Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 16 ottobre 2017, n. 47391. Il delitto, di cui all’articolo 483 c.p. falso ideologico in atto pubblico

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3. (OMISSIS), tramite difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, lamentando: 3.1 la carenza e manifesta illogicita’ della motivazione, oltre a violazione di legge, in ordine all’affermazione di responsabilita’, avendo i giudici omesso di rinnovare l’istruttoria, mediante l’acquisizione della documentazione, relativa ai procedimenti subiti dall’esponente, ed avendo i medesimi del tutto obliterato di motivare la decisione assunta, con riferimento al profilo soggettivo, da escludersi, in caso di leggerezza e negligenza, in capo all’autore. Nel caso di specie, dalle risultanze di causa, emergerebbe la totale buona fede della deducente, avuto riguardo alla struttura del modulo, da compilare, con parti non sempre comprensibili, oltre alle condizioni di scarsa scolarita’ e cultura dell’ (OMISSIS). Esattamente, il primo giudice aveva affermato in sentenza che non era stata acquisita la prova della conoscenza dei procedimenti pendenti, prova non desumibile in via presuntiva dalla comunicazione delle facolta’, relative allo stato di imputata, tenuto conto, altresi’, della data delle udienze dibattimentali, successive all’epoca di redazione della dichiarazione in contestazione. Altrettanto inidonea sarebbe la prova della convivenza con lo (OMISSIS), posto che, secondo il primo giudice, non era stata raggiunta la prova del fatto che i numeri civici (33 e 27) della via (OMISSIS) corrispondano o meno ad un’unica abitazione ovvero a due diverse abitazioni. Sempre, secondo il primo giudice, non vi era la prova della convivenza, tra l’ (OMISSIS) e lo (OMISSIS), alla data del 3/11/2009 ed in ogni caso l’omissione in questione non inficiava il valore giuridico della dichiarazione, in considerazione del particolare status dello (OMISSIS), gia’ condannato in via definitiva, con perdita dei diritti e delle potesta’, ex articolo 29 c.p., il che poteva far presumere che non facesse piu’ parte del nucleo familiare. Le motivazioni della Corte avrebbero dovuto essere provviste di un’efficacia argomentativa superiore, a fronte della pronuncia assolutoria precedente, mentre erano apodittiche e frutto di un travisamento della prova. Sarebbe, pertanto, evidente, oltre ad un vizio argomentativo, un’erronea interpretazione dell’articolo 483 c.p., costituente in effetti una norma di rinvio, stante il richiamo alle previsioni del codice penale e delle leggi speciali, da intendersi, non gia’ limitato al semplice trattamento sanzionatorio, bensi’ all’adattamento della fattispecie ad una delle ipotesi previste dalla disciplina codicistica. Sarebbero, quindi, necessari gli elementi obiettivi, costituiti dalla dichiarazione di un privato, ad un pubblico ufficiale, in un atto pubblico, destinato a provare la verita’ del fatto attestato. Ad avviso della difesa di parte ricorrente, non costituirebbe un atto pubblico una dichiarazione sostitutiva di atto notorio o di certificazione; ne’ sarebbe sufficiente, in tal senso, la dichiarazione resa al pubblico ufficiale, mero destinatario della stessa, secondo la normativa vigente in materia di dichiarazioni sostitutive di certificazioni e di atti di notorieta’. Ed ancora, non rileverebbe neppure la destinazione della dichiarazione ad essere trasfusa in un atto pubblico, essendo del tutto irrilevanti la destinazione, lo scopo e gli effetti dell’attestazione. Non sarebbe, quindi, integrato il reato contestato di cui all’articolo 483 c.p.. 3.2) manifesta illogicita’ e/o carenza di motivazione e violazione di legge, in ordine al trattamento sanzionatorio, avendo la Corte adottato mere formule di stile, in relazione all’affermazione della gravita’ del fatto, all’elemento psicologico della fattispecie ed ai precedenti penali dell’imputata, asserzioni disancorate dalla portata effettiva dei fatti e dalla personalita’ della prevenuta; ne’ sarebbe giustificata, altresi’, la mancata concessione delle richieste attenuanti generiche, non sorretta neppure da una minima motivazione, con conseguente impossibilita’ di critica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ palesemente infondato.
E’ sufficiente osservare, quanto ai profili relativi alla consapevolezza del mendacio, che appare del tutto inverosimile una pretesa inconsapevolezza della sussistenza dei precedenti penali. E cio’, in considerazione delle garanzie di legge, incentrate sull’informativa dell’imputato, a nulla rilevando le date, successive rispetto alla data della dichiarazione di cui trattasi, delle udienze dibattimentali. Relativamente poi alla convivenza con lo (OMISSIS), basti richiamare gli accertamenti, compiuti dalle forze di ordine pubblico, confermati dalla deposizione, resa dal teste (OMISSIS).
2. Secondo la giurisprudenza di legittimita’ (Cass. Sez. 5 del 6/06/2014 e del 16/04/2009 RV 261278 e 243897)integra il delitto, di cui all’articolo 483 c.p., la condotta di colui che in una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attesta falsamente di non aver mai riportato condanne penali, dovendosi equiparare tale dichiarazione del privato ad un atto pubblico destinato a provare la verita’ dello specifico contenuto della dichiarazione.
3. Da ultimo, va evidenziata la genericita’ delle censure mosse da parte ricorrente, in relazione al trattamento sanzionatorio, in considerazione delle motivazioni, svolte dal giudice del merito, incentrate sulla gravita’ del fatto, desumibile dalla falsita’ stessa dell’attestazione, circa la mancanza di precedenti penali, e dall’intensita’ dell’elemento psicologico.
4. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, con contestuale condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed ad una somma, che si reputa equo stimare in Euro 2.000,00, a favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.

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