Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 15 settembre 2017, n. 42238. In caso di ipotizzata intestazione fittizia di un bene immobile a terzi la norma (Dlgs 159/2011) richiede la prova della riferibilità del bene al soggetto pericoloso

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In altre parole, ed arrivando ad oggi, la attuale caratterizzazione delle misure di prevenzione patrimoniale (v. Sez. U. 2015 Spine/h) come strumento di inibizione della pericolosita’ “trasferita” al bene in forza della ragionevole constatazione di una sua âEuroËœgenesi illecita’ (il bene entra nel patrimonio occulto del soggetto pericoloso e rappresenta una proezione della sua pericolosita’ sociale, se ed in quanto immobilizza delle risorse di provenienza illecita, correlate alle attivita’ contra legem del proposto) impone di riempire di ulteriore significato la espressione legislativa “disponibilita’”, nel senso che impone di dimostrare, in chiave di confisca, che âEuroËœquel bene’ rappresenta un impiego di risorse provenienti dal soggetto pericoloso e non dall’intestatario formale.
Dunque, a fronte del dato rappresentato dalla formale intestazione del bene immobile e da un “sospetto” di fittizieta’ e’ necessario comprendere – quantomeno con serieta’ probatoria tale da dissipare ipotesi alternative sostenibili – se l’impiego delle risorse economiche, per l’acquisto, la realizzazione, le migliorie, sia avvenuto ad opera del soggetto pericoloso (con legittimita’, in tal caso, della confisca) o meno (con dovere di restituzione).
Il titolare formale, peraltro, non e’ soggetto su cui gravi un dovere di dimostrare la buona fede al momento dell’acquisto, non essendo un soggetto che invochi la tutela di un diritto di credito, ma puo’ limitarsi ad allegare circostanze di fatto che appaiano tese a convalidare la “coincidenza” tra l’intestazione formale e l’impiego di risorse proprie o comunque âEuroËœdiverse’ da quelle provenienti dal soggetto pericoloso (dunque la “realta’” dell’acquisto). Il titolare formale, che impieghi risorse “proprie” per l’acquisto del bene e’ dunque immune da provvedimento di confisca (anche se, in ipotesi, fosse consapevole del fatto che il venditore e’ soggetto pericoloso) perche’ tale condizione (l’acquisto reale a titolo oneroso) spezza il nesso di riferibilita’ del bene alla persona pericolosa, con le conseguenze prima evidenziate. Ora, nel caso in esame, la ricostruzione emergente dal provvedimento impugnato non appare rispondente alle considerazioni che precedono e finisce con il porre in rilievo sia incertezze di inquadramento giuridico (vengono valorizzate circostanze di fatto in realta’ ininfluenti, che paiono virare verso l’analisi della condizione del soggetto titolare di un mero diritto di credito) che vuoti argomentativi di tale pregnanza da integrare, come denunziato dai ricorrenti, l’apparenza di motivazione (rilevabile anche in sede di ricorso avverso misura di prevenzione).
E’ infatti vero che i ricorrenti non soltanto hanno contrattato con persona diversa dal (OMISSIS) (per quanto cio’ rilevi) ma hanno impiegato – per cio’ che risulta dalle fonti documentali citate nel provvedimento – risorse apparentemente âEuroËœproprie’, destinate alla persona del venditore e derivanti dalla erogazione di un mutuo che si assume garantito da soggetti appartenenti ad uno dei nuclei familiari di origine.
Tale allegazione impone un onere dimostrativo, in capo all’accusa, aggravato dalla necessita’ di contrastare tali dati obiettivi, onere che non risulta in alcun modo soddisfatto ne’ individuato.
Non vi e’ menzione, infatti, di alcuna verifica storica e patrimoniale circa le modalita’ di erogazione di siffatto mutuo (e del successivo, con cui e’ stato estinto il primo e finanziati i lavori di completamento) e circa l’effettivo impiego di garanzie fornite da soggetti, comuque, âEuroËœdiversi’ dal proposto (i genitori della (OMISSIS)).
La logica dimostrativa si affida, nella decisione di confisca, esclusivamente al fatto che una parte dei finanziamenti erogati dalle banche (circa il 50%) venne restituita, negli anni successivi, con versamento non tracciabile, ma tale dato – pur se desta ragioni di sospetto non e’ qualificabile come indizio di effettiva provenienza di tali risorse dalla persona del (OMISSIS) (unica ipotesi che giustificherebbe, almeno in parte, il provvedimento di confisca). Inoltre, del tutto fuorviante e’ il riferimento – contenuto nella decisione impugnata – al valore “commerciale” del bene immobile (che deriva da variabili estranee al tema probatorio) li’ dove cio’ che rileva e’ l’analisi dei costi di realizzazione, al fine di comprendere se vi sia stato – o meno – l’afflusso di capitali fiduciari provenienti dal soggetto pericoloso (che in tal modo mantiene, in ipotesi, la disponibilita’ occulta del bene).
In tale parte, pertanto, il provvedimento va annullato per nuovo esame, con rinvio alla Corte di Appello di Milano. In sede di rinvio, ferma restando la liberta’ di valutazione e di ampliamento delle fonti dimostrative ci si dovra’ attenere ai principi di diritto sinora espressi, cosi’ sintetizzabili:
– in caso di ipotizzata intestazione fittizia di un bene immobile in capo a soggetti terzi, la disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24, comma 1, richiede come necessaria a fini di confisca la prova – da intendersi quale emersione di dati dimostrativi tali da dissipare ipotesi alternative sostenibili-, della riferibilita’ del bene al soggetto portatore di pericolosita’, in termini di provenienza da tale soggetto delle risorse economiche impiegate – in tutto o in parte – per l’acquisto o per il miglioramento del bene in questione.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di (OMISSIS). Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 200,00 alla cassa delle ammende.

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