Corte di Cassazione, sezione quarta, sentenza 22 settembre 2017, n. 43837. Il fatto di aver concordato un incontro per vendere la droga non è motivazione sufficiente per l’imputazione del reato.

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In particolare, la chiamata di correo e’ stata valutata ed approfondita attraverso una serie di riscontri esterni, primo tra i quali le sostanziali ammissioni dei fatti rese dall’imputato nel memoriale da lui sottoscritto nonche’ nelle risultanze delle attivita’ investigative, che avevano accertato che il (OMISSIS) aveva commissionato al coimputato il trasporto e la cessione dello stupefacente in relazione all’episodio del 21 dicembre 2013 e che le modalita’ dei precedenti viaggi e trasporti dello stupefacente effettuati dal corriere stesso erano identiche.
Vale ricordare che la chiamata in correita’, perche’ possa assurgere al rango di prova posta a fondamento di un’affermazione di responsabilita’, necessita, oltre che di un positivo apprezzamento in ordine alla sua intrinseca attendibilita’, di “riscontri estrinseci”. Questi, dal punto di vista oggettivo, possono consistere in qualsiasi circostanza, fattore o dato probatorio, non predeterminato nella specie e qualita’, ed avere, pertanto, qualsiasi natura: i riscontri, dunque, possono consistere in elementi di prova sia rappresentativa che logica, ed anche in un’altra chiamata in correita’, a condizione che questa sia totalmente autonoma ed avulsa rispetto a quella da “corroborare”. E’ essenziale, inoltre, che tali riscontri siano “indipendenti” dalla chiamata, nel senso che devono provenire da fonti estranee alla chiamata stessa, in modo da evitare il cosiddetto fenomeno della “circolarita’” della acquisizione probatoria, e cioe’, in definitiva, che sia la stessa chiamata a convalidare se’ stessa. I riscontri, infine, nell’ottica del giudizio di condanna, devono avere valenza “individualizzante”, devono, cioe’, riguardare non soltanto il complesso delle dichiarazioni, ma anche la riferibilita’ dello specifico fatto-reato alla specifica posizione soggettiva dell’imputato; in altri termini, i riscontri non devono semplicemente consistere nell’oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma devono costituire elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell’attribuzione a quest’ultimo del reato contestato. Per converso, non e’ invece richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente”, perche’, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata in correita’ (Sez. 6, n. 1249 del 26/09/2013, Ceroni).
Questo generale principio e’ stato rispettato, alla luce degli argomenti sopra richiamati – posti a supporto del riscontro della chiamata (modalita’ dell’accompagnamento, possesso di una somma di denaro, ecc.). La censura allora e’ di merito.
Analogamente di merito sono le censure con riferimento al giudizio di responsabilita’ per gli episodi del 10 dicembre 2013 e del gennaio 2014 ai quali non aveva partecipato il coimputato, in cui le deduzioni difensive sono state puntualmente disattese dai giudici di merito evidenziando i plurimi convergenti elementi probatori che deponevano nel senso in equivocabile di incontri preordinati in relazione a plurime cessioni di stupefacente.
Inaccoglibile e’ invero la doglianza sul diniego dell’ipotesi attenuata.
Il giudicante ha fatto corretta e logica applicazione del principio in forza del quale, in tema di sostanze stupefacenti, il fatto di lieve entita’ (Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5) puo’ essere riconosciuto solo in ipotesi di “minima offensivita’ penale” della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla norma (mezzi, modalita’ e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri. Cio’ in quanto la finalita’ dell’attenuante si ricollega al criterio di ragionevolezza derivante dall’articolo 3 Cost., che impone – tanto al legislatore, quanto all’interprete – la proporzione tra la quantita’ e la qualita’ della pena e l’offensivita’ del fatto (v. da ultimo Sez. 6, n. 9723 del 17/01/2013, Serafino, Rv. 254695).
Qui, il giudicante ha ampiamente motivato sulle ragioni che deponevano per l’insussistenza della fattispecie attenuata, valorizzando principalmente proprio il quantitativo della droga (mezzo chilogrammo di cocaina), e le circostanze della condotta (ritenute dimostrative di una non occasionalita’ della stessa): il relativo giudizio regge al vaglio di legittimita’ a fronte di motivazione sicuramente satisfattiva.
Stessa conclusione vale per l’ulteriore doglianza comune afferente il diniego della concessione dell’attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7.

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