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Nella sostanza, secondo i Giudici del merito, il (OMISSIS), insultandola pesantemente, ha sfidato la persona offesa, al contempo impedendole di uscire dalla vettura, seppur temporaneamente, ma per un lasso apprezzabile: si tratta di una valutazione di fatto che compete al Giudice del merito, non censurabile in sede di legittimita’ se non sorretta da motivazione contraddittoria o manifestamente illogica. Nella fattispecie, la prospettata incoerenza non vulnera la motivazione ma, semmai, il comportamento stesso del (OMISSIS) che, mentre pesantemente insultava la persona offesa, la sfidava a battersi, impedendogli pero’ di reagire uscendo dal veicolo in cui si trovava.
Infine, occorre ricordare che ai fini della configurazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza privata (articolo 610 c.p.) e’ sufficiente la coscienza e volonta’ di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare: il dolo e’, pertanto, generico. (Sez. 5, n. 4526 del 03/11/2010 – dep. 2011, Picheca, Rv. 249247).
2. Anche la seconda censura mossa dal ricorrente e’ palesemente infondata. 2.1. La circostanza aggravante della “finalita’ di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso” (Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 3, conv. in L. n. 205 del 1993), e’ integrata quando – anche alla stregua della Convenzione di New York del 7 marzo 1966, resa esecutiva in Italia con la L. n. 54 del 1975 – l’azione si manifesti come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui e’ maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l’origine etnica o il colore e cioe’ di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato alla esclusione di condizioni di parita’ (Sez. 5, n. 11590 del 28/01/2010, Rv. 24689, P.G. in proc. Singh).
Tale aggravante e’ configurabile quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, a un pregiudizio manifesto di inferiorita’ di una sola razza; non ha invece rilievo la mozione soggettiva dell’agente e neppure e’ necessario che la condotta incriminata sia destinata o, quanto meno, potenzialmente idonea a rendere percepibile all’esterno e a suscitare il riprovevole sentimento o, comunque, il pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori, giacche’ cio’ varrebbe ad escludere l’aggravante in questione in tutti i casi in cui l’azione lesiva si svolga in assenza di terze persone. (Sez. 5, n. 13530 del 08/02/2017, Zamolo e altro, Rv. 269712; Sez. 5, n. 25870 del 15/05/2013, C., Rv. 255435; Sez. 5, n. 49694 del 29/10/2009, Rv. 245828, B. e altri).
2.2. L’aggravante sussiste quindi in tutti i casi in cui il ricorso ad espressioni ingiuriose riveli l’inequivoca volonta’ di discriminare la vittima del reato in ragione della sua appartenenza etnica o religiosa, come si verifica allorche’ ad espressioni intrinsecamente ingiuriose, in quanto contenenti un insulto, si associno ulteriori espressioni legate alla razza, all’etnia, alla religione o alla provenienza, sintomatiche dell’orientamento discriminatorio della condotta. (Sez. 5, n. 43488 del 13/07/2015, Maccioni e altri, Rv. 264825).
2.3. Nella fattispecie le espressioni usate raggruppano a piu’ riprese l’insulto e la qualificazione razziale (“negro di merda”, “sporco negro”, “negro puzzolente”) e appaiono chiaramente espressive di un senso di predominanza e superiorita’ di una razza sull’altra, come del resto puntualmente e nitidamente illustrato, anche con specifici riferimenti al complessivo significato delle dichiarazioni ingiuriose del (OMISSIS), dal Giudice di prima cura.
E’ quindi del tutto fuor d’opera l’assunto del ricorrente che la persona offesa sia stata trattata in modo non differente da come sarebbe stato trattato un cittadino italiano bianco: a parte il triplice insulto con l’ossessivo riferimento al colore della pelle, (OMISSIS) e’ stato minacciato di essere rispedito a casa in una scatola, con una complessiva allocuzione il cui significato facilmente comprensibile era la negazione di potersi comportare come un cittadino italiano bianco.
3. La Corte deve tuttavia rilevare che il reato di ingiuria di cui all’articolo 594 c.p., e’ stato abrogato dal Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, articolo 1, e sostituito da un corrispondente illecito civile.
L’abolitio criminis, sopravvenuta alla sentenza impugnata, deve essere rilevata anche nel caso di ricorso inammissibile ed indipendentemente dall’oggetto dell’impugnazione, atteso il principio della ragionevole durata del processo, che impone di evitare una pronunzia di inammissibilita’ che avrebbe quale unico effetto un rinvio della soluzione alla fase esecutiva (Sez. 5, n. 44088 del 02/05/2016, Pettinaro e altri, Rv. 267751; Sez. 5, n. 40282 del 14/04/2016, Montemurno, Rv. 268204; Sez. 5, n. 39767 del 27/09/2002, Buscemi, Rv. 225702).
3.1. Cio’ comporta a norma dell’articolo 129 c.p.p., e dell’articolo 2 c.p., comma 2, l’annullamento della sentenza in parte qua perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato e l’eliminazione della pena inflitta a tale titolo.
3.2 Il necessario annullamento della sentenza di condanna per un fatto che la legge non prevede piu’ come reato travolge anche le relative statuizioni civili, nella parte in cui ad esso si riferiscono, alla luce della regola generale del collegamento necessario tra condanna e statuizioni civili da parte del giudice penale, della tassativita’ della preclusione di deroga contenuta nell’articolo 578 c.p.p., nonche’ della diversa disciplina espressamente sancita dal Decreto Legislativo n. 8 del 2016, articolo 9, per gli illeciti oggetto di depenalizzazione, non prevista per le ipotesi di abolito criminis dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016, ne’ ad esse applicabile in via analogica.
In tal senso si e’ ormai consolidata la giurisprudenza di legittimita’ secondo cui l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna per una delle fattispecie criminose abrogate dal Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, determina la revoca delle statuizioni civili, cui potra’ seguire, per effetto della eventuale azione risarcitoria davanti al giudice civile competente per valore, il giudizio civile per l’accertamento dell’illecito depenalizzato, l’irrogazione della sanzione pecuniaria ed il risarcimento del danno (Sez. Unite, del 29/9/2016, Rv. 267884; Sez. 2, n. 26091 del 10/06/2016, Tesi, Rv. 267004; Sez. 5, n. 32198 del 10/05/2016, Marini, Rv. 267002).
Nella fattispecie tuttavia la condanna al pagamento della somma complessiva di Euro 2.000,00 e’ stata pronunciata solo a titolo di provvisionale, sicche’ la Corte non ha ragione per intervenire al proposito, poiche’ la determinazione definitiva del congruo risarcimento per i residui reati di violenza privata e minaccia e’ devoluta ad altro giudizio.
4. La sentenza impugnata va quindi annullata, quanto alla condanna per il reato di cui all’articolo 594 c.p., non piu’ previsto dalla legge come reato, e la pena corrispondente, applicata in continuazione (giorni 15 di reclusione) deve essere eliminata.
5. Il contenuto della decisione, di parziale annullamento della sentenza impugnata, giustifica la decisione di non infliggere a carico del ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e alla sanzione in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’addebito di ingiuria perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato; dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed elimina la pena di giorni quindici di reclusione.
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