[….segue pagina antecedente]
Il testo vigente della L. n. 89 del 1913, articolo 49 e’ il seguente:
“Il notaio deve essere certo dell’identita’ personale delle parti e puo’ raggiungere tale certezza, anche al momento della attestazione, valutando tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento.
“In caso contrario il notaio puo’ avvalersi di due fidefacienti da lui conosciuti, che possono essere anche i testimoni”.
Il testo dell’articolo risulta mutato rispetto alla versione originaria:
“Il notaro deve essere personalmente certo dell’identita’ personale delle parti.
“In caso contrario deve accertarsene per mezzo di due fidefacienti da lui conosciuti, i quali possono essere anche i testimoni”.
La modificazione del testo normativo si deve alla L. n. 333 del 1976, articolo 1 che ha ridimensionato il dato della conoscenza personale delle parti per il notaio tenuto alla loro identificazione. Infatti, nell’attuale versione non compare piu’ l’avverbio “personalmente” (collegato alla certezza in ordine all’identita’ delle parti); nel testo della disposizione vigente e’ inoltre precisato che la sicurezza circa l’identificazione possa conseguirsi anche al momento dell’attestazione: il che vale ad escludere la necessita’ del dato della pregressa conoscenza personale della parte da parte del notaio; infine, la norma novellata conferisce rilievo a “tutti gli elementi atti a formare il (…) convincimento” del professionista: con cio’ chiarendo che l’acquisizione di una certezza sulla identita’ della parte non dipenda – o comunque possa non dipendere, in concreto – dalla conoscenza personale che il notaio abbia di quel soggetto (la quale puo’ anche mancare) e che detta acquisizione sia anzi determinata da fatti o situazioni che non sono definibili in via astratta e generale, ma che e’ necessario accertare di volta in volta.
In tal senso, questa Corte e’ venuta affermando che il cit. articolo 49 vada interpretato nel senso che il professionista, nell’attestare l’identita’ personale delle parti, deve trovarsi in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identita’, conseguibile, senza la necessaria pregressa conoscenza personale delle parti stesse, attraverso le regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento, anche di natura presuntiva, purche’, in quest’ultimo caso, si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass. 10 maggio 2005, n. 9757; analogamente, nel senso che il notaio non e’ responsabile dei danni che taluno subisca per effetto della discordanza tra identita’ effettiva e identita’ attestata del comparente, se l’identificazione sia il risultato di un convincimento di certezza raggiunto anche al momento dell’attestazione, sulla base di una pluralita’ di elementi che, comunque acquisiti, siano idonei a giustificarlo secondo regole di diligenza, prudenza e perizia professionale: Cass. 10 agosto 2004, n. 15424).
Ora, la Corte di appello di Milano ha evidenziato che il notaio aveva raggiunto una propria certezza circa l’identita’ del comparente sulla scorta di plurimi elementi: il sedicente (OMISSIS) era stato presentato al professionista dai responsabili di un’agenzia immobiliare e da un commercialista da tempo conosciuti; la banca aveva affidato la pratica del mutuo al professionista, incaricandolo di redigere la relazione notarile preliminare e trasmettendo allo stesso controricorrente la documentazione a tal fine necessaria oltre che la bozza del contratto di mutuo nella quale figuravano le generalita’ false dell’aspirante mutuatario; il finanziamento era stato deliberato dalla banca a seguito di una istruttoria sulla persona del futuro contraente, soggetto che l’istituto di credito per legge aveva l’obbligo di identificare; Intesa aveva comunicato al notaio l’approvazione della delibera del mutuo e l’apertura di un conto corrente a nome dello stesso (OMISSIS); la stipula degli atti notarili era avvenuta col concorso di varie persone, tra cui lo stesso direttore della banca, che si erano intrattenuti con il sedicente (OMISSIS) in atteggiamenti di familiarita’ e confidenza; la carta d’identita’ e il codice fiscale del mutuatario esibiti alla segretaria del notaio, che ne aveva estratto copia, non presentavano alterazioni o altre anomalie tali da giustificare un sospetto di falsificazione.
A tale corredo di elementi non vale contrapporre il dato della mancata visione, da parte del notaio, dell’originale del documento di identita’, di cui all’epoca lo stipulante non era piu’ in possesso (ma di cui la collaboratrice del professionista aveva in precedenza estratto copia). Deve rilevarsi, in proposito, che la Corte territoriale, nel valorizzare i molteplici elementi di cui si e’ detto, ha applicato correttamente la norma di cui al cit. articolo 49: come si e’ visto, infatti, questa non predetermina le prove che debbano essere prese in considerazione ai fini del convincimento del notaio circa l’identita’ della parte, ma impone che il professionista abbia maturato detto convincimento nel rispetto delle regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento. Non puo’ d’altro canto considerarsi determinante, ai fini del giudizio vertente sulla correttezza dell’operato del notaio, il dato della mancata esibizione dell’originale del documento di identita’ da parte dello stipulante al momento del rogito, visto che il documento stesso (che il notaio visiono’ solo in copia) non presentava alterazioni o anomalie, secondo quanto insindacabilmente accertato dal giudice del merito; su di un piano logico, dunque, detta evenienza rende la mancata acquisizione dell’originale non decisiva, in quanto consente di escludere che l’esibizione del detto documento avrebbe indotto il professionista a constatare la falsita’ delle generalita’ di (OMISSIS): generalita’, e’ bene ribadire, che apparivano al notaio incontestabilmente autentiche anche sulla base dei diversi elementi individuati dalla Corte di appello, e che si sono in precedenza menzionati.
E a quest’ultimo proposito occorre aggiungere che la censura basata sul concorso del fatto colposo del creditore non coglie nel segno. Infatti, la Corte di merito non ha inteso fare applicazione dell’articolo 1227 c.c., essendosi piuttosto limitata ad attribuire rilievo a una serie di evidenze che non potevano non confermare l’odierno controricorrente nel convincimento circa la corretta identificazione della parte interessata alla stipula del contratto di mutuo. Tra i fattori che possono concorrere a formare la certezza richiesta dalla norma, possono senz’altro ricomprendersi, oltre ai documenti di riconoscimento, il comportamento delle parti, la natura dell’affare e le indicazioni fornite da terzi nella veste di testimoni informali e non di fidefacienti (Cass. 10 agosto 2004, n. 15424, in motivazione); ma non e’ di certo escluso che tra tali elementi siano da annoverare pure le indicazioni fornite dall’altro contraente (nella specie la banca che mai dubito’, prima del rogito, della identita’ di (OMISSIS)).
3. – Il ricorso va dunque respinto.
4. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidandole in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Leave a Reply