Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 8 febbraio 2017, n. 3374

Licenziamento dell’operaio che coinvolgendo un collega “ignaro” fa durante il turno di lavoro un gioco pericoloso

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 8 febbraio 2017, n. 3374

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2425-2014 proposto da:

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 558/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 14/08/2013 R.G.N. 180/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/11/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso o in subordine rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza del 14 agosto 2013, la Corte di Appello di Ancona, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto l’impugnativa di licenziamento disciplinare intimato in data 10 ottobre 2011 ad (OMISSIS) da parte della (OMISSIS) Srl.

La Corte territoriale ha esaminato i due episodi posti a fondamento del recesso datoriale, “alla stregua delle convergenti risultanze della istruttoria compiuta nel giudizio di primo grado”.

Ha cosi’ descritto il primo: “l’operaio specializzato (OMISSIS) nella giornata del 15 settembre 2011, durante il suo turno di lavoro, lasciate le sue mansioni, si dedicava ad un “gioco” che coinvolgeva l’ignaro collega (OMISSIS), autista del muletto (la cui visuale frontale era in parte ostruita dal carico) sicche’, montato sulle punte delle forche, si lasciava sollevare dal carrello elevatore in manovra, unitamente a bancale di merce, fino ad una altezza di due o tre metri, per poi saltare giu’ l’attimo prima dello stivaggio della pedana con i beni su di essa contenuti (tubi di cartone del peso di 500 chilogrammi)”.

Quanto al secondo addebito la Corte ha ritenuto accertato “l’inadempimento fraudolento della prestazione lavorativa, consumato per circa tre ore, sul luogo di lavoro e durante l’orario di lavoro del turno mattutino del 19 settembre allorquando, timbrato regolarmente il cartellino all’orario di ingresso, il Bucalo inopinatamente allontanatosi dalla linea di produzione ed appartatosi all’interno dell’officina, si era reso inoperoso per qualche ora fino a quando, scoperto e sorpreso inattivo dalla responsabile del personale Sig.ra (OMISSIS), rispondeva che stava “scioperando” e che era legittimato per il fatto che non percepiva con regolarita’ e tempestivita’ la retribuzione; peraltro non ottemperava all’ordine del superiore di riprendere subito il lavoro adeguandosi a cio’ soltanto dopo un ulteriore e successivo ripensamento”.

Pertanto i giudici d’appello, “tenuto conto della obiettiva gravita’ e reiterazione dei fatti, della connotazione intenzionale, della rottura del vincolo fiduciario in relazione alle aspettative di esatto adempimento connesse al ruolo del dipendente, investito della funzione di capo-squadra”, hanno considerato il licenziamento senza preavviso “ampiamente giustificato non solo dalle ipotesi tipizzate nel CCNL richiamate nell’atto espulsivo ma anche ai fini della nozione legale di giusta causa di licenziamento”.

2.- Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il (OMISSIS), con tre motivi. La societa’ ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia: “Violazione o falsa applicazione dell’articolo 2119 e 2016 c.c.. Violazione del principio di proporzionalita’. Difetto di giusta causa”. Si deduce che “la sentenza gravata, sulla base di una inadeguata ricostruzione del complessivo comportamento del lavoratore, abbia effettuato una erronea valutazione della proporzionalita’ della condotta addebitabile al ricorrente rispetto alla sanzione espulsiva irrogata”.

Il motivo non puo’ trovare accoglimento in quanto la “ricostruzione del complessivo comportamento del lavoratore” che parte ricorrente giudica “inadeguata” attiene alla quaestio facti di pertinenza esclusiva del giudice di merito, con motivazione non adeguatamente censurata secondo il novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 conv. in L. n. 134 del 2012, come rigorosamente interpretato da Cass. SS. UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, proponendosi da parte ricorrente una doglianza che ha solo l’involucro formale dell’error in iudicando.

Anche il giudizio di proporzionalita’ tra licenziamento disciplinare e addebito contestato e’ devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non e’ censurabile in sede di legittimita’, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003).

Trattandosi di una decisione che e’ il frutto di selezione e valutazione di una pluralita’ di elementi la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non puo’ limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma deve piuttosto denunciare l’omesso esame di un fatto, ai fini del giudizio di proporzionalita’, avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilita’ (Cass. n. 18715 e 20817 del 2016); invece il (OMISSIS) si limita a valorizzare taluni elementi che non sarebbero stati correttamente valutati dai giudici territoriali in luogo di altri, ma alcuno di detti fatti puo’ ritenersi autonomamente decisivo nel senso sopra specificato, sicche’ le doglianze in proposito nella sostanza prospettano una generica rivisitazione del merito, evidentemente non consentita in questa sede, perche’ questa Corte puo’ sindacare ma non sostituire il giudizio di fatto correttamente espresso dai giudici al cui dominio e’ istituzionalmente riservato.

4.- Il secondo motivo di ricorso denuncia: “Violazione o falsa applicazione dell’articolo 20 CCNL. Violazione o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 30”. Si eccepisce che nessuno dei comportamenti contestati al lavoratore risulterebbe contemplato quale giusta causa di licenziamento disciplinare dal CCNL di categoria applicabile alla fattispecie.

Il motivo e’ infondato.

Questa Corte ha piu’ volte ribadito che in tema di licenziamento, la nozione di giusta causa e’ nozione legale e il giudice non e’ vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; tuttavia cio’ non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravita’ di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalita’. Il relativo accertamento va operato caso per caso, valutando la gravita’ in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi, ed il giudice puo’ escludere che il comportamento costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dai contratti collettivi, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (tra le altre: Cass. n. 24329 del 2009; Cass. n. 2906 del 2005).

Parallelamente si e’ affermato che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, percio’, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile alla sola condizione che tale grave inadempimento, o tale grave comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (tra molte: Cass. n. 2830 del 2016; Cass. n. 4060 del 2011; Cass. n. 5372 del 2004).

Tale costante orientamento appare canonizzato nella L. n. 183 del 2010, articolo 30, comma 3. La disposizione si limita infatti a confermare che “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente piu’ rappresentativi”.

“Tenere conto” significa appunto “considerare” le tipizzazioni della disciplina collettiva quale fonte idonea ad enucleare uno standard sociale di riferimento, ma non esclude affatto che in un determinato illecito disciplinare il giudice ravvisi una ipotesi di giusta causa di recesso, anche ove non espressamente contemplata dalla contrattazione collettiva come idonea a risolvere il rapporto di lavoro, atteso che la nozione di giusta causa e’ scritta nella legge.

Ben diversa l’ipotesi – non evidenziata nella specie – in cui il contratto collettivo preveda espressamente per un certo comportamento la sanzione conservativa, perche’ in tal caso il datore di lavoro non puo’ irrogare un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione piu’ grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione (Cass. n. 5103 del 1998; Cass. n. 16260 del 2004; Cass. n. 19053 del 2005; Cass. n. 6165 del 2016). In tali casi la circostanza che il comportamento del lavoratore sia puntualmente e specificatamente previsto come ipotesi disciplinare contenuta nel contratto collettivo e fatta oggetto di una sanzione conservativa rende tale previsione vincolante per il giudice che da essa non puo’ discostarsi, trattandosi di disposizione di contratto o accordo collettivo che contiene per la materia del licenziamento individuale “condizioni piu’ favorevoli ai prestatori di lavoro” (cfr. L. n. 604 del 1966, articolo 12).

5.- Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’articolo 1460 c.c. “in virtu’ del quale, in base alle circostanze del caso concreto, il comportamento del lavoratore risulterebbe scriminato ed andava pertanto ritenuto non suscettibile comunque di integrare ipotesi di giusta causa di licenziamento”. Si critica come “gratuita” l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui la giustificazione addotta dal lavoratore per la sua “astensione” dal lavoro sarebbe “speciosa e pretestuosa, lanciata da chi, colto in fallo, non ha trovato di meglio che richiamare il ritardo nei pagamenti delle retribuzioni”.

Anche tale doglianza non merita condivisione perche’ l’accertamento che il (OMISSIS), sorpreso a non lavorare, abbia invocato l’exceptio inadimplenti non adimplendum “senza che vi fosse una correlazione causale tra l’estemporaneo “sciopero solitario” e la rivendicazione soltanto postuma di tale protesta” costituisce un fatto accertato e valutato dalla Corte, come tale non sindacabile al di fuori dei limiti imposti del novellato articolo 360 c.p.c., commma 1, n. 5, per le ragioni gia’ esposte al paragrafo n. 3, traducendosi, nonostante il formale riferimento alla violazione di legge, in una richiesta di rivisitazione del giudizio di merito.

6.- Conclusivamente il ricorso deve essere respinto con condanna alle spese secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo.

Poiche’ il ricorso per cassazione risulta nella specie proposto in data 14 gennaio 2014 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *