Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 8 novembre 2017, n. 50975. Non può escludersi la responsabilità penale del medico che colposamente non si attivi e contribuisca con il proprio errore diagnostico a che il paziente venga a conoscenza di una malattia tumorale

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Ma la sentenza della Corte barese, soprattutto, vede i giudici del gravame del merito, giunti al cuore del thema decidendi (cfr. l’ultimo capoverso di pag. 7) inspiegabilmente definire la questione “al di fuori della tipicita’ penale”.
In realta’, non e’ cosi’. Errata in punto di diritto – e anche di difficile comprensione – e’ l’affermazione operata dai giudici del gravame del merito nel provvedimento impugnato, secondo cui: “L’ulteriore questione, se una diversa diagnostica, piu’ tempestiva, avrebbe potuto ritardare o meno l’esito infausto, premesso tale assunto che non risulta comunque provato dagli atti, resta al di fuori della tipicita’ penale, non essendo contemplato in alcuna fattispecie penale l’evento che ne sarebbe l’effetto (il ritardo del decesso per cause naturali), non costituendo di certo omicidio colposo, ne’ integrando il reato di lesioni colpose. Per cui eventuali doglianze di tale natura hanno solo rilevanza civile, e se fondate possono trovare ingresso solo nella sede civile”.
Il caso che ci occupa, al contrario, come ricordato da tutte le parti ricorrenti, richiama precedenti condivisibili opzioni in materia di patologie tumorali, riguardo alla sussistenza del nesso di causalita’ rispetto all’evento, da individuarsi non nella morte del paziente, ma nell’accelerazione di tale exitus, e quindi della sottrazione allo stesso di un prolungamento, comunque della propria vita.
Condivisibilmente questa Corte di legittimita’ ha gia’ affermato in passato dei principi che il Collegio condivide e che intende ribadire.
Il primo e’ che l’errore diagnostico del medico che consiste nell’intempestiva diagnosi tumorale e’ causa dell’evento dannoso in quanto “la stessa scienza medica (…) sostiene la necessita’ di una sollecita diagnosi delle patologie tumorali e rileva come la prognosi della malattia vari a seconda della tempestivita’ dell’accertamento” (cosi’ la sentenza n. 36603 del 5.5.2011, Faldetta, non massimata) e che c’e’ responsabilita’ penale anche quando l’omissione del sanitario contribuisca alla progressione del male.
E’ stato anche condivisibilmente evidenziato che, in tema di omicidio colposo, sussiste il nesso di causalita’ tra l’omessa adozione da parte del medico specialistico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata, ed il decesso del paziente, quando risulta accertato, secondo il principio di controfattualita’, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensita’ lesiva (Sez. 4, Sentenza n. 18573 del 14/02/2013, Meloni, Rv. 256338, fattispecie nella quale il sanitario di turno presso il pronto soccorso non aveva disposto gli accertamenti clinici idonei ad individuare una malattia cardiaca in corso e, di conseguenza, non era intervenuto con una efficace terapia farmacologica di contrasto che avrebbe rallentato significativamente il decorso della malattia, cosi’ da rendere utilmente possibile il trasporto presso struttura ospedaliera specializzata e l’intervento chirurgico risolutivo).
Anche la sentenza delle Sezioni Unite del 2002, Franzese, su cui ci si soffermera’ piu’ ampiamente in seguito, peraltro, concludeva che, nel reato colposo omissivo, il rapporto di causalita’ e’ configurabile quando si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa, l’evento avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensita’ lesiva.
5. Va evidenziato, inoltre, che non paiono fondati i rilievi critici che la Corte territoriale, alle pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata, muove ad un capo d’imputazione che, erroneamente, ritiene essere “formulato in termini di causazione diretta della morte da parte del medico imputato”.
In realta’, il capo d’imputazione e’ correttamente costruito come relativo ad un reato omissivo improprio ovvero, il che e’ lo stesso, commissivo mediante omissione, quel reato cioe’ che richiede per la sua configurabilita’ che l’evento si verifichi e che si verifichi proprio in conseguenza dell’omissione.
Peraltro, se e’ vero che dalle prime righe sembra che all’imputato si addebiti di avere “cagionato la morte” della paziente, nella successiva ampia specificazione dell’imputazione si da’ atto che gli si contesta che gli accertamenti diagnostici omessi avrebbero potuto portare a scelte terapeutiche “in grado di procurare la guarigione o di incrementare consistentemente le sue speranze di vita”.
In proposito, inoltre, giovera’ ricordare che, in caso di comportamento omissivo, l’accertamento della responsabilita’ e, in particolare, la verifica della sussistenza del nesso di causalita’ sono sottoposti a regole identiche a quelle applicabili in caso di comportamento commissivo, essendo i due tipi di comportamento strettamente connessi, dato che, nella condotta omissiva, nel violare le regole cautelari, il soggetto non sempre e’ assolutamente inerte, ma non infrequentemente pone in essere un comportamento diverso da quello dovuto, cioe’ da quello che sarebbe stato doveroso secondo le regole della comune prudenza, perizia e diligenza. L’unica distinzione attiene soltanto alla necessita’, in caso di comportamento omissivo, di fare ricorso, per verificare la sussistenza del nesso di causalita’, ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico (dandosi per verificato il comportamento invece omesso), anziche’ fondato sui dati della realta’; infatti, nel caso di comportamento omissivo, e’ solo con riferimento alle regole cautelari inosservate che puo’ formularsi un concreto rimprovero nei confronti del soggetto e verificarsi, con giudizio controfattuale ipotetico, la sussistenza del nesso di causalita’ (cfr. sul punto Sez. 4, n. 3380 del 15/11/2005 dep. il 2006, Fedele, Rv. 233237, pure richiamata dai ricorrenti, ove e’ stato valutato penalmente rilevante il comportamento omissivo del medico che, in presenza di un esame mammografico dal quale risultavano sintomi di una possibile malattia neoplastica non dispose alcun esame piu’ specifico ovvero un nuovo controllo ravvicinato, ma solo un ulteriore controllo mammografico da effettuarsi a distanza di un anno, cosi’ contribuendo alla progressione del male).
6. In tema di nesso causale nei reati omissivi, in altri termini, non puo’ escludersi la responsabilita’ del medico il quale colposamente non si attivi e contribuisca con il proprio errore diagnostico a che il paziente venga conoscenza di una malattia tumorale, anche a fronte di una prospettazione della morte ritenuta inevitabile, laddove, nel giudizio controfattuale, vi e’ l’alta probabilita’ logica che il ricorso ad altri rimedi terapeutici, o all’intervento chirurgico, avrebbe determinato un allungamento della vita, che e’ un bene giuridicamente rilevante anche se temporalmente non molto esteso.
Punto di riferimento rimane sempre la gia’ ricordata sentenza Franzese, per cui nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalita’ tra omissione ed evento non puo’ ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilita’ statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, sicche’ esso e’ configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilita’ razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensita’ lesiva (cosi’ Sez. Un. n. 30328 del 10/7/2002, Franzese, Rv. 222138, che hanno ritenuto legittimamente affermata la responsabilita’ di un sanitario per omicidio colposo dipendente dall’omissione di una corretta diagnosi, dovuta a negligenza e imperizia, e del conseguente intervento che, se effettuato tempestivamente, avrebbe potuto salvare la vita del paziente).
Nel solco di tale pronuncia e’ stato anche affermato che il nesso di causalita’ deve essere accertato non sulla base dei soli coefficienti di probabilita’ statistica, bensi’ mediante l’utilizzo degli strumenti di cui il giudice penale ordinariamente dispone per le valutazioni probatorie, e puo’ ritenersi sussistente quando, considerate tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa affermare in termini di “certezza processuale”, ossia di alta credibilita’ razionale o probabilita’ logica, che sia stata proprio quella condotta omissiva a determinare l’evento lesivo. (Sez. 4, n. 38334 del 3/10/2002, Albissini, Rv. 222862, fattispecie di colpa professionale medica per omessa, precoce, diagnosi di neoplasia polmonare determinata da superficiale o errata lettura del referto radiologico, per la quale la Corte ha ritenuto sussistente il nesso di causalita’ pure in mancanza di indagine autoptica).
7. Fondate, come si diceva, sono anche le censure che investono la stringata motivazione della sentenza della corte barese in punto di valutazione della colpa in capo al (OMISSIS).

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