Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 16 febbraio 2018, n. 7754. La divulgazione di valutazioni e commenti non oggettivi e “partigiani”, se ammessa, deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di fatti veri, non essendo ammissibile che una interpretazione soggettiva, fonte di discredito, tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti non veritiera

La divulgazione di valutazioni e commenti non oggettivi e “partigiani”, se ammessa, deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di fatti veri, non essendo ammissibile che una interpretazione soggettiva, fonte di discredito, tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti non veritiera. Nel caso di specie la prima delle frasi incriminate indica le due parti offese come vittime di una cultura locale di radice camorristica, ma si tratta di una premessa che sostiene l’ulteriore affermazione secondo cui esse stesse sarebbero portatrici di tale cultura – che risponde con accuse e minacce a chi cerca di ribellarsi o di reclamare giustizia. L’imputata non allega alcun elemento da cui desumere che le parti offesse fossero, ad un tempo, vittime e portatrici di una cultura camorristica, in quanto gli scarni rimandi contenuti nell’atto di impugnazione non attribuiscono sufficiente specificita’ alla censura.
In tema di continenza, va ricordato che le modalita’ espressive debbono essere proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, e non tradursi in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalita’ espressive utilizzate e non al contenuto comunicato.

 

Sentenza 16 febbraio 2018, n. 7754
Data udienza 5 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio – Presidente

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. MORELLI Frances – rel. Consigliere

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/11/2015 del TRIBUNALE di NOCERA INFERIORE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MORELLI FRANCESCA;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. FIMIANI PASQUALE;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS) difensore della parte civile.
il difensore presente si riporta alla memoria e insiste per l’inammissibilita’ del ricorso come da conclusioni con nota spese che deposita.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Nocera Inferiore ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Nocera Inferiore del 28.11.14 che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di 800 Euro di multa ed al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte civile perche’ responsabile di diffamazione in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS).
1.1. All’imputata, insegnante presso il terzo circolo didattico di (OMISSIS), e’ fatto carico di avere offeso l’onore e la reputazione delle due colleghe, distribuendo un volantino in cui si diceva, fra l’altro “non ci vorrebbe molto per non essere piu’ vittime della paura inculcata da tipi come la (OMISSIS) e la (OMISSIS), vittime, a loro volta, di una cultura locale di radice camorristica che risponde con accuse e minacce a chi cerca di ribellarsi o di reclamare giustizia”… “e’ proprio assurdo che tante persone perbene si lascino condizionare da due povere infelici”… “mi dispiace che poche sciocche persone debbano condizionare il percorso evolutivo di tante altre brave persone”.
I giudici di merito hanno entrambi escluso la sussistenza dell’esimente del diritto di critica.
2. Propone ricorso il difensore dell’imputata deducendo vizi motivazionali in quanto erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto non veritiero il riferimento alla cultura camorristica, quando la difesa aveva portato elementi di prova a sostegno della tesi per cui le parti offese erano effettivamente vittime di una cultura camorristica ed aveva dimostrato l’esistenza di una situazione critica in ambito lavorativo.
Peraltro, si osserva che, diversamente da quanto avviene per il diritto di cronaca, il limite della verita’ non deve essere interpretato in termini rigorosi.
Si evidenzia, inoltre, che le affermazioni attribuite alla ricorrente non hanno trasmodato in una incontrollata aggressione verbale, non si sono concretizzate nell’utilizzo di termini gravemente infamanti ed inutilmente umilianti e, di conseguenza, non hanno superato il limite della continenza nell’esercizio del diritto di critica, tenuto conto, altresi’, della rilevanza sociale dell’argomento.
3. Il difensore delle parti civili ha depositato una memoria in cui evidenzia l’inammissibilita’ del ricorso, posto che la ricorrente non ha allegato ne’ puntualmente descritto quegli elementi di prova da cui avrebbe dovuto desumersi la verita’ dei fatti, con speciale riferimento all’essere vittime di una cultura camorrista, ha proposto una ricostruzione alternativa del fatto, non ha considerato gli argomenti spesi dal Tribunale per confutare le tesi della difesa, ha valicato i limiti entro cui e’ consentita la deduzione di vizi motivazionali in presenza di una “doppia conforme”.
Nel merito, si ribadisce l’insussistenza del diritto di critica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I fatti sono stati commessi il (OMISSIS) ed il termine di prescrizione, pari a sette anni e sei mesi, e’ interamente decorso dopo la pronuncia della sentenza d’appello, anche tenuto conto della sospensione di cinque mesi e ventisette giorni dovuta ad un rinvio nel dibattimento di primo grado per l’astensione dei difensori dalle udienze.
La sentenza deve essere quindi annullata senza rinvio perche’ il reato e’ estinto per prescrizione, non essendo inammissibile il ricorso per i motivi che saranno di seguito enunciati e la cui fondatezza deve essere, altresi’, valutata in relazione alle statuizioni civili.
Nel giudizio di impugnazione, infatti, il giudice di appello o la Corte di Cassazione che dichiari l’estinzione per prescrizione, ove vi sia stata condanna al risarcimento dei danni, deve accertare la sussistenza del fatto e la responsabilita’ dell’imputato, non essendo sufficiente, ai fini della conferma della condanna al risarcimento del danno, dare atto della insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 2 (Sez. 5, n. 10952 del 09/11/2012, dep. 08/03/2013, Rv. 255331).
2. Il ricorso, pur non essendo inammissibile, e’ comunque infondato, in quanto non tiene in adeguato conto l’elaborazione giurisprudenziale in tema di diritto di critica. E’ pur vero che il rispetto della verita’ del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica, un rilievo affievolito rispetto alla diversa incidenza che riveste nell’ambito del diritto di cronaca, in quanto la critica rappresenta la manifestazione di una opinione soggettiva che non puo’ pretendersi essere rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 – dep. 10/02/2011, Rv. 249239; Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014 Rv. 261340; Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, dep. 23/05/2017, Rv. 270284).
Tuttavia la divulgazione di valutazioni e commenti non oggettivi e “partigiani”, se ammessa, deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di fatti veri, non essendo ammissibile che una interpretazione soggettiva, fonte di discredito, tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti non veritiera (Sez. 5, n. 7419 del 03/12/2009 – dep. 24/02/2010, Rv. 246096).
2.1. La prima delle frasi incriminate indica le due parti offese come vittime di una cultura locale di radice camorristica, ma si tratta di una premessa che sostiene l’ulteriore affermazione secondo cui esse stesse sarebbero portatrici di tale cultura – che risponde con accuse e minacce a chi cerca di ribellarsi o di reclamare giustizia -.
La ricorrente non allega alcun elemento da cui desumere che (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero, ad un tempo, vittime e portatrici di una cultura camorristica, in quanto gli scarni rimandi contenuti nell’atto di impugnazione non attribuiscono sufficiente specificita’ alla censura (Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010 Rv. 246552).
2.2. Nel prosieguo, le parti offese vengono definite “povere infelici” e ” povere sciocche persone”.
L’attribuzione di tali epiteti non puo’ essere ricondotta all’espressione di un motivato dissenso, da parte di una insegnante, rispetto alla attivita’ delle colleghe, in quanto ha certamente trasceso in un attacco personale lesivo della dignita’ delle antagoniste.
I termini impiegati, infatti, soltanto apparentemente sono volti a manifestare compassione per le colleghe (vittime di una cultura camorristica e povere donne) ma, in realta’, ne svalutano grandemente la figura professionale ed umana e le qualificano, come si e’ detto, portatrici di una cultura di illegalita’.
Peraltro, gli epiteti offensivi contenuti nella missiva non erano in alcun modo necessitati dal tipo di accuse che la (OMISSIS) intendeva rivolgere alle colleghe, relative ad una gestione delle attivita’ scolastiche che ella non condivideva.
In tema di continenza, va ricordato che le modalita’ espressive debbono essere proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, e non tradursi in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalita’ espressive utilizzate e non al contenuto comunicato (Sez. 5, n. 18170 del 09/03/2015 Rv. 263460).
3. Il ricorso va quindi rigettato agli effetti civili e la ricorrente condannata alla rifusione delle spese di difesa delle parti civili per il presente grado di giudizio, che, tenuto conto delle peculiarita’ della causa, dell’impegno professionale prestato e della circostanza che un solo difensore assiste due parti, si ritiene equo liquidare in complessivi Euro 1.500 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna la ricorrente al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 1.500 oltre accessori come per legge.

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