Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 30 ottobre 2017, n. 25760. In tema di retribuzione dovuta al prestatore di lavoro ai fini dei cc.dd. istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, permessi, malattia e infortunio)

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Del resto l’articolo 17 dell’accordo interconfederale per l’industria del 27.10.1946, reso efficace erga omnes con Decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 1960, n. 1070, tuttora vigente quanto alla tredicesima mensilita’, e’ stato del pari interpretato come prevedente ogni compenso di carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalita’ della prestazione in atto, con esclusione, quindi, dei soli emolumenti eventuali, occasionali od eccezionali (Cassazione civile, sez. lav., 05/11/1998, n. 11137).
La sentenza impugnata ha dunque correttamente interpretato le previsioni del contratto collettivo in materia di compenso per ferie e tredicesima mensilita’ e del pari correttamente osservato che il criterio di monetizzazione dei permessi adottato dal medesimo contratto rinvia alle previsioni relative alla tredicesima mensilita’.
Il ricorso e’ invece fondato per quanto attiene alla interpretazione delle previsioni della L. 27 maggio 1949, n. 260, articolo 5.
A tenore della norma citata “Nelle ricorrenze della festa nazionale (2 giugno), dell’anniversario della liberazione (25 aprile), della festa del lavoro (1 maggio) e nel giorno dell’unita’ nazionale (4 novembre), lo Stato, gli Enti pubblici ed i privati datori di lavoro sono tenuti a corrispondere ai lavoratori da essi dipendenti, i quali siano retribuiti non in misura fissa, ma in relazione alle ore di lavoro da essi compiute, la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio. La normale retribuzione sopra indicata sara’ determinata ragguagliandola a quella corrispondente ad un sesto dell’orario settimanale contrattuale o, in mancanza, a quello di legge…”.
La norma contiene, dunque, una esplicita definizione della nozione di “normale retribuzione”, che essa adotta per limitare l’ambito della locuzione “globale di fatto”, stabilendo che “la normale retribuzione” corrisponde a quella relativa ad un sesto dell’orario settimanale (di contratto o di legge).
Da tale nozione di retribuzione e’ dunque escluso il compenso per lavoro straordinario, anche se corrisposto in modo fisso e continuativo.
Del resto questa Corte si e’ gia’ ripetutamente espressa nel senso che la L. n. 260 del 1949, articolo 5, benche’ adotti un criterio di retribuzione globale, non consente, dato il riferimento alla normalita’ della retribuzione, la computabilita’ di compensi straordinari o per loro natura o per patto espresso, come il compenso per lavoro straordinario, ancorche’ continuativo (Cass., sez. 6, 1.4.12.2016 nr. 25761; sez. lav. 25 luglio 1995 nr. 8102; sez. lav. 29 ottobre 1990 n. 10448; nn. 11533-92; 11480-90; 10660-90; 10448-0; 10214-90).
Il terzo motivo di ricorso e’ infondato.
La societa’ ricorrente censura l’accertamento di fatto compiuto in sentenza in merito al carattere continuativo del lavoro straordinario svolto dal (OMISSIS) nel periodo di causa, accertamento fondato sugli importi dei compensi a titolo di lavoro straordinario dal medesimo percepiti in ciascuno degli anni di causa e sulla mancata contestazione iniziale della sistematicita’ dello svolgimento del lavoro straordinario.
I fatti dei quali si denunzia in questa sede il mancato esame appaiono privi di decisivita’.
Come risulta dalla esposizione del motivo, nel primo grado la societa’ si limitava a contestare del tutto genericamente la continuita’ della prestazione di lavoro straordinario, lamentando la mancata specificazione da parte del ricorrente rispetto ai compensi annuali percepiti delle modalita’ di svolgimento del lavoro straordinario nel corso dell’anno (ore svolte e periodi di svolgimento).
L’onere di specificita’ della contestazione avrebbe dovuto essere invece assolto dalla societa’ resistente indicando, a fronte della allegazione compiuta dal ricorrente della sistematicita’ del lavoro straordinario, comprovata dai compensi annui liquidati, i fatti (rientranti nella sua disponibilita’), dai quali sarebbe invece emersa la imputazione dei compensi annui a prestazioni di carattere episodico ovvero a picchi anomali di lavoro.
L’accertamento di fatto compiuto in sentenza resta dunque immune dal vizio di diritto denunziato.
Conclusivamente il ricorso deve essere accolto nei limiti del dedotto vizio di violazione della L. n. 260 del 1949, articolo 5; la sentenza impugnata deve essere cassata nei predetti sensi e gli atti rinviati ad altro giudice, che si individua nella Corte di Appello di Milano in diversa composizione, affinche’ provveda ad un nuovo esame della domanda relativa ai compensi per le festivita’ di cui al predetto articolo 5 alla luce del principio di diritto in questa sede esposto.
Il giudice del rinvio provvedera’ anche alla disciplina delle spese del presente grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti della dedotta violazione dell’articolo 5 L. 260/1949; rigetta nel resto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia – anche per le spese – alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

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