Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 18 dicembre 2017, n. 30314. Il conferimento dell’incarico giudiziale non può desumersi dal fatto di essersi recati presso lo studio del legale o da altre attività non strettamente legali quali quelle per esempio di attivarsi nella vendita di un bene

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4. Con il terzo motivo e’ denunciata violazione e falsa applicazione degli articoli 2230 c.c. e segg., anche in relazione all’articolo 1754 c.c. e segg., articolo 2697 c.c. e della tariffa professionale applicabile ratione temporis.
E’ contestata l’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’attivita’ svolta dall’avv. (OMISSIS) sarebbe stata “meramente materiale”, in quanto diretta a condurre a buon fine la vendita del compendio aziendale – che in seguito era stato venduto con l’ausilio di un diverso professionista – in assenza di attivita’ di assistenza legale ovvero di elaborazione di contratti. Il ricorrente evidenzia l’erroneita’ del richiamo all’attivita’ di mediazione, della quale mancava nella specie l’elemento essenziale dell’imparzialita’ del soggetto che aveva posto in contatto le parti ai fini della conclusione dell’affare, e ribadisce di avere svolto attivita’ stragiudiziale, maturando il diritto al compenso secondo la tariffa professionale, comprensivo anche delle voci non riconosciute dal Tribunale.
4.1. La doglianza e’ inammissibile per carenza di decisivita’.
La ratio decidendi della sentenza impugnata risiede esclusivamente nell’accertata carenza di prova dello svolgimento di attivita’ di assistenza legale da parte dell’avv. (OMISSIS), essendo irrilevante stabilire se l’interessamento del professionista finalizzato alla vendita del complesso aziendale dei (OMISSIS) configurasse o non attivita’ di mediazione.
Per la restante parte, il motivo e’ diretto a sollecitare una inammissibile nuova valutazione del quadro probatorio.
5. Con il quarto motivo, che denuncia violazione degli articoli 2291 c.c. e segg., articoli 2293, 2266, 2257 c.c., articolo 91 c.p.c., anche in relazione all’articolo 2697 c.c., si contesta la decisione della Corte d’appello nella parte in cui ha riformato il regime delle spese processuali, ponendo a carico dell’avv. (OMISSIS) quelle sostenute dal Fallimento (OMISSIS) srl.
5.1. La doglianza e’ infondata.
Non e’ oggetto di discussione la decisione del Tribunale di rigetto della domanda dell’avv. (OMISSIS) nei confronti del Fallimento (OMISSIS) srl (estraneita’ della societa’ in nome collettivo all’attivita’ svolta dall’avv. (OMISSIS)), e pertanto sono irrilevanti le norme in materia di societa’ richiamate dal ricorrente. La questione verte, infatti, sulla compatibilita’ tra il rigetto di quella domanda e la compensazione delle spese disposta dal Tribunale. In proposito, la Corte d’appello ha rilevato che l’esito della lite non giustificava la compensazione delle spese, accogliendo l’appello incidentale proposto sul punto dal fallimento.
La decisione e’ immune da censure in quanto costituisce applicazione del principio di soccombenza, sancito dall’articolo 91 c.p.c.. Anche nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. n. 263 del 2005, articolo 2, comma 1, lettera a), applicabile ratione temporis alla controversia in esame (iniziata nel 1997) – il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese, fuori dai casi di soccombenza reciproca, doveva trovare giustificazione nella motivazione della sentenza, non essendo altrimenti consentito gravare la parte vittoriosa delle spese sostenute per difendersi (Cass., Sez. U. 30/07/2008, n. 20598).
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimita’. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in complessivi Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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