
Il motivo va rigettato per lo stesso ordine di argomentazioni gia’ innanzi esposte sub 4..
7.- Con il settimo motivo parti ricorrenti lamentano il vizio di ultrapetizione per aver il Giudice di appello deciso il gravame della (OMISSIS) “oltre i limiti della domanda e/o su questioni estranee a tale appello”.
Il motivo dell’odierno ricorso si basa, invero, su un particolare inciso (un obiter dictum) della sentenza della Corte di Appello.
In particolare la doglianza trae spunto dall’affermazione di un punto di quella decisione ove si afferma “…..la turbativa troverebbe comunque fondamento in relazione articolo 1102 e 1120 c.c.”
Il motivo non puo’ essere accolto.
Innanzitutto – va qui rilevato- l’anzidetto obiter dictum nulla toglie o inficia rispetto alla statuizione data con la sentenza.
Peraltro il medesimo inciso Corte in ogni caso non contraddice la complessiva ratio della sentenza e, quindi, l’affermazione, comunque dell’esistenza della turbativa.
8.- Con l’ottavo motivo del ricorso si prospetta il vizio di ultrapetizione, “oltre i limiti della d6manda e/o su questioni estranee appello” con riferimento alla difesa della (OMISSIS) ed altri.
Il motivo e’ inammissibile in quanto, in dispregio del principio di autosufficienza ed in violazione dell’onere ad esso connesso, non specifica compiutamente perche’, ne’l suddetto atto del giudizio, e la era stata posta la questione, in relazione alla quale si deduce la pretesa ultrapetizione. Parte ricorrente si limita ad affermare che “i predetti appellanti non hanno fatto alcun rifermento nei propri motivi di gravame a dette norme” ovvero all’articolo 1102 c.c. e articolo 1120 c.c., comma 2, ai quali fa riferimento la sentenza impugnata a pag. 6: cosi’ facendo parti ricorrenti finiscono per identificare erratamente una “nullita’ della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4” laddove la Corte si era limitata, come ben poteva, alla citazione ed indentificazione di dette norme rispetto alle violazioni denunciate dalle altre parti.
In proposito va evidenziato che la citazione delle norme (ancorche’ non espressamente indicate da una parte) applicabili alla violazione denunciata dalla medesima parte non implica la dedotta nullita’ ex articolo 360 c.p.c., n. 4.
9.- Con il nono motivo del ricorso si censurano vizi di carenza motivazionale in ordine a vari profili (mutamento destinazione res comune, configurabilita’ innovazioni, capacita’ carico solai, appoggio opera realizzando, taglio di elemento fondazione, ecc…).
Col motivo qui in esame vengono, nella sostanza poste tutte questioni afferenti la valutazione di fatti correttamente svolta dai competenti Giudici del merito.
Al riguardo va rammentato che “la motivazione omessa o insufficiente e’ configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione…altrimenti risolvendosi il relativo motivo di ricorso in una inammissibile istanza di revisione delle valutazione e del convincimento del Giudice del merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione ” (Cass. civ., S.U. 25 ottobre 2013, n. 24148).
Il motivo qui in esame si risolve, quindi, nella censura degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte di merito nella ricostruzione degli elementi che caratterizzano la fattispecie e che sono stati correttamente considerati in quella sede. Deve, al riguardo, ribadirsi il consolidato e condiviso principio che questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare per cui “il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non puo’ essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal Giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte” (Cass. n. 9233/2006) e, quindi, in definitiva, ad un inammissibile revisione del ragionamento decisorio”.
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