Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 18 dicembre 2017, n. 30314. Il conferimento dell’incarico giudiziale non può desumersi dal fatto di essersi recati presso lo studio del legale o da altre attività non strettamente legali quali quelle per esempio di attivarsi nella vendita di un bene

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1.2. Con il primo motivo e’ denunciata violazione e falsa applicazione degli articoli 2230 c.c. e segg., anche in relazione all’articolo 1703 c.c. e articolo 2697 c.c. e si contesta la valutazione delle emergenze processuali fatta dalla Corte d’appello, anche con riferimento al riparto dell’onere della prova. Il ricorrente riporta la motivazione della sentenza del Tribunale, che aveva ritenuto raggiunta la prova del conferimento dell’incarico stragiudiziale all’avv. (OMISSIS) sul rilievo che i fratelli (OMISSIS), in piu’ occasioni, avevano riconosciuto e ratificato l’intervento dell’avv. (OMISSIS), seppur inizialmente non sollecitato dagli stessi. D’altra parte, prosegue il ricorrente, l’effettivo espletamento delle prestazioni professionali non era stato contestato in corso di causa e, in senso contrario, (OMISSIS) aveva ammesso di essersi recato presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) al fine di offrirgli un compenso, peraltro irrisorio. Pertanto gravava sui convenuti (OMISSIS) l’onere di dimostrare che non vi era stato conferimento dell’incarico e che essi avevano rifiutato le prestazioni del legale.
2. La doglianza e’ in parte inammissibile e in parte infondata.
2.1. Il ricorrente, che formalmente deduce violazione di norme (sul contratto di prestazione d’opera intellettuale e sul mandato), in realta’ sollecita, anche attraverso la valorizzazione della piu’ favorevole sentenza di primo grado, il riesame dell’intero quadro probatorio, cosi’ da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (per tutte, Cass. 04/04/2017, n. 8758).
La Corte d’appello, all’esito della valutazione delle risultanze istruttorie, ha rilevato che mancava la prova del conferimento dell’incarico al professionista da parte dei fratelli (OMISSIS), ed ha ritenuto, in cio’ discostandosi da quanto opinato dal Tribunale, che non vi erano riscontri sufficienti per affermare che i sigg. (OMISSIS) avevano accettato parte dell’attivita’ svolta dall’avv. (OMISSIS).
2.2. Correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che spettava al professionista fornire la prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico ovvero l’accettazione dell’attivita’ svolta, e quindi non sussiste la denunciata violazione della regola di riparto dell’onere probatorio.
3. Con il secondo motivo e’ denunciato vizio di motivazione e si contesta l’omesso esame dei fatti decisivi e oggetto di discussione, che erano emersi dalle dichiarazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ dall’interrogatorio formale di (OMISSIS). Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello “non abbia dedicato neppure una parola all’esame dei fatti” indicati.
3.1. La doglianza e’ manifestamente infondata.
La Corte d’appello ha rilevato che le risultanze processuali, ed in particolare le dichiarazioni testimoniali, non dimostravano “ne’ l’esistenza di un precedente rapporto di clientela (dell’avv. (OMISSIS)) con la societa’ e/o con i fratelli (OMISSIS), ne’ la stipula di un contratto d’opera intellettuale con questi ultimi, ne’ l’espletamento di attivita’ di consulenza in loro favore in occasione degli incontri per la vendita del compendio aziendale, non essendovi alcuna prova di consultazioni orali e pareri resi dal professionista su specifiche questioni giuridiche” (pag. 9 della sentenza). Analoghe considerazioni sono state svolte dalla stessa Corte con riferimento alle dichiarazioni rese da (OMISSIS) in sede di interrogatorio formale (pag. 10 della sentenza).
La palese insussistenza della denunciata omissione assorbe i profili di inammissibilita’ strutturale del motivo, con riferimento sia alla consistenza dei fatti (non e’ riportato il testo integrale delle deposizioni testimoniali e dell’interrogatorio formale, ma solo la sintesi contenuta nella motivazione della sentenza di primo grado), sia alla decisivita’ degli stessi nei termini enucleati dal diritto vivente (per tutte, Cass., Sez. U. 07/04/2012, n. 8053).

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