Corte di Cassazione, sezione  penale. Riduzione in schiavitù e non sfruttamento della prostituzione

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2.1. Con il primo motivo, proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c) i ricorrenti denunciano violazione della legge penale sostanziale e processuale in relazione all’articolo 5 c.p.p., comma d-bis, articoli 21, 23 e 177 c.p.p., articolo 178 c.p.p., lettera a) e articolo 179 e 185 c.p.p..
I ricorrenti assumono che in data 11/7/2013 in seguito all’udienza preliminare, era stato disposto il rinvio a giudizio degli imputati dinanzi al Tribunale di Palermo; in data 23/10/2013 le difese degli imputati avevano sollevato eccezione di nullita’ della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare per omesso rispetto del termine a comparire e di tutti gli atti successivi; il Tribunale in data 30/10/2013 aveva dichiarato la nullita’ dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare e degli atti successivi, restituendo gli atti al G.I.P. presso il Tribunale di Palermo.
I ricorrenti eccepiscono la nullita’ di tale ordinanza e di tutti gli atti successivi perche’ emessa da giudice incompetente per materia secondo quanto disposto dall’articolo 5 c.p.p., comma D bis, modificato dalla L. 12 febbraio 2010, n. 10, che attribuiva alla Corte di Assise e non al Tribunale in composizione collegiale la cognizione del reato di cui all’articolo 600 c.p..
Per effetto dell’omesso rilievo della propria incompetenza per materia la questione preliminare era stata risolta da un giudice incompetente; inoltre era stato violato l’articolo 23 c.p.p., come inciso dalla decisione della Corte Costituzionale n. 76 del 15/3/1993, perche’ gli atti avrebbero dovuto essere trasmessi non gia’ al giudice competente ma al pubblico ministero presso di esso.
2.2. Con il secondo motivo, proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), i ricorrenti denunciano violazione di legge e vizio della motivazione, in relazione agli articoli 125, 192, 533 e 546 c.p.p. articoli 110 e 600 c.p., e articolo 6 CEDU.
I ricorrenti sostengono che la ribaltata condanna per il reato di riduzione in schiavitu’ non dava compiuta ragione della sussistenza del presupposto ineludibile per la configurazione del reato, costituito dalla significativa compromissione della capacita’ di autodeterminazione del soggetto passivo; a tal proposito la sentenza impugnata aveva ritenuto sufficiente la posizione di debolezza delle persone offese dovuta alla loro condizione illegale, alla lontananza da casa, alla non conoscenza della lingua e alla insussistenza di relazioni personali, congiuntamente all’esercizio abituale della prostituzione, all’imposizione di alloggio e vitto, e al prelievo degli importi del meretricio. Tali circostanze erano idonee a integrare i reati di induzione e sfruttamento della prostituzione ma insufficienti, di per se’, a delineare il piu’ grave delitto di riduzione in schiavitu’.
L’annientamento della capacita’ di autodeterminazione delle due donne era stato prospettato dalla Corte territoriale in modo del tutto apodittico e finanche illogico, valorizzando il richiamo del rito “voodoo”, benche’ le stesse parti offese avessero escluso di credere a tale rito e alle relative minacce.
La Corte, poi, aveva modificato il giudizio di sola parziale attendibilita’ delle persone offese, espresso dal Giudice di primo grado, senza mai prendere in considerazioni le dichiarazioni della (OMISSIS) ed esprimendo un mero giudizio di valore sulla (OMISSIS) a seguito della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, senza esaminare tuttavia nel dettaglio le dichiarazioni da questa rese.
Il provvedimento impugnato quindi, in modo deficitario e illogico, aveva modificato il giudizio sulla credibilita’ delle dichiarazioni della (OMISSIS), non sentita in secondo grado, senza spiegare le ragioni della sua ritenuta attendibilita’, contrariamente a quanto opinato in primo grado.
Cio’ violava inoltre i principi CEDU in ordine alla necessita’ di risentire il testimone decisivo per ribaltare la sentenza assolutoria in di primo grado e acquisire la certezza della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, anche alla stregua della giurisprudenza delle Sezioni Unite (sentenza 28/4/2016 n. 27620).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione della legge penale sostanziale e processuale in relazione all’articolo 5 c.p.p., comma d bis, articoli 21, 23 e 177 c.p.p., articolo 178 c.p.p., lettera a), e articolo 179 e 185 c.p.p..
1.1. In data 11/7/2013 in seguito all’udienza preliminare, era stato disposto il rinvio a giudizio degli imputati dinanzi al Tribunale di Palermo.
In data 23/10/2013 le difese degli imputati avevano sollevato eccezione di nullita’ della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare per omesso rispetto del termine a comparire e di tutti gli atti successivi.
Il Tribunale in data 30/10/2013 aveva dichiarato la nullita’ dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare e degli atti successivi, restituendo gli atti al G.I.P. presso il Tribunale di Palermo.
I ricorrenti eccepiscono la nullita’ di tale ordinanza e di tutti gli atti successivi perche’ emessa da giudice incompetente per materia secondo quanto disposto dall’articolo 5 c.p.p., comma d-bis), come modificato dalla L. 12 febbraio 2010, n. 10, che attribuiva alla Corte di Assise e non al Tribunale in composizione collegiale la cognizione del reato di cui all’articolo 600 c.p..
I ricorrenti lamentano che per effetto dell’omesso rilievo della propria incompetenza per materia da parte del Tribunale in composizione collegiale la questione preliminare era stata risolta da un giudice incompetente.
1.2. La doglianza e’ manifestamente inammissibile, in primo luogo, per difetto di interesse ex articolo 568, comma 4, visto che i reati sono stati effettivamente giudicati dal giudice effettivamente competente, secondo la stessa tesi dei ricorrenti, e in secondo luogo ex articolo 182 c.p.p., perche’ la pronuncia criticata era stata emessa in accoglimento di corrispondente istanza degli stessi attuali ricorrenti.
In terzo luogo, la censura rappresentata non era stata fatta valere come motivo di appello con la conseguente preclusione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 3.
In quarto luogo, il provvedimento corretto che il Tribunale di Palermo in composizione collegiale era tenuto ad emettere era proprio l’annullamento dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare e di tutti gli atti consequenziali, in conseguenza dell’omesso rispetto del termine a comparire, e non gia’ la declaratoria di incompetenza ex articolo 23 c.p.p., con inutile appesantimento dell’iter processuale, come sostengono ora i ricorrenti, che pur avevano sollecitato il contrario.

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