Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 28 febbraio 2018, n. 4729. Lo stato passivo fallimentare non ha efficacia di giudicato e pertanto il fallito tornato in bonis, ancorché le ripartizioni effettuate nel fallimento non possano più essere messe in discussione, può comunque opporsi al creditore che non ha avuto integrale soddisfazione nella procedura.

segue pagina antecedente
[…]

la prima azione risulta articolata sulla richiesta di ingiunzione di pagamento avanzata dalla banca per ottenere i soli interessi al tasso legale maturati, ai sensi della L. Fall., articolo 55 e dunque nel corso del fallimento, sui crediti ammessi al passivo ed e’ culminata nel decreto ingiuntivo opposto dai ricorrenti e successivamente revocato dalla Corte di Appello non essendo possibile individuare la corretta base imponibile del credito su cui applicare gli interessi legali maturati durante la procedura, giacche’ comprensiva anche di interessi ultralegali conteggiati dalla banca sulla base di clausole affette da nullita’; nel revocare il decreto opposto, tuttavia, la Corte, disattendeva la domanda di ripetizione, formulata dai ricorrenti, riguardo alla somma versata in pagamento del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, non risultando documentato l’avvenuto pagamento;

la seconda azione e’ volta, invece, ad ottenere il ricalcolo di tutti i crediti vantati dalla banca (crediti gia’ ammessi al passivo del fallimento ed in tale sede integralmente pagati), applicando fin dall’inizio del rapporto il tasso legale e cio’ a cagione della nullita’ della clausola concernente la determinazione degli interessi: tale domanda e’ stata disattesa dai giudici del merito in mancanza della prova dell’esatto ammontare delle somme, riferibili agli interessi ultralegali, addebitate a tale titolo;

il primo motivo prospettato dai ricorrenti riguarda, dunque, il primo aspetto della vicenda descritta, ossia la domanda di ripetizione della somma pagata in esecuzione del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, richiesta rigettata dalla Corte territoriale sul rilievo che i ricorrenti non avrebbero dimostrato l’avvenuto pagamento che invece, a dire degli stessi, sarebbe desumibile da un documento allegato alla causa riunita e dalla stessa espressa ammissione operata dalla banca nella comparsa di costituzione e risposta relativa al giudizio n.r.g. 469/98; inoltre, secondo i ricorrenti, l’avvenuto pagamento dell’importo di Lire 146.063.357 costituiva una circostanza pacifica ed incontroversa tra le parti;

il motivo e’ fondato;

e’ pur vero che la sentenza impugnata non merita censura per non aver preso in considerazione elementi probatori facenti parte del giudizio riunito (con cio’ intendendosi dare continuita’ al principio espresso da Cass. n. 2664 del 2006 secondo cui “le cause riunite per ragioni di opportunita’ conservano la loro autonoma individualita’, senza che si verifichi alcuna fusione degli elementi di giudizio e delle prove acquisite nell’una o nell’altra. Ne consegue che le prove acquisite in una causa non possono essere utilizzate nell’altra esonerando la parte dal relativo onere probatorio, ma ciascuna causa deve essere decisa in base alle prove in essa proposte, ancorche’ possano essere comuni – oltre i principi di diritto applicati – anche i criteri di valutazione delle stesse”);

e’ pur vero, tuttavia, che la sentenza impugnata ha omesso di tener conto che l’avvenuto pagamento della somma oggetto del decreto ingiuntivo costituiva, come sottolineato dai ricorrenti, una circostanza del tutto pacifica tra le parti, tanto e’ vero che lo stesso istituto di credito, a pag. 26 del controricorso, si limita a prendere posizione solo sul primo dei due aspetti sui quali il motivo e’ articolato (cioe’ sull’autonomia delle cause riunite, quale circostanza preclusiva all’utilizzabilita’ dei documenti relativi ad una sola di esse) e ad aggiungere di aver ammesso l’avvenuto pagamento solo nella comparsa di costituzione relativa al secondo procedimento, senza pero’ negare di “non aver contestato” l’avvenuto pagamento nel corso del giudizio di merito e senza dunque smentire quanto evidenziato dai ricorrenti riguardo alla valenza del principio di non contestazione;

ne’ rileva che il vizio in oggetto sia stato censurato dai ricorrenti invocando dell’articolo 360 c.p.c. il n. 5 (anzicche’ il n. 3): difatti, ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui e’ consentito adire il giudice di legittimita’, purche’ si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia (cfr. da ultimo Cass. n. 23381 del 2017);

il secondo motivo del ricorso principale mira a censurare la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha inteso disattendere la domanda di restituzione, avanzata dai ricorrenti nella seconda delle cause riunite, di parte delle somme ammesse al passivo (e conseguite dalla banca a seguito dell’esecuzione del piano di riparto), in ragione dell’omessa dimostrazione dell’esatto ammontare degli importi riferibili ad interessi ultralegali, circostanza che, secondo i ricorrenti, era invece desumibile dalla palese differenza tra i saldi dei conti correnti esistenti al momento della revoca e l’importo complessivo delle somme oggetto dell’ammissione al passivo;

in proposito il controricorrente ha preliminarmente eccepito (a pag. 27 del controricorso) che osterebbe all’accoglimento della domanda di ripetizione il principio di stabilita’ ed immutabilita’ dei piani di riparto (argomento trattato dal controricorrente, sebbene in modo piu’ compiuto ed articolato, anche nell’ambito del ricorso incidentale condizionato);

l’esame di tale profilo e’ dunque preliminare rispetto all’analisi delle ragioni esposte dai ricorrenti, condizionando logicamente il presupposto sul quale si articola il secondo motivo (cioe’ la possibilita’ di ottenere in ripetizione parte delle somme conseguite dalla banca tramite il piano di riparto, possibilita’ comunque negata dalla Corte di Appello ma per una differente ragione, da ravvisarsi nella mancata prova da parte dei ricorrenti del preciso ammontare delle somme conseguite a titolo di interessi ultralegali);

sulla questione della possibilita’ o meno da parte del fallito ritornato in bonis di agire al fine di ottenere la ripetizione delle somme conseguite dai creditori per effetto dell’esecuzione del piano di riparto, si segnalano due precedenti di questa Corte (per altro riguardanti proprio la vicenda in oggetto, anche se relativamente a differenti causali) di segno opposto;

secondo Cass. n. 20748 del 2012 “nella vigenza del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 anteriormente alla riforma ad esso apportata dal Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, l’efficacia solo endofallimentare del decreto di esecutivita’ dello stato passivo deve essere coordinata con il principio di intangibilita’ dei riparti dell’attivo, eseguiti nel corso della procedura, il quale soffre la sola eccezione contemplata espressamente dall’articolo 114 stesso decreto”. Particolare enfasi e’ posta da questa pronuncia sulla eccezionalita’ della L. Fall., articolo 114 che assoggetta all’azione di ripetizione il creditore solo nel caso previsto dalla L. Fall., articolo 102, cioe’ nel caso di positivo esperimento dell’istanza di revocazione dei crediti ammessi;

secondo un diverso orientamento (espresso da Cass. n. 10709 del 2017, non massimata), “l’efficacia esclusivamente endofallimentare del decreto che rende esecutivo lo stato passivo – ora testualmente prevista dalla L. Fall., articolo 96, u.c. ed anzi estesa alle decisioni assunte dal tribunale all’esito dei giudizi di cui alla L. Fall., articolo 99 – era gia’ stata affermata dalla giurisprudenza anteriore alla riforma fallimentare (…) Ne deriva l’assenza di limiti preclusivi per le azioni successive alla chiusura del fallimento (…) e quindi non solo dal creditore che abbia visto respinta o accolta solo in parte la sua domanda di ammissione (…) ma anche dal debitore stesso che, riacquisita la sua piena capacita’ processuale, intenda recuperare crediti non esatti dal curatore, conseguente all’ammissione al passivo di crediti in misura eccessiva”;

intende la Corte in questa sede dare continuita’ al primo degli orientamenti richiamati;

e’ vero infatti che, come ritenuto dalla seconda pronuncia, i provvedimenti di ammissione al passivo producono efficacia solo ai fini del concorso (cio’ valendo sia per il vecchio che per il nuovo rito fallimentare, sia per i provvedimenti del g.d. che per quelli del tribunale: cfr. da ultimo Cass. n. 8431 del 2013) e che pertanto il debitore, non essendo vincolato dai provvedimenti di accertamento del passivo, una volta chiuso il fallimento puo’ sempre contestare i crediti residui pur se ammessi al passivo, ma e’ pur vero che qui non viene tanto o solo in rilievo la questione dell’efficacia endofallimentare del provvedimenti ammissivi ma specialmente e innanzitutto il principio della c.d. immutabilita’ delle attribuzioni patrimoniali effettuate a favore dei creditori in sede di riparto, ora espressamente codificato dalla novella del 2006 sia nella L. Fall., articolo 112 (per quanto riguarda la partecipazione dei creditori ammessi tardivamente alla ripartizione dell’attivo fallimentare), sia nella nuova formulazione della L. Fall., articolo 114, comma 1 che prevede l’irripetibilita’ dei pagamenti eseguiti in esecuzione del riparto, salva l’ipotesi dell’accoglimento delle domande di revocazione;

del resto un principio di intangibilita’ delle ripartizioni dell’attivo gia’ eseguite esiste ed opera anche nelle esecuzioni individuali, trovando espressione nell’articolo 2920 c.c. in tema di diritti di terzi sulla cosa mobile venduta;

il risultato al quale in tal modo si perviene e’ che, se il comportamento del fallito nella sede della predisposizione dello stato passivo non puo’ pregiudicare le sue azioni una volta tornato in bonis, perche’ lo stato passivo non ha efficacia di giudicato nei suoi confronti dopo la chiusura del fallimento, tuttavia le ripartizioni che in base ad esso siano state eseguite nella procedura fallimentare non possono essere rimesse in discussione;

le considerazioni che precedono comportano dunque il rigetto del secondo motivo nonche’ l’assorbimento sia del terzo sia dell’unico motivo del ricorso incidentale condizionato;

in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, dunque, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, affinche’ provveda anche riguardo alle spese della presente fase di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte rigetta il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti il terzo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale condizionato, accoglie il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

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