Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 novembre 2016, n. 23862

Giusto il licenziamento del lavoratore che fuma in un ambiente con materiali infiammabili.

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 23 novembre 2016, n. 23862

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente
Dott. VENUTI Pietro – Consigliere
Dott. MANNA Antonio – Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere
Dott. LORITO Matilde – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5178/2014 proposto da:

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 328/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 14/08/2013 r.g.n. 59/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO

Con sentenza 14 agosto 2013, la Corte d’appello di Ancona rigettava l’appello di (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado, che aveva accertato la legittimita’ del licenziamento disciplinare intimatogli il (OMISSIS) dalla datrice (OMISSIS) s.p.a., per avere, non ottemperando a precedenti richiami del superiore gerarchico, fumato in ambiente di lavoro con materiali infiammabili.

Preliminarmente rilevate l’idonea affissione del codice disciplinare alle bacheche degli accessi allo stabilimento in prossimita’ della timbratrice e la presenza all’interno dello stesso di visibili segnali di divieto di fumare, la Corte territoriale riteneva la giusta causa del licenziamento intimato, sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie.

Ed infatti, il lavoratore, gia’ recidivo, era stato sorpreso a fumare nell’ambiente di lavoro, procurando (indipendentemente dalla verificazione di un danno, non avvenuta), per i materiali infiammabili presenti, quali legno e solventi, una situazione di pericolo che il divieto violato mirava a prevenire, in funzione della sicurezza dell’ambiente di lavoro; ed essa era sanzionata dall’articolo 81, lettera m) del CCNL Legno industria con il licenziamento in tronco. Sicche’, la sanzione espulsiva doveva considerarsi proporzionata alla gravita’ della condotta reiterata, idonea all’irrimediabile rottura del legame fiduciario tra le parti.

Con atto notificato il 17 febbraio 2014, (OMISSIS) ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste (OMISSIS) s.p.a. con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 2712 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa valutazione delle riproduzioni video, mai disconosciute da controparte, fornite dal teste (OMISSIS), su debita autorizzazione del giudice, relative ad operai in atto di fumare all’interno dello stabilimento, a conferma della tolleranza datoriale.

Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 7, articolo 2106 c.c. e articolo 81, lettera m) del CCNL Legno industria, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa considerazione della tolleranza datoriale in ordine, secondo le scrutinate risultanze istruttorie, alla diffusione del fumo dei lavoratori all’interno dello stabilimento: dato non valutato a fini di proporzionalita’ della sanzione al fatto contestato, incidente sulla percezione soggettiva della sua gravita’ da parte del lavoratore.

Con il terzo, il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale la tolleranza datoriale, risultante dalle riproduzioni video e dalla dichiarazione del teste (OMISSIS), non valutate dalla Corte territoriale.

Con il quarto, il ricorrente deduce nullita’ della sentenza per grave illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine a due passaggi argomentativi: di inferenza del compimento del fatto contestatogli dalla richiesta del lavoratore di essere perdonato; di integrazione dei requisiti di giusta causa del licenziamento nella condotta addebitata al lavoratore.

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’articolo 2712 c.c., per omessa valutazione di riproduzioni video, in epoca successiva al licenziamento per cui e’ causa mai disconosciute da controparte, di operai in atto di fumare all’interno dello stabilimento, e’ inammissibile.

Lungi dal configurare la violazione di legge formalmente enunciata in rubrica, il mezzo si risolve nella contestazione della valutazione delle prove (tra le quali le riproduzioni video e le dichiarazioni del teste (OMISSIS), di cui viene denunciata la pretermissione) cosi’ come operata dal giudice di merito: cui solo spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza e di scegliere, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, dando cosi’ libera prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (Cass. 10 giugno 2014, n. 13054; Cass. 27 gennaio 2015, n. 1547).

E cio’ in virtu’ dell’esercizio di un potere insindacabile dal giudice di legittimita’, al quale e’ rimessa soltanto la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito: non equivalendo il sindacato di logicita’ del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio della Corte territoriale, qualora congruamente e correttamente motivato (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), come nel caso di specie (per le ragioni al punto 5 di pg. 4 della sentenza).

Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione L. n. 300 del 1970, articolo 7, articolo 2106 c.c. e articolo 81, lettera m) del CCNL Legno industria, per omessa considerazione della tolleranza datoriale in ordine alla diffusione del fumo dei lavoratori all’interno dello stabilimento a fini di proporzionalita’ della sanzione al fatto contestato, e’ pure inammissibile.

Con esso il ricorrente non si duole, infatti, dell’inesatta interpretazione di norme ne’ del non corretto esercizio del processo di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalle denunciate disposizioni di legge e contrattuale collettiva (quest’ultima, cosi’ recitante: “Fermo restando l’ambito di applicazione delle procedure previste dalla legge, il licenziamento – con immediata sospensione cautelare del rapporto di lavoro – puo’ essere inflitto, con la perdita dell’indennita’ di preavviso, all’operaio che commetta gravi infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del lavoro o che provochi all’azienda grave nocumento morale o materiale o che compia azioni delittuose in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro. In via esemplificativa ricadono sotto questo provvedimento le seguenti infrazioni:… m) fumare nell’ambito dello stabilimento in quei luoghi dove tale divieto e’ espressamente stabilito o comunque dove cio’ puo’ provocare pregiudizio all’incolumita’ delle persone od alla sicurezza degli impianti o dei materiali”).

D’altro canto, esse individuano correttamente la ragione disciplinare del licenziamento nel comportamento del lavoratore di pericolo per la sicurezza dell’ambiente di lavoro.

(OMISSIS) lamenta piuttosto la concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi costitutivi del parametro normativo e delle sue specificazioni, nonche’ della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento: sotto il profilo della sua effettiva sussistenza in quanto neppure proporzionato alla gravita’ del fatto contestato, in ipotesi tollerato.

E pertanto il mezzo si muove sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e di mera contrapposizione ricostruttiva dei fatti, ma contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realta’ sociale (Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095): il che non e’, per le ragioni dette, nel caso in esame.

Il terzo motivo, relativo ad omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, quale la tolleranza datoriale, risultante dalle riproduzioni video e dalla dichiarazione del teste (OMISSIS), e’ inammissibile.

La censura riguarda, non gia’ l’omesso esame di un fatto storico, ma la valutazione derivante dalla lamentata pretermissione di elementi istruttori, quali appunto quelli suindicati: sicche’, esorbita dal perimetro di denunciabilita’ delimitato dal novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.

Tale vizio e’, infatti, denunciabile per omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, qualora esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

Il quarto motivo, relativo a nullita’ della sentenza per grave illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione, quale error in procedendo, e’ pure inammissibile.

Innanzi tutto, l’effettiva natura del mezzo non e’ compatibile con la sua formale rubricazione alla stregua di error in procedendo: questo consistendo in un vizio di nullita’ del procedimento o della sentenza impugnata, tale da abilitare il giudice di legittimita’ ad un esame diretto degli atti processuali e dei documenti, senza limitarne la cognizione all’esame di sufficienza e logicita’ della motivazione (Cass. 21 aprile 2016, n. 8069; Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077).

Esso consiste piuttosto nella denuncia di un esplicito vizio di motivazione, non esaminabile alla stregua del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la cui riformulazione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Sicche’, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

L’attuale condizione della ricorrente di ammessa al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 (Cass. 15 ottobre 2015, n. 20920; Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna (OMISSIS) alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge

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