Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 dicembre 2017, n. 30234. No al riscatto degli anni di laurea mediante compensazione con i maggiori contributi incassati dalla Cassa

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3) Secondo quanto affermato da questa Corte di cassazione, l’interpretazione della domanda, in base alla quale il giudice del merito ritenga in essa compresi, oppure no, alcuni aspetti della controversia, spetta allo stesso giudice, ed attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volonta’ della parte. Pertanto, un eventuale errore al riguardo puo’ concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimita’ unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione (v. Cass., sent. n. 8953 del 2006, 24295/2006, 2630/2014, 21874/2015).
4) Della corretta interpretazione della domanda, con particolare riferimento anche all’implicito presupposto dell’esistenza di una partita creditoria a favore dell’istante tale da giustificare la richiesta di compensazione, in verita’ non dubita neanche il ricorrente che tenta, piuttosto, di ravvisare nella motivazione il difetto di non aver saputo cogliere la differenza esistente tra richiesta di restituzione e compensazione. Tale critica, pero’, non coglie la ragione specifica della motivazione che poggia sull’affermazione che non sussistono i presupposti legali (articolo 1241 cod. civ.) della compensazione, mancando, in capo al (OMISSIS), il credito da opporre in compensazione per l’estinzione del proprio debito.
5) Cio’ in quanto se non esiste il diritto ad ottenere la restituzione dei contributi eccedenti non puo’ esistere neanche un diritto che consenta di disporre, comunque, delle somme corrispondenti a tale contribuzione eccedente La sentenza, a tal fine, afferma il divieto di restituzione delle eccedenze contributive richiamando le motivazioni della giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 439/2005) ed i contenuti della L. n. 45 del 1990, relativi al carattere generale dell’istituto della ricongiunzione nella previdenza dei professionisti; tali argomenti sono stati utilizzati dalla Corte territoriale per dimostrare – correttamente – che la fattispecie in esame non costituiva in alcun modo neanche il presupposto in fatto di un indebito arricchimento con consequenziale ingiustificato impoverimento dell’istante poiche’ i versamenti effettuati non erano indebiti ma contribuzioni dovute.
5. E’, poi, del tutto irrilevante – al fine di dare sostegno al motivo di ricorsola circostanza che la sentenza impugnata non abbia considerato lo stato soggettivo di ignoranza sulle non positive conseguenze economiche della ricongiunzione ottenuta prospettato in ricorso, ove si allude anche ad una responsabilita’ della Cassa da omessa informazione senza che si specifichi, posto che la sentenza impugnata non esamina la questione, quando e dove sia stata prospettata tale circostanza.
5. La Corte territoriale, dunque, alla luce dei presupposti di fatto evidenziati dall’istante ha correttamente ribadito che l’impossibilita’ per il soggetto iscritto alla Cassa di previdenza di utilizzare i contributi versati in eccedenza non comporta alcun diritto alla loro restituzione nemmeno a titolo di arricchimento senza causa ai sensi dell’articolo 2041 c.c., in conseguenza dell’inesistenza, in ragione dei fini solidaristici perseguiti dalle casse o dagli istituti di previdenza e assistenza, di un principio generale di restituzione dei contributi legittimamente versati in relazione ai quali non si siano verificati, o non possono piu’ verificarsi, i presupposti per la maturazione del diritto ad una prestazione previdenziale o assistenziale e, quindi, in conseguenza dell’inesistenza di un giustificato vantaggio della cassa o dell’istituto di previdenza e assistenza che ha riscosso i contributi (in tal senso gia’ Cass. n. 1572/2006).
6) In definitiva, la domanda principale e quella subordinata sono state interpretate dalla Corte d’appello di Salerno in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte di cassazione per cui il ricorso va respinto. spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 2000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese generali nella misura del 15 per cento ed alle spese accessorie di legge.

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