Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 28 febbraio 2018, n. 4727. L’intermediario finanziario non può trincerarsi dietro il profilo “speculativo” dell’investitore per aggirare l’obbligo di fornire la prova di averlo informato sui rischi del prodotto

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Le censure, legate da un nesso logico, devono essere affrontate unitariamente.

In materia di obblighi informativi, nei contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, questa Corte ha in piu’ occasioni chiarito che l’intermediario finanziario ha l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioe’ da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente (Cass. n. 17340/2008, n. 22147/2010) e che, quindi, l’assolvimento di tale obbligo implica la formulazione, da parte dell’intermediario medesimo, di indicazioni idonee a descrivere la natura, la quantita’ e la qualita’ dei prodotti finanziari ed a rappresentarne la specifica rischiosita’ (Cass. n. 8089/2016 e 16861/2017; cfr. pure Cass. n. 1376/2016, n. 2535/2016). L’onere della prova dell’assolvimento dell’obbligo informativo e’ a carico dell’intermediario, e non corrisponde alla mera assenza di negligenza, ma deve concretizzarsi nella prova positiva della diligenza, mentre l’investitore e’ tenuto ad allegare specificamente il deficit informativo ed a fornire la prova dell’esistenza di un pregiudizio patrimoniale dovuto all’investimento od agli investimenti eseguiti. In ordine al nesso causale l’investitore deve allegare e provare che la perdita patrimoniale e’ eziologicamente riconducibile, anche in via non esclusiva, (la concorrenza di altri fattori o della condotta del creditore determinera’ effetti sulla attribuzione della responsabilita’ per intero o parziariamente) alle caratteristiche di rischiosita’ del prodotto non conosciute. Ne consegue che la prova del nesso causale non puo’ dirsi eliminata dal mero rilievo del profilo “speculativo” dell’investitore, ovvero dalla sua elevata propensione al rischio, dovendo escludersi che quest’ultimo possa accettare anche i profili di rischiosita’ del prodotto finanziario che gli sono ignoti e dei quali alleghi la conoscenza o la prevedibilita’ in capo all’intermediario, contrattualmente obbligato ad essere preventivamente informato.

La Corte territoriale, al contrario, ha ritenuto di inferire l’insussistenza della prova del nesso causale dal profilo “speculativo” del cliente, dedotto, peraltro, da informazioni, del tutto parziali, rispetto alle omissioni allegate, fornite soltanto dopo l’esecuzione dell’investimento quando lo spostamento patrimoniale si era gia’ verificato e le scelte dell’investitore non potevano che essere condizionate da tale sopravvenuto fattore.

Le informazioni rese nel 2001, consistenti sostanzialmente nella mancanza di rating, riguardano caratteristiche originarie del prodotto, come precisato nel ricorso, che ne connotano la peculiare rischiosita’. La Corte territoriale non ha ritenuto rilevante che l’intermediario non abbia fornito alcuna prova contraria in ordine a tale allegazione specifica ne’ relativa alla preventiva conoscenza da parte dell’investitore di tale profilo del prodotto, direttamente incidente sulla sua concreta rischiosita’, ne’ in ordine alla oggettiva mancanza dei dedotti elementi di rischio, rivelatisi eziologicamente produttivi della perdita del capitale investito.

Cosi’ operando, ha omesso di considerare che le fattispecie contrattuali descritte nel Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 1 sono governate da una rete di norme imperative relative a requisiti di validita’ e ad obblighi cogenti riguardanti le prestazioni dovute, in particolare dall’intermediario, che conformano il regolamento d’interessi tipizzato dal legislatore, limitando la flessibilita’ endocontrattuale sia nel momento genetico che in quello attuativo del contratto. All’investitore e’ rimesso il potere decisionale di stabilire il grado di aleatorieta’ dell’investimento che intende sostenere ma soltanto a condizione che l’investimento corrisponda al suo profilo personale, desumibile dalle informazioni assunte sulla tipologia di propensione all’investimento finanziario e soprattutto sia frutto di una scelta informata e consapevole in concreto del rapporto rischio rendimento, in relazione alla peculiarita’ del prodotto e alla sua effettiva rischiosita’, con particolare riferimento al pericolo della perdita del capitale investito. Tale ultima informazione deriva da un complesso di fattori specifici e non soltanto in generale dalla categoria di prodotti finanziari negoziati o che compongono una gestione patrimoniale. Queste prescrizioni derivanti dal sistema integrato costituito dall’articolo 21 T.U.F. e dagli articoli 26 – 28 del Reg. Consob n. 11522 del 1998, si completano con il regime giuridico, anch’esso imperativo, dell’onere della prova in sede di azione risarcitoria. A tale riguardo e’ imposto all’intermediario un obbligo positivo specifico di provare il puntuale adempimento degli obblighi informativi. Tale obbligo sarebbe sostanzialmente vanificato se si ritenesse che verso l’investitore cd. “speculativo” (ma l’attributo e’ del tutto improprio per un investitore retail) l’intermediario non sia tenuto a fornire le informazioni relative al grado di rischio di perdita del capitale derivante dalla tipologia specifica del prodotto proposto ed acquistato. Al contrario si deve ritenere che il grado di rischio sia direttamente proporzionale al livello di puntualita’ delle informazioni. L’esclusione del nesso causale desunta dalla Corte territoriale dalla cd. prova controfattuale – ovvero dal convincimento relativo all’ininfluenza del comportamento giuridicamente imposto rispetto alla scelta dell’investimento – integra la violazione del richiamato sistema integrato di protezione dell’investitore che permea la disciplina normativa dalla fase precontrattuale fino alle conseguenze dannose dell’esecuzione degli ordini d’investimento, prescrivendo una rigida conformazione delle prestazioni di carattere informativo a carico dell’intermediario, in ordine alle quali deve indefettibilmente essere fornita la prova positiva per evitare le conseguenze risarcitorie (o solutorie) dell’inadempimento.

Al riguardo, il Collegio ritiene di dare continuita’ all’orientamento espresso nella sentenza n. 12544 del 2017 in ordine ai principi regolatori dell’onus probandi e articolo 23 T.U.F. e di ravvisare la violazione di legge nella diversa conformazione della sua distribuzione, diversamente da quanto ritenuto nella piu’ recente pronuncia n. 25335 del 2017.

La circolarita’ dei rimedi previsti dal legislatore per colmare l’asimmetria informativa che caratterizza la posizione delle parti contraenti nell’intermediazione finanziaria e’ stata ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., n. 5089/2016, par. 2.2.; Cass. 26191/2017, n. 22605/2017). L’intermediario che sia rimasto inadempiente agli specifichi obblighi informativi previsti dalla legge non puo’ neanche invocare l’attenuazione della sua responsabilita’, ex articolo 1227 c.c., per non avere l’investitore condiviso i suggerimenti (nella specie, ad alleggerire la posizione creditoria o ad uscire dall’investimento) da lui ricevuti dopo l’esecuzione dell’ordine di acquisto ed entro il termine di scadenza dell’investimento, atteso che tale condotta non comporta un’esposizione volontaria ad un rischio, ne’ viola una regola di comune prudenza (Cass. n. 17333 del 31/08/2015).

Infine, al riscontro dell’inadempimento degli obblighi di corretta informazione consegue, secondo l’orientamento prevalente di questa Corte, l’accertamento in via presuntiva del nesso di causalita’ tra il detto inadempimento e il danno patito dall’investitore (Cass. n. 23417/2016, n. 12544/2017); presunzione che spetta all’intermediario vincere attraverso la prova di aver correttamente adempiuto. Occorre, peraltro ribadire, quanto al rapporto fra violazione degli obblighi informativi e produzione del danno, che nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi, ed il cliente non rientri in alcuna delle categorie di investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non e’ configurabile alcun concorso di colpa di quest’ultimo nella produzione del danno (Cass. n. 26064/2017, par. 17), ne’, a fortiori, puo’ ascriversi efficacia interruttiva del nesso di causalita’ alle sue scelte.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto nei limiti indicati in motivazione. Ne consegue la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che si atterra’ ai principi sopra richiamati e provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

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