Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 8 novembre 2017, n. 50975. Non può escludersi la responsabilità penale del medico che colposamente non si attivi e contribuisca con il proprio errore diagnostico a che il paziente venga a conoscenza di una malattia tumorale

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Ed invero, sul punto, va evidenziato che, mentre il giudice del gravame del merito non pare avere dubbi di sorta circa l’errore di diagnosi da parte dell’imputato e circa la sua colpa, pervenendo alla sua assoluzione sulla scorta della ritenuta ininfluenza dello stesso rispetto all’evento, la Corte territoriale pare operare una sorta di revirement non richiesto – essendo stata evidentemente la sentenza appellata dall’accusa, pubblica e privata – circa la stessa sussistenza della colpa in capo al (OMISSIS).
Il giudice di primo grado, infatti, rilevava che: 1. all’esito della seconda visita, il (OMISSIS) si limitava a consigliare dopo tre mesi la ripetizione di ecografia addome superiore e markers tumorali; 2. all’esito della terza visita (sollecitata dalla (OMISSIS) per l’acuirsi della sintomatologia riferita) rassicurava la paziente in ordine all’insussistenza di un tumore al pancreas, prescrivendo una colonscopia nonostante le risultanze contraddittorie di TAC ed ecografia; 3. successivamente il (OMISSIS) ometteva di ricontattare la paziente per sincerarsi del suo stato di salute ne’ si rendeva dalla stessa – che provava a contattarlo – reperibile nel corso del periodo estivo.
Successivamente, a pag. 18 della sentenza di primo grado, affermava di non poter condividere le conclusioni del perito d’ufficio (che aveva ritenuto esente da censura l’agire del medico, escludendo in radice profili di colpa in capo al (OMISSIS)), il cui iter argomentativo reputava intrinsecamente contraddittorio oltre che manifestamente infondato, ritenendo, al contrario, “condivisibile, in ordine alla sussistenza di negligenza ed imperizia, quanto ribadito dai consulenti dell’accusa e della parte civile”. In particolare, a pag. 21, riconosceva che “l’imputato non poteva limitarsi, in presenza di una patologia che, ove appurata, sarebbe stata estremamente aggressiva, a prescrivere controlli a tre mesi come se quella TAC e quell’ecografia non vi fossero, trascurando di prescrivere alla paziente di ripetere quegli esami onde appurare la ragione dell’evidenziato contrasto e, all’esito, valutare l’opportunita’ di una biopsia con ago sottile ECO/TAC guidato, come ribadito dalla letteratura richiamata dal consulente di parte civile”.
Per il giudice di primo grado, c’era dunque colpa. Ed anche non lieve. Infatti il GM barese a fg. 23 sottolineava che la vistosa inosservanza delle comuni regole di prudenza e perizia “… non puo’ ragionevolmente ricondursi ad un grado di colpa contenuto entro i limiti contemplati dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, articolo 3”.
La conclusione cui perveniva il giudice di primo grado era dunque che “nella fattispecie de qua, la condotta imposta dalla comune perizia professionale era quella di effettuare quegli ulteriori accertamenti diagnostici che, in tempi ravvicinati, avrebbero consentito di sgombrare il campo sia dai dubbi sollevati dai citati esiti contrastanti dei referti in atti, sia da possibili ipotesi alternative alla patologia poi effettivamente riscontrata e, in tal modo, procedere con una terapia adeguata, alla stregua delle attuali cognizioni scientifiche, a fronteggiare la patologia accertata” (cosi’ a pag. 26 della sentenza di primo grado”.
Tuttavia, il primo giudice del merito – che alle pagg. 25 e seguenti affronta il teme della causalita’ della colpa – assolveva l’imputato sul rilievo che la (OMISSIS), in ragione del tipi di neoplasia da cui era affetta, comunque scoperta qualche mese piu’ tardi, sarebbe comunque deceduta, non avendo concrete possibilita’ di sopravvivenza per un periodo di tempo apprezzabile e addirittura finendo per escludere che la paziente – in caso di tempestiva diagnosi – avrebbe subito minori sofferenze. Si legge, infatti, alle pagg. 28 e 29 della sentenza di primo grado che l’istruttoria dibattimentale non ha consentito di appurare che la paziente sarebbe guarita o, comunque, sarebbe sopravvissuta per un apprezzabile lasso temporale rispetto alla data del decesso e/o con minori sofferenze qualora l’imputato avesse posto in essere la condotta doverosa omessa, facendo, viceversa, emergere plurimi elementi che innestano il fondato dubbio che l’evento lesivo si sarebbe realizzato con elevato grado di credibilita’ razionale.
Per il giudice di primo grado tale aspetto sarebbe stato trascurato dai consulenti delle parti e dall’accusa, che al piu’ si sarebbero soffermati sulla astratta idoneita’ lato sensu salvifica dei trattamenti terapeutici che la letteratura contempla per il caso di diagnosi precoce della patologia de qua mentre occorreva concentrarsi sulla concreta evoluzione della malattia e sulle circostanze che hanno connotato la stessa nel caso specifico.
In realta’ gia’ il giudice di primo grado non rispondeva al rilevo, che le parti oggi ricorrenti avevano gia’ proposto in quella sede, e poi reiterato in tutti i gradi successivi, per cui il consulente di parte civile, (OMISSIS), aveva evidenziato come una diagnosi corretta e la prescrizione da subito, sin dalla prima visita, di un accertamento attraverso ago aspirato che avesse subito consentito di individuare la formazione neoplastica al pancreas, avrebbe consentito un intervento chirurgico che non avrebbe scongiurato l’esito infausto, ma avrebbe consentito alla persona offesa un significativo prolungamento della vita. Cio’ anche in ragione del fatto che dalla radiografia al torace di Aprile 2008 non si evidenziavano metastasi polmonari (situazione ben diversa da quella riscontrata nell’agosto 2008, allorche’, per le dimensioni del tumore e per la presenza delle metastasi polmonari, ogni tipo di intervento sarebbe stato inutile.)
Tuttavia, come si e’ detto, il giudice di primo grado, non nutre alcun dubbio circa il comportamento doveroso colposamente omesso dal (OMISSIS), la cui condotta – aggiunge inequivocabilmente a pag. 22 della sentenza – “e’ aggravata ulteriormente dalla latitanza nel corso del periodo estivo, proprio allorquando i sintomi della grave patologia si manifestavano in tutta la loro gravita’ e sistematicita’”. E all’assoluzione perche’ il fatto non sussiste del (OMISSIS) perveniva sulla scorsa di una ritenuta insussistenza del nesso causale.
8. Orbene, a fronte di simili argomentazioni, la difesa di parte civile e il P.M. avevano proposto appello evidenziando, tra l’altro: a. che, come sostenuto dall’accusa pubblica e privata e dal consulente di quest’ultima, se lo specialista interpellato avesse messo in atto tutte le procedure necessarie in caso di semplice sospetto di tumore pancreatico nel giro di pochissimi giorni dalla prima visita, trovandosi in presenza di una massa tumorale inferiore ai 2 cm e senza metastasi in nessun organo controllato (come si evince dalla rx torace e dai referti ecografici e tac dell’aprile 2008 allegati alla querela), avrebbe avuto la possibilita’ di effettuare la stadiazione del tumore e procedere alla resezione chirurgica del pancreas o di parte di esso, con indubbi benefici per la paziente, con la possibilita’ comunque di un prolungamento della vita fino a cinque anni, evitando le indicibili sofferenze patite fino al momento del decesso; b. che, una volta identificato, il tumore viene classificato a mezzo stadiazione, ed in ben quattro stadi diversi della sua metamorfosi (stadio 0, stadio 1, T1 e T2, stadio 2) per cui l’intervento chirurgico e’ l’unico rimedio possibile e, nel 35% dei casi, la sopravvivenza nel lungo periodo sia un risultato piu’ che possibile, cosi’ come sostenuto – senza tema di smentite dal consulente della parte civile prof. (OMISSIS) nel suo esame del 16.12.14; c. che, in tale concreta ipotesi il quadro patologico si sarebbe certamente modificato positivamente, attenuando il decorso aggressivo della patologia; d. che, in data 29.4.2008, il tumore si presentava di 1-1,5 centimetri, senza diffusione accertata in atto, senza linfonodi, e quindi era in una condizione decisamente operabile, mentre ormai, a settembre 2008, dopo le inutili analisi prescritte dall’imputato per l’accertamento di una non meglio definita patologia gastrica, il tumore pancreatico era esattamente raddoppiato (risultando di 3 cm), era localizzato nel corpo del pancreas e aveva infiltrato sicuramente i polmoni, in quanto dalla rx toracica risultavano metastasi sparse; ne conseguiva, quindi, che una corretta diagnosi avrebbe determinato un corretto iter terapeutico, scongiurando un decorso infausto almeno in tempi brevi.
La tesi sostenuta dagli appellanti, fermo ormai il giudizio circa la sussistenza della colpa operato dal giudice di primo grado, era volta a confutare le argomentazioni circa l’assenza del nesso causale spese dal Gm barese, che avevano indotto quest’ultimo ad assolvere il (OMISSIS), ritenendo che, se l’imputato avesse posto in essere il comportamento lecito alternativo, il decorso della malattia non sarebbe cambiato e l’exitus si sarebbe verificato con le stesse modalita’ e la stessa tempistica.

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