Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 19 novembre 2015, n. 23686

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28156 – 2012 proposto da:

(OMISSIS) S.C.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;

– controricorrente –

nonche’ contro

(OMISSIS) S.C.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 97/2011 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 02/12/2011 R.G. N. 41/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/06/2015 dal Consigliere Dott. GHINOY PAOLA;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) era dipendente della (OMISSIS) s.c.a.; a seguito della scissione del ramo d’azienda “frutta” il suo rapporto di lavoro era stato trasferito, come da comunicazione del 29.4.2005, alla societa’ di nuova costituzione (OMISSIS) s.c.a.; quest’ultima, in data 17.6.2005, l’aveva licenziata per giustificato motivo oggettivo.

Per quello che qui ancora rileva del complesso procedimento originato dal ricorso proposto dalla (OMISSIS) davanti al Tribunale di Rovereto, con la sentenza definitiva n. 77 del 2011 la Corte d’appello di Trento – facendo seguito ad altra sentenza non definitiva (confermata da questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 24047 del 2013) che aveva ritenuto l’illegittimita’ del licenziamento – andando di contrario avviso rispetto al giudice di primo grado, riconosceva alla lavoratrice anche il risarcimento dei danni provocatile dal recesso, ulteriore rispetto a quello forfettariamente previsto dalla Legge n. 300 del 1970, articolo 18.

La Corte rilevava in particolare che le modalita’ con le quali la (OMISSIS) s.c.a. aveva gestito il licenziamento della (OMISSIS) evidenziavano una totale mancanza di rispetto per la dignita’ della lavoratrice e per le normali regole di buona fede nella gestione del rapporto: la dipendente era rimasta infatti a svolgere le proprie mansioni presso la societa’ cedente per circa due mesi dopo la separazione del ramo frutta e si era vista poi intimare il licenziamento per una pretesa esorbitanza dell’organico rispetto alle esigenze della cessionaria, malgrado le ripetute assicurazioni ricevute in merito al mantenimento del posto di lavoro ed all’insussistenza di esuberi per effetto dell’operazione di scissione. La consulenza tecnica medico – legale disposta in grado d’appello inoltre aveva confermato la sussistenza del nesso causale fra la condotta illegittima e lo stato morboso dal quale l’appellante era affetta, considerato che la condizione ansioso – depressiva era insorta in relazione al comportamento aziendale a partire dal 2004 ed aveva avuto la sua massima espressione nel giugno 2005, in concomitanza con il licenziamento e fino al trattamento farmacologico psicoterapico iniziato nel luglio – agosto. Tenuto conto dell’invalidita’ riconosciuta dall’ausiliare ed applicando le Tabelle del 2011 elaborate presso il Tribunale di Milano, la Corte liquidava la complessiva somma di euro 22.033,00 di cui euro 11.113 per invalidita’ permanente ed euro 10.920 per invalidita’ temporanea; liquidava poi il rimborso delle spese sostenute per i farmaci ed i cicli di sedute psicoterapeutiche in complessivi euro 1.736,80, cosi’ riconoscendo a titolo di risarcimento la somma complessiva di 23.769,80, oltre agli interessi legali su detta somma devalutata all’epoca del licenziamento e quindi via via annualmente rivalutata fino alla data della sentenza, nonche’ gli interessi legali sulla somma cosi’ complessivamente liquidata dal momento della sentenza fino al saldo.

Per la cassazione di tale sentenza la (OMISSIS) s.c.a., (incorporante la (OMISSIS) s.c.a.) ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso (OMISSIS). (OMISSIS) s.c.a. e’ rimasta intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Come primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, anche in relazione agli articoli 2087 e 1225 c.c., in merito alla sussistenza di un danno ulteriore rispetto all’indennita’ risarcitoria per il licenziamento.

2. Come secondo motivo deduce vizio di motivazione sul punto decisivo della controversia attinente la sussistenza di un danno ulteriore rispetto a quello derivante dal licenziamento illegittimo e comunque sulla sussistenza di un nesso di causalita’ tra il licenziamento asseritamente illegittimo e danno patito, e cio’ anche in relazione alla depositata c.t.u. Argomenta che la Corte d’appello trentina avrebbe desunto la natura vessatoria ed ingiuriosa del licenziamento da circostanze che attenevano piuttosto alla sua illegittimita’; lo stesso c.t.u. inoltre aveva riferito che il nesso causale tra danno ulteriore e licenziamento sarebbe stato evidenziato dalla coincidenza tra l’esordio della sintomatologia e le modalita’ con le quali era stato gestito il rapporto nella fase anteriore al licenziamento della (OMISSIS), cui la societa’ (OMISSIS) era estranea.

3. I motivi posti a sostegno del ricorso, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte intimata, sono ammissibili, esplicitando le ragioni in fatto ed in diritto di critica alla decisione gravata in modo da consentire a questa Corte di comprendere l’oggetto del proprio esame ed alla controparte di adeguatamente difendersi.

4. Nel merito, gli stessi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.

Occorre premettere che secondo l’insegnamento condiviso e consolidato di questa Corte, elaborato con riferimento alle formulazione della disposizione anteriore alle modifiche apportate dalla Legge n. 92 del 2012, anche qui operante ratione temporis, la liquidazione forfettaria ex lege prevista dalla Legge n. 300 del 1970, articolo 18, copre tutti i danni collegati all’illegittimita’ del licenziamento ex se, anche sotto il profilo del danno biologico. Solo in caso di licenziamento ingiurioso, o persecutorio, o vessatorio, detto danno e’ autonomamente risarcibile (Cass. n. 63 del 2015, n. 5730 del 2014, n. 6845 del 2010; n. 5927 del 2008). Oggetto dell’accertamento dell’ingiuriosita’ o vessatorieta’ del recesso non e’ quindi l’illegittimita’ del licenziamento, ma le sue modalita’, con la conseguenza che l’eventuale danno (lesione dell’integrita’ psico-fisica) diventa conseguenza (non della perdita del posto di lavoro e della retribuzione, bensi’) dello stesso comportamento (ingiurioso, persecutorio, vessatorio) con cui e’ stato attuato.

4.1. Questa Corte ha poi in piu’ occasioni affermato che il licenziamento ingiurioso o vessatorio, lesivo della dignita’ e dell’onore del lavoratore, che da luogo al risarcimento del danno, ricorre soltanto in presenza di particolari forme o modalita’ offensive o di eventuali forme ingiustificate e lesive di pubblicita’ date al provvedimento, le quali vanno rigorosamente provate da chi le adduce, unitamente al lamentato pregiudizio (Cass. n. 5885 del 2014, n. 17329 del 2012, n. 21279 del 2010, n. 6845 del 2010; n. 15469 del 2008).

4.2. La Corte d’appello, pur partendo dalle esposte premesse, non ne ha fatto corretta applicazione. E difatti, al fine di ritenere la natura ingiuriosa e vessatoria del licenziamento, ha valorizzato circostanze che attengono piuttosto alla sua illegittimita’: l’utilizzo della lavoratrice presso il datore di lavoro precedente ed anche le rassicurazioni date circa l’insussistenza di esuberi riguardano infatti le modalita’ ed effettivita’ della realizzata cessione di ramo d’azienda e la realta’ organizzativa nella quale il licenziamento si e’ inserto, caratterizzate da nebulosita’ della situazione di fatto e della politica societaria. Tutto quanto cosi’ accertato, sulla scorta delle deduzioni formulate dalla parte appellante principale, non configura quindi un atteggiamento vessatorio od ingiurioso realizzato nei confronti della lavoratrice in concomitanza con il licenziamento, con lesione della sua dignita’ personale, ma fornisce elementi che ne comprovano l’illegittimita’, che difatti e’ stata ritenuta per difetto della sussistenza di una giustificato motivo oggettivo sopravvenuto alla cessione.

3.4. Neppure sorregge il ragionamento della Corte territoriale l’esito della consulenza tecnica disposta in grado d’appello. La stessa Corte ha infatti disatteso le valutazioni dell’ausiliare laddove individuavano una condotta mobbizzante nei confronti della lavoratrice realizzata dalla societa’ cedente, a carico della quale non e’ stata individuata alcuna responsabilita’; quanto al periodo successivo alla cessione, le argomentazioni della consulenza valorizzate dalla Corte d’appello forniscono contezza della situazione di ansia determinata nella lavoratrice dalle vicende societarie, che ha trovato l’apice al momento del licenziamento, ma non attribuiscono la causa o concausa della malattia a dati e circostanze di fatto che attribuiscano al licenziamento intimato dalla cessionaria il carattere di ingiuriosita’ o vessatorieta’.

4. Per i motivi esposti, il ricorso dev’essere accolto e la sentenza della Corte d’appello cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, in considerazione della completezza della disamina della situazione fattuale operata dalla Corte territoriale, cui neppure la difesa intimata ha aggiunto elementi sotto tale profilo significativi, la causa puo’ essere decisa nel merito ex articolo 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda proposta dalla lavoratrice avente ad oggetto il risarcimento dei danni biologico, patrimoniale e non patrimoniale ulteriori rispetto a quelli derivanti dall’illegittimita’ del licenziamento.

5. L’alterno esito del giudizio di merito sulla questione esaminata determina la compensazione tra le parti delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da (OMISSIS) avente ad oggetto il risarcimento dei danni biologico, patrimoniale e non patrimoniale ulteriori rispetto a quelli derivanti dall’illegittimita’ del licenziamento. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

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